L’accoglienza dei bambini

(Comunità dell’Isolotto - incontro comunitario – domenica 16 ottobre 2005)

 

L’accoglienza dei bambini. Questo è uno dei principali temi che stiamo socializzando. Accoglienza come evento simbolico e come responsabilità educativa.

Nel primo senso siamo stati sollecitati a riflettere ancora una volta da una mamma che ha avuto di recente un bambino. Nel secondo senso stiamo riprendendo una esperienza di riflessione e di prassi che trova coinvolte alcune coppie di genitori e persone della comunità con lunga e densa esperienza educativa.

Domenica 16 ottobre il nostro incontro comunitario è stato dedicato proprio a questo.

Dopo aver letto due brani del Vangelo sulla centralità dei bambini, Claudia come commento ha letto un brano di Ernesto Balducci:

C'e in noi un insieme di possibilità che tendono a realizzarsi, ma che non trovano spazio nella cultura a cui apparteniamo.

L'uomo vero non è ciò che è, ma ciò che potrebbe essere. E' questo il fascino che noi, ad esempio, troviamo di fronte ad un bambino. Perché un bambino è affascinante? La ragione che a me preme sottolineare è questa: perché un bambino può essere tutto. Quando vedo un bambino di sei anni - mentre se vedo un impiegato di trent'anni, o un operaio, o un maestro so già chi è - penso che il bambino può essere tutto.

L'aureola che circonda l'infanzia è quella delle possibilità dispiegate dinanzi ad una creatura che potrebbero realizzarsi - ahimè, anche brutte, certo. In noi c'è la possibilità di diventare qualcosa di totalmente nuovo. Quando un bambino parla a ruota libera dice cose stupende, poi quando avrà vent'anni dirà cose idiote come le nostre. Un bambino manifesta il gioco della vita senza i nessi, i collegamenti razionali che ci fanno così saggi, così tristi. In noi c'è l'uomo possibile, che è diverso da quello reale.

Ma quante mutilazioni per arrivare ad essere, diceva un famoso filosofo dei nostri tempi, Marcuse, "uominiad una dimensione": la dimensione della cultura a cui si appartiene, mentre in noi c'è del diverso, c'è altro in noi.

Un grande pensatore marxista, ma revisionista, Ernst Bloch, dice che c'è nell'uomo un principio - pensate al seme nella zolla - che si chiama "principio speranza": è un principio, un germe, che è la speranza.

Un Uomo ha detto "beati i poveri, beati i miti, beati i perseguitati per la giustizia, beati coloro che costruiscono la pace, beati coloro che usano misericordia. Se ti danno uno schiaffo porgi l'altra guancia". Voi dite: "Ma queste, sul piano della cultura in cui siamo, sono tutte pazzie!". Avete mai visto un mondo in cui i poveri sono beati, in cui i miti posseggono la terra? Quando vi dico queste parole, dite. la verità, dentro di voi si sveglia qualcosa, insomma: "Potesse essere vero!". Queste parole profetiche, a diversità della parola della cultura che si riferisce alla ragione e parla da ragione a ragione, si rivolgono all'uomo nascosto che è in ciascuno di noi. Quest'uomo nascosto si alza in piedi perché si sente chiamato in causa. Allora quelle possibilità che erano rimaste rattrappite, congelate, spiegano le ali come colombe, prendono il volo.

Giovanna (Damiano è il suo bambino nato a dicembre) ha poi spiegato i motivi che l’hanno indotta a cercare un contatto con la comunità dell'Isolotto.

Mi sono messa a riflettere – ha detto sostanzialmente - per fare un po' di ordine sulle mie idee e il mio modo di sentire in ambito religioso e mi sono accorta che avrei potuto scrivere un papiro sulla mia storia, per chiarire dove mi trovo ora, cosa penso, quali sono le mie attitudini.

Ma forse per il momento è sufficiente sintetizzare ciò che penso in merito al battesimo e poi, se ci sarà occasione, potrei approfondire con voi il resto.

Ho partecipato di recente a diverse celebrazioni del battesimo di bambini molto piccoli, e devo dire che mi sono sentita piuttosto a disagio per una grande quantità di motivi.

Anche se non sono molto ferrata in campo dottrinale, non sono propensa a vedere l'esigenza di purificare i bambini piccoli dal peccato originale, di cui non capisco il significato (se questo è lo scopo del rito). I genitori, i padrini e le madrine sono tenuti a fare tutta serie di professioni di fede e di "giuramenti" che io non sarei in grado di fare né per me, né tantomeno per un'altra persona, per Damiano.

A ciò aggiungo la convinzione, che sento esprimere ormai da più parti, che la persona che riceve il battesimo dovrebbe essere almeno in parte consapevole di cosa ciò significhi.

Tuttavia fin dalla nascita di Damiano ho sentito l'esigenza di una celebrazione "pubblica" (condivisa) di un evento così misterioso, miracoloso, sconvolgente... In questa eventuale celebrazione di accoglienza di Damiano mi piacerebbe che ci fosse anche una benedizione. Per quanto mi riguarda chiedo per lui una benedizione, e in cuor mio lo benedico, tutte le sere. Ma mi piacerebbe che tutto ciò fosse espresso anche in un rito.

Non partecipo attualmente alle attività di nessuna parrocchia o comunità, e devo dire che è da molto tempo che sento la mancanza di un luogo e di persone con cui condividere (almeno in parte) la mia vita religiosa. Poiché Simonetta mi parlò di alcune vostre celebrazioni di accoglienza per i bambini, le chiesi se mi poteva mettere in contatto con voi.

Il marito di Giovanna ha confermato per gli stessi motivi il desiderio di un gesto simbolico, un rito, che avesse il senso di una socializzazione dell’evento della nascita così denso di significati vitali e di speranza.

Erano presenti altre tre coppie di genitori, con bambini nati da poco uno addirittura da pochi giorni, che hanno manifestato la medesima affinità di sentimenti e gli stessi bisogni di socializzazione.

La discussione ha messo in evidenza come sia sempre emozionante la scoperta di profonde affinità intellettuali, spirituali e morali con persone di cui non conoscevi l'esistenza. Abbiamo camminato sugli stessi sentieri. E ora i nostri percorsi si intrecciano. Il merito è ancora una volta dei bambini/e. La constatazione di una tale convergenza è motivo di speranza e dà senso al procedere sia personale che comunitario.

Dal 1969 facciamo l'eucaristia in piazza dell'Isolotto. Non abbiamo nessuna caratteristica esteriore di appartenenza e nessun obbligo. Nonostante ciò, ogni domenica un piccolo gruppo di persone si ritrova intorno a un rito essenziale specchio di una religiosità in perenne ricerca. Abbiamo scelto la precarietà. Non vogliamo costituirci in qualcosa di stabile. Non cerchiamo di sopravvivere a noi stessi. Ci siamo, creativamente e gioiosamente, finché ci siamo. La nostra eucaristia comprende anche eventi di accoglienza di bambini/e. Qualche volta tale accoglienza ha avuto per richiesta dei genitori un significato di battesimo secondo l’intenzione ecclesiale in una interpretazione liberatrice del Vangelo e dell’esperienza cristiana, interpretazione non certo estemporanea ma legata addirittura alla esperienza storica generatrice del Vangelo stesso e rinnovata nelle varie epoche seppure in forme poco visibili.

E’ stato chiarito che non siamo un’alternativa alla ritualità delle comunità parrocchiali. La nostra comunità e le altre comunità di base non sono e non vogliono essere un’altra chiesa ma semmai una “Chiesa altra”, significando l’impegno a rinnovare continuamente la propria fedeltà e coerenza allo spirito del Vangelo alimentando la propria spiritualità a tutte le fonti della ricerca umana, religiose e laiche, senza mettere in concorrenza Vangelo e altri libri sacri e spiritualità laica e storia.

In questo impegno di fedeltà e coerenza si collocano i gesti simbolici compreso quello dell’accoglienza dei bambini. Non sono mai gesti solo simbolici di una ritualità indiscriminata. Comprendono sempre un senso di responsabilità personale e collettiva. Per questo la Comunità si rende disponibile a collaborare con i genitori per affrontare i problemi educativi in relazione ai temi religiosi, spirituali, etici e morali.

Problemi educativi che hanno diverse valenze. Alcune sono state evidenziate:

- Il problema della crescita dei genitori come persone e della comunità tutta in modo da rafforzare la propria identità e quindi costituire comunque un punto di riferimento coerente per la crescita dei bambini. Quanto più l’educazione si discosta dal modello autoritario e cerca di essere liberante e responsabilizzante, tanto più i soggetti adulti devono avere una identità coerente (dire “identità forte” può essere fuorviante). I bambini/e e poi gli/le adolescenti possono confliggere con i genitori alla ricerca di una identità propria, ma devono aver più chiara possibile l’identità dei genitori con cui confliggono. E forse devono trovare nei genitori, da cui magari in quel momento della crescita possono anche discostarsi, una testimonianza più trasparente e limpida possibile di una impostazione di vita e di pensiero meno omologata, potremmo dire “diversa”. In particolare nel campo religioso e spirituale, ma non solo!, anche se fanno esperienze autonome dai genitori sia per seguire i compagni/e sia per curiosità sia per affermare la propria individualità, avranno davanti sempre la percezione che esiste la possibilità di fare scelte “diverse”, di non seguire la corrente. Avranno davanti un esempio di coerenza magari difficile e pagata di persona, ma gratificante. Questo servirà a dare loro sicurezza nel mentre fanno esperienze diverse. In una fase successiva della vita questa testimonianza potrà servire loro come orientamento e potrà alimentare la stima e l’amore verso i genitori stessi.

- La crescita dei genitori sui temi religiosi, spirituali, esistenziali, etici è importante anche perché abbiano risorse intellettuali e morali da spendere nel rapporto quotidiano con i figli. Non tanto perché abbiamo risposte ai problemi posti dai figli (un po’ anche questo). Le “risposte”, usate come sistema, sono indicative di un rapporto paternalistico e fondamentalmente autoritario. Un rapporto rispettoso si fonda più che sulle risposte sull’offerta di attenzione, di disponibilità interiore e intellettuale, di tempo, di risorse, per mettersi insieme in ricerca delle risposte ai problemi.

- Il problema della omologazione ai modelli dominanti imposti dalla società, omologazione che induce con forza i bambini/e ad adeguarsi per una serie di spinte che vengono loro dai compagni/e, da altri adulti che hanno influenza su di loro (nonni e parenti vari, insegnanti, messaggi televisivi, ecc.). Socializzando questi problemi si può meglio trovare gli equilibri educativi e il superamento delle preoccupazioni e angosce.

- Mettendo insieme competenze (la ricerca comunitaria su questi temi è come si sa decennale) e creatività dei giovani genitori si può impostare anche quest’anno un programma di ricerca per il gruppo dei bambini interessati.

 

Abbiamo fatto la condivisione eucaristica leggendo insieme la preghiera:

 

Celebriamo la vita nascente,

animata da una forza intima,

che oltrepassa ogni nostra possibilità

di comprensione e misura.

Immergiamo in questo evento

perennemente misterioso,

miracoloso, sconvolgente...

i segni di una religiosità

profetica e mistica,

rinnovando la memoria di Gesù.

Prima che fosse esaltato come figlio di dio

fu chiamato figlio dell’uomo

e prima ancora figlio di donna.

In lui, nella sua storia di vita,

si è riconosciuta l’umanità umiliata

che procede nella speranza

col solo bagaglio della propria esistenza:

i poveri, gli emarginati

e chiunque partendo da loro e insieme a loro

cammina verso giustizia e pace qui in terra.

La sera prima di essere ucciso,

mentre mangiavano,

prese del pane lo spezzò

e lo diede loro dicendo:

prendete questo è il mio corpo.

Poi prese un bicchiere rese grazie,

lo diede loro e tutti ne bevvero

e disse loro:

questo è il sangue mio dell’alleanza

che si sparge per la moltitudine.

Questo pane che condividiamo,

questi segni che ci scambiamo

intrecciando liberamente i sentimenti,

le ansie, le esperienze e le fedi più diverse

per lo Spirito di Gesù

siano un segno e un principio

di riconciliazione, di solidarietà

e di pace universale,

a partire dall’accoglienza

e dai diritti dei bambini.

 

Ci siamo lasciati, dopo l’eucaristia, con l’impegno di ritrovarsi di nuovo. Alcuni genitori si sono presi l’impegno di coordinare il gruppo.

 

 

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