Enzo Mazzi

La nostra responsabilità per quel ragazzo morente

il manifesto 26 settembre 2006

 

Quel soldato morente ci interpella. Interpella chi ha mandato quei ragazzi nell’inferno dell’Afganistan. Interpella chi non è riuscito a impedire che fossero inviati. È come se l’avessimo ucciso noi. Mi sento in colpa. Forse è così per ogni morte. Sarà a causa di una cultura violenta e intimamente terrorizzante assorbita nel profondo, che lega inscindibilmente la morte al peccato. Ma qui non c’è di mezzo un generico peccato per cui tutti siamo davanti a Dio in qualche modo colpevoli di tutto e quindi in pratica nessuno è veramente responsabile del male che attanaglia il mondo. Qui c’è di mezzo l’immenso peccato della guerra. E c’è di mezzo l’altrettanto immenso peccato del terrorismo.

Ma io pacifista che c’entro? Perché io mi devo sentire in colpa? Non è autolesionismo?

E invece ritengo che ci sia da riflettere sulla nostra responsabilità. Perché il movimento non ce l’ha fatta a impedire la guerra e il coinvolgimento dell’Italia. Non è riuscito ad allargare il consenso verso l’opposizione alla guerra in modo da bloccare la politica bellica. Eravamo tanti nella manifestazione contro la guerra che il 9 novembre 2002 concluse il Forum sociale europeo a Firenze e tante erano le bandiere arcobaleno appese ai balconi. Ma non abbastanza. Dovevamo essere dieci volte di più. Bisognava arrivare a bloccare il paese. Per questo mi sento sulla coscienza le vittime di quella guerra e di ogni guerra, e la sorte di questo ragazzo che sta morendo in Afganistan. Ditemi pure che questo è moralismo. Che è una colpevolizzazione frustrante e distruttiva per chi ce la mette tutta. Che non serve a nulla anzi serve a diluire la responsabilità dei veri colpevoli. Vi ascolto ma continuo a sentirmi responsabile.

Responsabile ma non vinto.

Il movimento contro la guerra dovrà ripartire. Forse non riuscirà nell’immediato a riportare a casa i giovani militari e certamente noi non ce la faremo a veder raggiunto l’obbiettivo a lunga scadenza di trasformare la guerra in un tabù rivoltante per la cultura mondiale, per la coscienza e la ragione. E continueremo a sentirci responsabili per ogni vittima della guerra. A noi è chiesto di credere che la pace e la nonviolenza attiva sono la pasta e l’anima profonda dell’universo, di diffondere questa convinzione e di scommetterci la vita.

 

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