PRIMO RESOCONTO “A CALDO” DELLA VISITA DEI

“FIORI DI PACE” per Israele e Palestina – Verona, novembre 2005

 

 

Alcuni amici, che hanno condiviso le vicende del progetto Fiori di pace a Verona, mi hanno chiesto di relazionare “a caldo” sull’esperienza. Confesso che mi trovo un po’ in difficoltà a mettere ordine nel turbine di sensazioni, pensieri ed emozioni che ho vissuto in questi intensi giorni, ma so anche che bisogna trovare la forza di salire sui tetti e gridare la “buona novella”, anche a rischio di apparire retorici. Le difficoltà economiche e le incertezze legate agli innumerevoli problemi pratici (basti ricordare che mercoledì ci è arrivata la notizia che il ministero dell’istruzione israeliano aveva negato il visto ai ragazzi della scuola Hand in Hand, e che la ripresa degli attentati suicidi ha provocato la reazione israeliana a Jenin, mettendo in dubbio fino all’ultimo la partenza della delegazione palestinese...) hanno reso impossibile l’assunzione di persone che si facessero carico dell’assistenza e, parallelamente, hanno reso difficile attivare gruppi ed associazioni.

Questo, però, si è rivelato un grande privilegio per me, che ho potuto condividere praticamente a tempo pieno l’esperienza.

I ragazzi di Jenin sono arrivati domenica 30 ottobre…

Nei giorni successivi li lasciamo riposare un po’, in fondo devono ambientarsi e conoscersi: è interessante scoprire come le loro attese siano quelle classiche dei ragazzini, e Amjad ci ha fatto sorridere raccontandoci la speranza di incontrare qualche calciatore tipo Shevchenko.

Anche i primi contatti con i ragazzi del Marconi sono cordiali e cortesi, ma ognuno tende a stare col suo gruppo. Poi, pian piano, si è cominciato a sciogliere il ghiaccio. E accade un piccolo prodigio: quei ragazzini intimiditi e un po’ infantili hanno cominciato a prendere confidenza, hanno legato fra loro prima di tutto attraverso il gioco ed il tempo libero. I primi giorni sono stati necessari per studiarsi, per far cadere le barriere interpersonali, e a questo è servito mangiare, dormire, giocare insieme prima ancora che fare tanti discorsi. Ripenso divertito ad una sera quando giocavamo a calcetto da una parte io, Qusay e Khaled, palestinesi di Jenin, contro Liron, ebreo israeliano e Amjad, altro palestinese di Jenin: Liron era in attacco, e scherzavamo su come, lui ebreo, bombardava il povero portiere palestinese.

E, pian piano, cominciano ad emergere le differenze e le discussioni: dopo essersi conosciuti come persone, e non come “animals” i ragazzi si permettono di presentare i loro punti di vista, spesso divergenti, anche su questioni importanti e che, per noi, possono apparire teoriche ma, nella loro realtà, sono drammaticamente concrete. Ed è molto forte la lezione di sentire ragazzini confrontarsi sulle prospettive di convivenza di due stati, sul terrorismo, sulla necessità degli israeliani di avere un esercito per difendersi e prevenire violenze e dall’altra parte sulla liceità della scelta di dare la propria vita per combattere un esercito di occupazione.

Il miracolo sta proprio qui: il dialogo non è parlare fra simili e trovarsi d’accordo, ma riuscire a parlare con chi è diverso, rispettandolo come persona e cercando una mediazione.

Questa lezione credo sia stata colta da molti di quanti hanno incontrato i ragazzi in questi giorni: dai circa 800 studenti di Marconi e Fracastoro a tutti gli adulti che li hanno incontrati nei molti dibattiti che si sono succeduti nei 9 giorni in cui i due gruppi hanno condiviso l’esperienza a Villa Buri. Uno dei partecipanti all’ultimo incontro, stupito della maturità e della capacità di analisi e sintesi mostrata anche dai più giovani ha chiesto se nella loro realtà usano discutere fra loro di politica: Qusay ha risposto molto semplicemente di no... “fra noi siamo già d’accordo, ed è inutile discutere quando sai già che dirai la stessa cosa del tuo interlocutore”. Ed è stato spiazzante, relativamente all’immagine di omologazione che spesso ho dei ragazzi, sentire le valutazioni molto critiche dei ragazzi relativamente alla rigidità dei loro adulti, genitori e politici, che si sono incartati in posizioni insostenibili, lasciando loro in eredità una situazione ingarbugliata, di cui fanno le spese quotidianamente.

E l’impatto è grande sulle loro giovani vite: se per gli israeliani viene sperimentata l’insicurezza, la paura degli attentati, la diffidenza, la necessità di impiegare anni preziosi in un pericoloso servizio militare, i ragazzi di Jenin hanno vissuto esperienze drammatiche in prima persona, fino a quella della ragazzina Jenin che, nel 2002, a 10 anni, è stata investita nel parapiglia seguito ad un’incursione di blindati israeliani nel campo profughi e che ha riportato lesioni tali alla gamba da far prevedere la necessità di amputazione dell’arto... o quella del compagno di classe del fratello di Khaled, che è morto a 12 anni proprio in questi giorni, mentre i ragazzi erano ospiti a Verona, perché i militari hanno scambiato la pistola giocattolo che teneva in mano per un’arma vera.

Nonostante tutto ciò i ragazzi hanno espresso con forza e convinzione la volontà di impegnarsi per costruire la pace, ognuno nella sua comunità, facendosi sentire anche da quegli adulti che spesso agiscono scelte di conflitto.

Ed è stato bello vedere i ragazzi partire “mescolati” sui due pullmini che li hanno accompagnati a Milano Malpensa.

Molti si sono coinvolti per rendere possibile e indimenticabile per me questa esperienza, e, a costo di dilungarmi troppo, voglio segnalare anche gli attori che a Verona si sono spesi per la buona riuscita del progetto, anche se il ruolo fondamentale è stato svolto da Lucia Cuocci, giornalista di Confronti, Mustafa Qossoqsi, psicologo dell’istituto AlMadina di Nazareth e Michail Fanous, responsabile dell’associazione Shared Life di Ramle, così come insostituibile è stato il sostegno di Paolo Ferrari, che ha caparbiamente pressato le istituzioni locali consentendo di intravedere la vie per riuscire a finanziare il progetto.

In primo luogo Villa Buri si è confermata ambiente ottimale per ospitare attività di questo genere, con la possibilità di effettuare incontri ristretti ma anche assemblee e pranzi i cui partecipanti hanno sfiorato le 100 unità. La dimensione degli spazi ha consentito una adeguata accoglienza di tutte le attività effettuate, e purtroppo il maltempo nel fine settimana ha impedito una adeguata fruizione del parco. Inoltre la disponibilità ad ospitare gratuitamente i ragazzi israeliani e palestinesi ha sgravato almeno in parte gli elevati costi del progetto.

Altro momento significativo è stata la visita al Liceo Fracastoro, organizzata da Marco Dal Corso, nella quale sono stati incontrati oltre 150 studenti: questa occasione potrà forse fornire positivi sviluppi per l’accoglienza da parte di questa scuola, già impegnata in scambi con scuole israeliane e palestinesi, di accogliere gruppi per future fasi del progetto.

Confortante è stato l’interessamento delle istituzioni locali coinvolte: prima il Comune di Boscochiesanuova, che grazie all’impegno dell’Ass. Saccardi, ha ospitato il gruppo al Palaghiaccio e poi, dopo un incontro in sala consiliare con il Sindaco Melotti, ha offerto una ristoratrice merenda in pasticceria. Poi il Comune di Verona: prima l’Assessore Montagnoli ha accolto i ragazzi in sala Arazzi e successivamente l’Assessore Albrigi, dopo aver partecipato ad un incontro a Villa Buri, è riuscita ad organizzare la fornitura del pranzo al sacco per il giorno successivo per i 30 ragazzi in visita al museo.

La cosa più bella è stata che quanti sono entrati in contatto con l’esperienza hanno mostrato la volontà di aiutare, di tornare, di manifestare la soddisfazione e la gratitudine per l’opportunità offerta loro dai nostri ragazzi: l’ultimo esempio è quello di Raffaele, che è venuto di sua spontanea volontà a filmare l’ultimo incontro e che ha passato la notte a scaricare al computer il filmato e poi a masterizzare 3 DVD per poterli donare alle delegazioni che sarebbero ripartire la mattina successiva, permettendoci di fare memoria dell’interessante incontro.

Insomma, l’esperienza è stata intensissima ed entusiasmante, ed è stata a nostro parere una significativa prova di lavoro insieme di una molteplicità di soggetti istituzionali, associati e spontanei in cui ciascuno ha messo in gioco ciò che gli era possibile per consentire la buona riuscita dell’iniziativa (tanto che ci sono volute due pagine fitte di parole per ricordarle tutte).

Ed ora quali prospettive?

Il programma, a livello nazionale, è iniziato da due anni, e questo è stato il quinto gruppo ad essere ospitato in Italia: si notano già effetti positivi (perlomeno, mentre all’inizio il sospetto delle famiglie era notevole ora la disponibilità è molto maggiore, e a Jenin c’è addirittura una “lista d’attesa” per futuri progetti), ma evidentemente molto rimane da fare. In particolare sarebbe importante riuscire a incoraggiare e supportare un processo di associazionismo giovanile per la pace e il dialogo fra i due popoli, favorendo il consolidamento di leader locali fra i ragazzi coinvolti nel progetto.

Lascio quanti avranno avuto la pazienza di leggere fin qui con una delle immagini che ricorderò con più emozione di questi giorni. È un disegno di Orna, ragazza ebrea israeliana, che ha tracciato una casetta da bambini con tante finestre dotate di robusti chiavistelli: finestre e porte erano aperte, e dietro di loro si vedevano all’interno della casa tanti colori diversi, mentre dal tetto partiva l’arcobaleno della pace... e sul muro erano dipinte le bandiere israeliana e palestinese.

Un abbraccio a tutti e grazie di cuore ai moltissimi che ci sono stati vicini in questi giorni

Pace – Shalom - Salam

 

 

 

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