Roberto Bartoli

Scienza della natura e società

 

Riflessioni su scienza e fede esposte a voce nell'incontro della Comunità dell’Isolotto del 3 marzo 2008.

 

Intervenendo nel dibattito vivacissimo sulle due culture, quella letteraria e quella scientifica, apertosi negli anni ’60 del ‘900, nel suo libro “Retorica e Logica” il filosofo Giulio Preti osserva: “la cultura scientifica opera con l’idea di un valore assoluto, l’idea di «verità»”. In altre parole, la scienza in quanto forma culturale umana, ha per scopo la conoscenza oggettiva della realtà naturale, ed è quindi indifferente a valori ed interessi estranei al principio di verità. In relazione a questo obiettivo, la sua specificità consiste in particolari procedure che la distinguono da altre forme culturali di sapere. Senza entrare nei dettagli si può in proposito richiamare l’eredità di Galilei: il metodo della scienza si basa sulla formulazione di ipotesi da sottoporre poi a verifica sperimentale per saggiarne la validità. L’enunciato scientifico, cioè, è verificato o falsificato in rapporto con l’oggetto naturale. Questo significa che la verità scientifica si costruisce dal basso, con un lavoro incessante di elaborazioni di ipotesi e di controlli ininterrotti, per cui è estraneo al metodo scientifico il principio dell’autorità, per il quale la verità si trasmette dall’alto da parte degli auctores che ne sono i depositari. La scienza è quindi aperta al futuro, a nuove scoperte, al rinnovamento ed all’accrescimento delle verità precedentemente acquisite, mentre la cultura autoritaria è statica e guarda al passato. Questo significa che la scienza è di tutti, che la verità non ha padrone e quindi le è connaturata la più ampia libertà di ricerca e di discussione e si rivolge ad una ideale universalità umana e non a soggetti particolari, storicamente determinati. Ovviamente, dato questo metodo di ricerca orientato al raggiungimento della verità, la validità dei risultati non dipende dal consenso, appunto perché la verità scientifica è autofondata. La democraticità della scienza consiste piuttosto nel fatto che i suoi risultati sono disponibili per tutti e si impongono per la forza logico-razionale del suo metodo. Tutti, perciò, attrezzandosi culturalmente, possono comprendere da soli le verità scientifiche. Tali non perché imposte autoritativamente, ma perché sono verità aperte e disponibili per tutti gli esseri umani, universalmente, senza chiusure particolari. In conclusione, libertà, democraticità, universalità, laicità, razionalità sono i requisiti specifici della scienza, il cui valore assoluto è quello della verità.

Nella sua affermazione come forma culturale umana agli inizi del mondo moderno, la scienza della natura è stata costretta a scontrarsi con altre forme e poteri culturali. La vicenda di Galilei è in proposito esemplare. Contro una Chiesa che pretendeva di mantenere il monopolio della cultura e dell’assistenza sociale, la scienza galileiana ritagliava un ambito di ricerca e di conoscenza nel quale era tolto alla gerarchia ecclesiastica il diritto di interferenza e di applicazione del principio di autorità. In altre parole, nella figura dello scienziato moderno si concretizzava l’affrancamento dai poteri totalitari della Chiesa, di cui si restringeva la legittimità del campo d’azione.

La lezione che se ne ricava è che la cultura scientifica è anch’essa una forma culturale umana che si è andata costituendo in un lungo processo storico, interagendo con altre forme culturali, non solo, ma anche con processi economico-sociali e politici che hanno riversato i loro effetti sulla stessa formazione del metodo scientifico moderno. Ad esempio, la visione quantitativa della natura che sta a fondamento della fisica galileiana consentendone la formulazione matematica, è stata in realtà preceduta dalla quantificazione della vita sociale che prende corpo nel basso Medio Evo, con lo sviluppo di una economia indirizzata sempre più alla crescita della quantità di ricchezza. Data, quindi, questa sua sostanziale storicità come forma culturale, non possiamo perciò esimerci dall’osservare la posizione della scienza naturale nel mondo contemporaneo. In altre parole, proprio per rimanere fedeli al metodo ed ai principi della scienza, possiamo applicare il suo spirito razionale per vedere criticamente quali sono i rapporti che intercorrono fra cultura scientifica e società odierna.

Si è detto che il valore che sta a base della scienza naturale moderna è quello della verità, della conoscenza vera della natura, da raggiungere col metodo ipotetico-sperimentale basato sulla più ampia libertà, sulla discussione critica, sulla logica e sulla razionalità. Non ci sono nella scienza autorità che possano pretendere di detenere la verità e di imporla agli altri. Nello scontro con la Chiesa, la scienza moderna ha saputo difendere i suoi requisiti specifici. Ma nei riguardi dei poteri forti che dominano la società moderna ha saputo e sa fare altrettanto? Detto altrimenti, i principi di libertà, di universalità, di democraticità, che la sostanziano come forma culturale umana, non sembra siano stati capaci di oltrepassare l’ambito interno della ricerca scientifica, per riversarsi all’esterno ed improntare di sé, antropologicamente, la vita sociale, il costume, la mentalità degli esseri umani. Insomma, nella dinamica della società più che spirito critico, più che disinteresse per il proprio particolare e, al contrario, interesse per la verità in generale, più che esercizio di pacata razionalità, incontriamo ancora oggi il loro opposto. Non solo, ma se consideriamo quelli che sono i potentati di oggi, cioè i poteri economici, vediamo che non è il sapere che comanda l’economia, non è la verità che comanda l’utile, bensì è l’utile economico che comanda la verità e la strumentalizza. Si assiste insomma alla mercificazione del sapere, con la conoscenza sussunta a strumento di produzione sotto il comando degli interessi capitalistici. Ci sono alcuni rari scienziati che si ribellano a questo stato di cose, come quella biologa statunitense a cui una grossa impresa transnazionale Usa aveva dato incarico di effettuare ricerche che dovevano confermare la bontà di un determinato prodotto. Visto l’esito contrario, essa ha pubblicato su una rivista scientifica i risultati ottenuti, incorrendo però in una causa legale che le è stata intentata dall’impresa, con richiesta di risarcimento di danni per diversi milioni di dollari, perché nel contratto di assegnazione di incarico una clausola le vietava di pubblicizzare la sua ricerca qualora non avesse confermato la bontà del prodotto da vendere. In generale però non sembra di assistere ad una affermazione di indipendenza della scienza rispetto a questi potenti interessi. Se non altro perché, il livello della ricerca è tale da richiedere ingenti finanziamenti che attualmente sono assicurati dal grande capitale a scopi economici e dagli stati prevalentemente per finalità militari.

In conclusione, se collochiamo il tema della scienza moderna in quello più comprensivo della modernità, si può constatare che lo sviluppo scientifico ha avuto di fatto, antropologicamente, un impatto dissolvente sul mondo premoderno, disincantato criticamente nei suoi miti e nelle sue visioni sacre. Non altrettanto, però, è avvenuto nei confronti dei miti e degli incantesimi della modernità. Si è, infatti, mitizzata e sacralizzata la scienza mediante la cultura illuministico-positivista, assegnandole il ruolo fondamentale di forza che guida deterministicamente l’inarrestabile progresso umano, senza però applicarle nel suo rapporto con la realtà sociale, quella scientificità critica che costituisce il suo requisito sostanziale. Non solo, ma non si è stati altrettanto critici e disincantati nei confronti dell’altro grande mito della modernità, il mito economico con tutti gli orpelli sacri che lo accompagnano. Si può concludere osservando che probabilmente i due illuministi critici più coerenti sono stati Leopardi e Marx. Il primo, specialmente nella poesia “La ginestra”, demitizza il mito del progresso ineluttabile e ripudia ogni mito consolatorio; il secondo, nelle opere della sua maturità, disincanta il mito propagato dall’economia politica di leggi economiche astoriche ed universali, disoccultandone la relatività storica.

 

 

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