O si pensa o si crede

 

Cara Liberazione, ho letto con molto interesse la lettera di Gian Carlo apparsa su Liberazione del 30 dicembre: chiara, onesta ma che mette il dito su una problematica ( una piaga ? ) che un partito come quello della Rifondazione comunista non può non affrontare e approfondire con la partecipazione di tutte le competenze e pratiche presenti in esso o vicine ad esso.

Come studioso di filosofia e di teologia, vorrei contribuire con questa breve riflessione ad aprire una strada diversa tra coloro che affermano che l’unico modo di credere sia quello di Ruini e della sua corte e di coloro , come sosteneva Schopenhauer e altri prima e dopo di lui,che occorre scegliere tra credere e pensare. Concordo con Gian Carlo che occorre superare, come da anni mi sforzo di dire e di fare, il linguaggio credenti-noncredenti, credenti-atei, fede-miscredenza, credenti- laici perché esso è retaggio ancora di una società cristiana dove era segnato in negativo appunto chi non era credente; in Italia poi credente ha significato fino a non molto tempo fa cattolico tout court. Come, in seguito a processi storici secolari, il termine laico sia diventato e sia usato ( ahimè! ) per definire una persona che non ha riferimenti religiosi non posso svilupparlo qui , ma voglio solo chiarire che per me l’unica distinzione-opposizione ètra laici e integralisti e nontra laici e credenti; ci sono infatti “laici” integralisti e credenti “laici”. Per me la laicità è accettazione della pluralità di visioni della vita, è pratica di convivialità delle differenze, è inclusività senza discriminazione di genere, è responsabilità nell’esercizio attivo della democrazia.

Gian Carlo ha tutto il diritto, ci mancherebbe, di dire no a chi crede all’esistenza di un “figlio di Dio” soprattutto se alla formulazione si dàun significato essenzialistico e ontologico; per me, come per altri emeriti biblisti e teologi, esso ha un significato funzionale ed esistenzialistico. Per qualcuno Gesù era un maestro, per altri un fanatico, per altri ancora un agitatore criminale. Pochissime persone che all’inizio conobbero Gesù conclusero non che lui era Dio o figlio di Dio nel senso ontologico-essenzialistico mache in lui avevano incontrato Dio: un’affermazione certo religiosa, che cioè ritiene che l’esistenza umana abbia un senso in relazione ad una realtà trascendente. Anche per l’evangelista Marco, di cuidon Vitaliano cita in modo esegeticamente discutibile un verso per affermare la divinità di Gesù, non è che un uomo, il profeta dei tempi nuovi la cui missione è di manifestarel’amore liberatore di Dio che “passa il tempo” con peccatori, lebbrosi, portatori di handicap, sordi, ciechi, prostitute, gabellieri, ogni sorta di persona vittima dell’ingiustizia. Gesù, ebreo marginale come lo ha definito nel contesto economico-sociale del tempo John Meier, colui che rivela nella storia le vie di Dio, la cui luce risplende su ciò che è considerato insignificante e marginale.

Mi permetto di segnalare un libro, tra i tanti, utile per tutte e tutti, di Stephen J. Patterson “Il Dio di Gesù- Il Gesù storico e la ricerca del significato”.

L’importante comunque è che gliuomini ele donne di buona volontà, gliuomini ele donne che credono nella giustizia , nell’uguaglianza camminino insieme per realizzarla qui ed ora; bene ha fatto a proposito don Vitaliano a scegliere tra i brani dei vangeli quello del capitolo 20 di Matteo. Che i cristiani, le cristiane nel loro impegno di aprire le vie di altri mondi possibili facciano riferimento alla prassi di Gesù che abbatteva ogni muro, eliminava ogni divisione, s’impegnava a costruire ponti, a trasformare le relazioni tra uomini e donne da relazioni di dominio a relazioni di reciproco riconoscimento e di contaminazione costante, non può costituire un impedimento all’alleanza con tutti/e coloro che vivono la medesima sfida, se riconoscono che il loro non è né l’unico né l’esclusivo riferimento di senso di questo nostro vivere in maniera liberatrice la drammatica vicenda umana.

Peppino Coscione

 

 

 

 

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