Fiorino d'oro" ad Enzo Mazzi e all'Isolotto?

La curia non gradisce. Ma dal card. Piovanelli una lezione di laicità

 

Adista n.83/2006

Il "Fiorino d'Oro" a Enzo Mazzi e Sergio Gomiti, preti, da quasi quarant'anni, della Comunità di base nel quartiere fiorentino dell'Isolotto: l'iniziativa è partita dal basso, da "alcune cittadine e cittadini" di Firenze, che volevano "dare un riconoscimento a due persone e, ancor più, attraverso di essi, ad esperienze che hanno segnato profondamente la storia recente di questa città". L'istanza della società civile è stata raccolta dal presidente del Consiglio comunale Eros Cruccolini, che l'ha portata a Palazzo Vecchio ma ha incontrato l'ostilità, tanto decisa quanto sorprendente, della Chiesa fiorentina. Avvertita, spiega Cruccolini ad Adista, in nome delle "elementari regole di buon vicinato istituzionale", la Curia arcivescovile ha fatto pervenire per bocca dell'ausiliare e vicario generale mons. Claudio Maniago un chiaro verdetto di "non gradimento".

Lo ‘stop' dell'arcivescovo, card. Ennio Antonelli, che si è sempre rifiutato di incontrare Mazzi o di visitare la comunità dell'Isolotto, sembra essere andato a segno: il sindaco di Firenze, il Ds Leonardo Domenici, sarebbe infatti intenzionato a non conferire il "Fiorino" a personalità che ‘dividono' – era già accaduto, ad esempio, con la scelta di non darlo ad Oriana Fallaci – e non vuole rovinare i buoni rapporti con il card. Antonelli, dato tra i favoriti per la successione del card. Camillio Ruini alla guida della Cei.

A sostenere la candidatura di Mazzi – e ribadire la distinzione tra il "campo religioso" e quello "politico" di fronte a una clamorosa interferenza – è intervenuto però un altro prelato, l'arcivescovo emerito di Firenze, card. Silvano Piovanelli. Lo ha fatto di persona, non facendo mancare la sua presenza all'Isolotto, pochi giorni dopo lo scoppio della polemica, per la presentazione del libro "Memorie, 50 anni all'Isolotto", curato da don Sergio Gomiti insieme a Fabio Pini.

"Quello di Enzo Mazzi", spiega Piovanelli, "è stato un impegno sociale notevole" e un riconoscimento come il ‘Fiorino' avrebbe certamente "il suo significato". Poi, aggiunge, "che c'entra la Curia?": "Se il Comune lo ritiene, giudichi e lo dia"; quello religioso e quello politico "sono due campi distinti".

Certo, aggiunge il cardinale, Mazzi "è stato un prete di rottura, ma questo non toglie che la sua presenza sia stata importante e punto di riferimento per alcuni". "Se la Curia dovesse conferire il Fiorino, sicuramente non lo darebbe a Enzo Mazzi, dal momento che ad un certo punto si è staccato. Questa, però, è una cosa diversa".

La Chiesa fiorentina non riesce a dimenticare quell'inverno del ‘67 quando si consumò la rottura tra Enzo Mazzi e il cardinale Florit: espulso dalla parrocchia, Mazzi portò con sé un'intera comunità che da allora ha continuato a lavorare e far crescere "con coraggio", secondo le parole della storica Anna Scattigno, "un quartiere nato da gente sradicata che ha trovato così le proprie radici".

"Noi non vogliamo certo dare un riconoscimento al contrasto con la Curia", spiega ancora Cruccolini. "Quella è una vicenda vecchia, le motivazioni sono altre, del tutto laiche: l'impegno di Mazzi nel campo della socialità e dell'integrazione, le sue battaglie civili per la comunità, che hanno portato i servizi essenziali, scuole, autobus, strade asfaltate a un quartiere che non aveva nulla". "Vogliamo anche amplificare", aggiunge, "l'opera di tanti sacerdoti coraggiosi che ci sono oggi a Firenze, dare un messaggio importante perché in controtendenza rispetto ai disvalori odierni dell'individualismo e del consumismo".

Però, aggiunge, quella della Curia è una risposta "assurda", "incomprensibile" soprattutto in un momento in cui si fanno discorsi "sui detenuti, sull'indulto, sul perdono di chi sbaglia, e poi non si è in grado fare un passo verso i propri pastori, verso chi ci è più vicino".

Più grave il quadro descritto da Moreno Biagioni, dell'Archivio del Movimento di Quartiere di Firenze: "Sembra che l'amministrazione laica di una città come Firenze che ha dimostrato in passato di voler essere punto d'incontro e di dialogo fra le persone e fra i popoli, abbia bisogno dell'autorizzazione della Curia per dare un piccolo segno di riconoscenza a chi ha sempre operato per affermare la cultura della pace, della convivenza, della solidarietà". Non regge nemmeno il paragone con il caso della Fallaci. A lei, scrive Biagioni sul Manifesto, "quella assegnazione non è stata fatta perché si riteneva inconcepibile che un riconoscimento dato da una città ufficialmente definitasi ‘operatrice di pace' fosse attribuito ad una persona che aveva istigato allo ‘scontro di civiltà'".

Come andrà a finire? Il braccio di ferro, dentro e fuori Palazzo Vecchio, continua. Il vicesindaco di Firenze, Giuseppe Matulli, ha appena firmato la presentazione di un libro che ripropone un convegno organizzato all'Isolotto dalle Comunità di base italiane sul tema, guarda caso, della laicità, in cui nota come con "l'avvento dei presunti ‘laici' dopo la lunga parentesi del cosiddetto partito cattolico", la "larghezza del Tevere" che misura il tasso di clericalismo del Paese si sia in realtà "ristretta". Dall'Isolotto, invece, si fa sapere che la proposta non muore qui e che ci saranno "altre iniziative, magari altre raccolte di firme". (alessandro speciale)

 

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