Il matrimonio nel vangelo e nella teologia.

 

Relazione di Ernesto Balducci in un incontro all’Isolotto-Firenze marzo 1974

 

Trascrizione da registratore, rivista dall’autore, conservata nell’Archivio storico della Comunità dell’Isolotto

 

Svelare le mistificazioni e le menzogne.

 

A mio modo di vedere, è beve affrontare il referendum traendone tutti i vantaggi possibili, una volta che una certa parte ne ha messo in moto la macchina e nonostante che esso, con tutta evidenza, voglia coprire una manovra con obbiettivi reazionari.

Credo che il primo vantaggio sia proprio quello di convocare le masse ed in specie le comunità cristiane, come qui, stasera, ad affrontare in modo critico questo come altri problemi in cui rimane inceppata, per mancanza di consapevolezza, la nostra crescita sociale. Affrontare questi problemi, per svelare tutte le mistificazioni, le menzogne, concretizzate e dissimulate all’interno di certi principi suggestivi.

Parlando da cristiano a gente che in gran parte si ritiene tale, ci tengo a dire che il momento che stiamo vivendo è proprio il momento in cui dobbiamo abbattere (noi ne siamo i primi responsabili) quella che chiamerei l’ideologia cattolica, come ideologia di copertura del mondo borghese, il quale mondo borghese trova vantaggio nel coprire i suoi obbiettivi di conservazione sociale con dei valori cosiddetti cristiani che hanno ancora una grandissima forza di suggestione nelle coscienze.

La difesa della famiglia cristiana è un aspetto dell’ideologia cattolica che, molto di più di quanto potremmo pensare,  nasconde la volontà di conservare un certo tipo di società e un certo tipo di sistema di rapporti di proprietà. Alzare quindi questo velo è in un sol momento recuperare la possibilità di un rapporto più vivace, più liberatorio col Vangelo e smascherare le reali intenzioni della classe dominante. Così quando i nostri vescovi hanno creduto di dover convocare i cattolici a una battaglia, la battaglia della indissolubilità giuridica del matrimonio in Italia, hanno fatto riferimento a un modello cristiano della famiglia e certo un tale riferimento non può non avere risonanza nella coscienza di una larga parte del popolo italiano, anche di quella che politicamente ha fatto delle scelte dissenzienti nei confronti della chiesa.

 

 

Non esiste un modello cristiano di famiglia

 

Che cosa si nasconde, però, dietro questo cosiddetto modello cristiano della famiglia? E’ lecito attribuire al messaggio cristiano un modello di famiglia quale quello che abbiamo ereditato dal passato e che ancora sopravvive? Ecco, la risposta è subito NO. Si tratta appunto di una menzogna, non di quelle architettate da chi sa quale mal intenzionato, ma di quelle menzogne che nascono per una specie di escrescenza storica progressiva, sulla spinta di altre ragioni che non sono di tipo ideale, ma pratico.

Non esiste la “famiglia cristiana”, essa è appunto un falso valore. Io vorrei mostrarvi come liberandoci da questa falsificazione, ricercando anche le ragioni per cui essa è nata e si è fatta valere e riferendoci con coscienza liberata alle esigenze evangeliche, noi ci mettiamo in movimento tra le forze che mirano a far crescere la nostra società e liberarla anche da altre schiavitù.

Che cosa intendiamo quando si parla di modello cristiano della famiglia? Noi possiamo riferirci o al particolare ordinamento giuridico della famiglia, quello che è stato elaborato lungo i secoli dalla chiesa cattolica, oppure ad un particolare concetto etico, morale della famiglia, che, anche indipendentemente dall’ordinamento giuridico-canonico, si è fatto valere da parte della società italiana. Per cui si dice che la famiglia tipica italiana è una famiglia di formazione cristiana.

Ora, spieghiamoci su questo punto. Intanto sta di fatto che quando noi parliamo della famiglia secondo l’ordinamento canonico, quello che per adesso rimane in prima gestione della Sacra Rota e dei Tribunali diocesani, noi non dobbiamo affatto ritenere che si tratti della traduzione giuridica di un ideale evangelico. Si tratta invece di una creazione storica, precisamente databile, di cui è responsabile la chiesa cattolica.

I primi cattolici non avevano un ordinamento giuridico proprio della famiglia. Essi vivevano la vita di famiglia, ed anche diremmo istitutivi, secondo il costume del tempo. Non c’era, per dir così, il matrimonio in chiesa; non c’era una anagrafe o un tribunale ecclesiastico  per i matrimoni, non c’era il prete, al matrimonio. I cattolici si sposavano come tutti gli altri. Non sentivano alcun bisogno di dare al loro matrimonio un ordinamento giuridico particolare all’interno del generale ordinamento giuridico della società in cui vivevano, specialmente in quella romana.

Ad esempio, là dove erano le famiglie a stabilire il matrimonio dei figli, i primi cristiani facevano come gli altri: il padre di famiglia destinava alla figlia un dato marito, d’accordo con la famiglia del promesso sposo, senza che i due interessati potessero aggiungere nulla, perché questo era il costume.

Inutile quindi andare a cercare nei primi cristiani un modello di “famiglia cristiana”. Così, per quanto riguarda il modello etico della famiglia, non esiste un concetto etico specificamente cristiano, nei primi secoli. C’è una visione, se vogliamo, di fede, teologale, cioè legata al riferimento a Cristo. Non esiste però un ideale di famiglia con particolari contenuti morali. La prassi familiare si modellava sul costume morale del tempo. Anche se è chiaro che il cristianesimo impose un rigore morale, un rifiuto di certe forme di depravazione, una condanna di certe degenerazioni; però non disse cose diverse da quelle che poteva dire l’etica degli stoici o dei pitagorici. Quindi il cristianesimo non si presenta con una sua etica familiare formulata nei primi tempi.

 

 

Come nasce il concetto di modello cristiano della famiglia

 

Solo quando la chiesa, dopo Costantino e precisamente con Giustiniano, acquista una responsabilità di tipo sociale, per cui tutti i momenti della vita sociale vengono gestiti dal clero, incomincia a formarsi un ordinamento matrimoniale cristiano che, come vedremo, si è poi accresciuto, si è arricchito, si è accreditato in ogni modo fino a trovare il suo sigillo nel Concilio di Trento e a diventare anche un modello di ispirazione per molti ordinamenti giuridici civili. Il codice napoleonico fu in gran parte tributario di questa tradizione giuridica della chiesa medioevale.

Tuttavia ci domandiamo se il matrimonio cosiddetto cristiano ha veramente obbedito alle esigenze evangeliche o non piuttosto alle esigenze della società del tempo. La risposta è chiara: la cosiddetta famiglia cristiana, con tutti i connotati giuridici ritrovabili nel codice canonico, con tutti i connotati etici ritrovabili nel costume esemplare, è un prodotto storico e, come tale, relativo.

Per cui io non riesco a capire, proprio dal punto di vista diremo dell’individuazione culturale, che significhi difendere in una società pluralistica un modello cristiano di famiglia, perché non so quale dia questo modello, perché non si dà un modello proprio del cristiano.

La famiglia cristiana, se noi la conserviamo come prodotto storico ereditario, nasconde invece in sé particolari pregiudizi, particolari difformazioni, particolari rapporti sociali legati allo sfruttamento che sono tutti da rifiutare.

 

 

Caratteristiche storiche delle famiglia cristiana da considerare superate.

 

Quali sono queste caratteristiche storiche da considerare superate? Innanzitutto è chiaro che l’unità della famiglia cristiana usufruiva di un dato economico, era l’unità patrimoniale. Il padre di famiglia era l’unico responsabile del patrimonio familiare, era lui l’unica figura economica della famiglia. E quindi l’unità della famiglia, anziché essere il prodotto della scelta cosciente dei coniugi, era un portato fatale dell’indivisibile unità patrimoniale. Che cosa avrebbe potuto fare una buona donna cristiana, si fa per dire, di ceto povero, se avesse se avesse avuto mille motivi per lasciare il marito: andare a morire di fame o essere rifiutata dalla società abbiente come donna deplorevole, di cattivi costumi, ecc. La donna era legata a questo giogo dell’indissolubile monarchia economica del padre di famiglia.

A reggere l’indissolubilità della famiglia, oltre a questa ragione economica, esisteva un ambiente cosiddetto monoculturale, cioè a cultura unica, per cui tutti gli elementi culturali dell’ambiente spingevano a ricercare la propria identità nella famiglia di appartenenza.

Una donna non aveva un suo mondo culturale. I figli non avevano un mondo culturale autonomo. Non c’erano spazi diversi per l’esperienza di vita. La famiglia rappresentava il luogo normale e continuativo della esperienza culturale. L’unità quindi si manteneva perché mancavano forze centrifughe , aperture di orizzonti diversi per i componenti della famiglia. Pensate, ad esempio, al legame quasi fatale fra il lavoro del padre e del figlio

In terzo luogo c’era la subordinazione della dona all’autorità maritale, che era una norma assoluta. L’attività pastorale della chiesa ha in questo una specifica responsabilità, perché il modello che si forniva alla donna era un modello di subordinazione al marito. La “donna cristiana” è quella che dice sempre di sì al marito, che non ha in nessun campo iniziativa propria, le cui virtù sono tutte una garanzia alla tirannide maschile e i cui compensi mistificanti sono l’essere l’angelo del focolare.

Perfino San paolo porta riflessi della condizione sociale della donna dei suoi tempi, quando dice che la donna deve essere sottoposta al marito, o deve coprirsi il capo quando entra in assemblea perché il capo della donna è l’uomo.  San Paolo non rivela niente che abbia rapporto con la liberazione portata da Gesù Cristo Assume norme di comportamento proprie della società ebraica. Ma noi dobbiamo sapere che la fedeltà alla parola di Dio non è fedeltà ai modelli sociologici del comportamento, legati ad una certa fase dello sviluppo storico. La parola di Dio non assolutizza, non rende normativi quei modi di comportamento, ci esorta anzi a liberarcene.

E alla fine c’era il pessimismo sessuale, che svuotava la famiglia di ogni significato positivo di comunione spontanea a tutti i livelli e relegava la vita sessuale a una funzione di servizio in rapporto alla azione.

Il matrimonio è per i figli. In realtà, pensate che nel passato, anche in quel passato che certi nostalgici rimpiangono, il consenso libero della donna al matrimonio era una circostanza neanche presa in considerazione. La donna aveva così radicalmente accettato il modello impostole dalla società e dalla chiesa che aveva perfino vergogna a dire che desiderava prender marito; magari lo desiderava con tutta se stessa, ma tale desiderio rimaneva inibito. Doveva esser lei, la donna cercata. Doveva essere senza iniziative e con un’etica del comportamento femminile che voi conoscete bene.

La stessa definizione della donna era di tipo biologico. La donna si definiva in rapporto alla sua biologia: era vergine o madre. Non persona, come l’uomo, capace di decidere della propria vita indipendentemente dalla condizione biologica; ma legata strettamente a questa, con delle sfere di mortificazione terribili, come la donna che non ha sposato, la zitella, considerata una donna fallita.

Oggi ci troviamo nella situazione in cui lo sviluppo della società ha messo in crisi le componenti di struttura che sorreggevano un certo tipo di  famiglia cosiddetta cristiana. Abbiamo una crisi della famiglia che per molti è la crisi della famiglia cristiana, ma che invece è la crisi della famiglia tradizionale e niente altro.

Allora, un credente, quali doveri ha in questo momento? Non di stringersi di far quadrato attorno a un modello di famiglia che non ha più nessuna ragione storica di continuare, ma rifarsi all’esigenza evangelica, interrogarsi di fronte al Vangelo.

Ora, secondo me, il Vangelo, non ci dà nessun esempio di famiglia precisa. Anche la sacra famiglia è un’invenzione posteriore, borghese, perché la famiglia di Nazareth, non è un modello di famiglia, per il semplice fatto che, almeno nelle convinzioni di fede, Maria e Giuseppe non erano autenticamente marito e moglie. Quindi, presentare come modello di famiglia un modello in cui proprio l’aspetto principale non era integro, significa fare una mistificazione.

 

 

Indicazioni evangeliche.

 

Occorre domandarsi piuttosto in che senso il Vangelo si apre a questa esperienza particolare della vita che è l’amore nella famiglia, nella linea della liberazione, cioè nella crescita secondo il disegno di Dio.

A me pare che ci siano dei punti fermo, questa volta autenticamente fermi, a cui fare riferimento in questo tentativo di recupero del significato evangelico che può avere la vita nell’amore, la vita familiare. Innanzi tutto , è sicuramente un’affermazione di fondo del Vangelo che dinanzi a Cristo non c’è nessuna differenza fra l’uomo e la donna, dinanzi a Cristo non c’è né maschio né femmina.

Quelle discriminazione desunte dalla realtà sociologica, che hanno un riflesso nella sacra scrittura, devono essere subordinate a questa che è l’autentica rivelazione in rapporto alla resurrezione: in Gesù Cristo la disparità tra l’uomo e la donna è abolita. Certo noi sappiamo che la parola del Vangelo non si presta a diventare – guai del  se lo facessimo – un fondamento per nuovi ordinamenti giuridici; perché la parola del Vangelo, come si suol dire, è parola profetica, cioè una parola che indica certe linee di crescita, le quali sboccano in una totale liberazione cristiana.

In secondo luogo, secondo il Vangelo, la fedeltà non è il risultato di una legge esterna che costringe, ma è un’espressione dell’amore.

Un’altra esigenza interna allo spirito evangelico è il rifiuto della strumentalizzazione, del rendere l’altro uno strumento di sé.

Espressioni bibliche quali. ”la persona umana è fatta a immagine di Dio”, “amate i vostri mariti come la Chiesa ama Cristo”, “amate le vostre mogli come Cristo ama la Chiesa”, per un credente sono un invito decisivo a rifiutare di fare dell’altra persona uno strumento di sé, si tratti dei rapporti fra coniugi, si tratti di rapporti familiari.

Questo rispetto della persona significa garanzia del rapporto veramente comunitario, perché tra rapporto comunitario e rapporto di società stabilito dalla legge c’è una differenza di qualità: il rapporto comunitario in tanto è, in tanto vive, in quanto trova la sua sorgente nel libero consenso e nel rispetto spontaneo della coscienza verso l’altro; i rapporti societari invece sono quelli che si stabiliscono per forza di legge.

 

 

La famiglia è un’istituzione legata alle condizioni storiche.

 

Siamo all’ultimo punto: non dobbiamo cadere in un così ingenuo evangelismo da credere che la famiglia non interessi la società, che debba essere riferita soltanto all’esperienza spirituale.

Ogni espressione dell’uomo, ma la famiglia in particolar modo, in quanto si innesta nei rapporti sociali generali, ha bisogno di istituzionalizzarsi. La istituzionalizzazione è un momento di serietà umana, il momento in cui si traduce in norma esterna la responsabilità di fronte alla società intera.

Però, non è con questo momento istituzionale che si definisce la famiglia. Il momento istituzionale è quello in cui l’esperienza della famiglia assume rapporti e responsabilità con l’insieme della realtà sociale. E la società, come tale, ha bisogno di tutelare la famiglia, di farsene garante in qualche modo, di proteggerne e favorirne lo sviluppo. Ma questo momento, lo ripeto, è un momento del tutto legato alle condizioni storiche e varia a seconda del mutare delle condizioni storiche; perciò oggi c’è bisogno di una nuova istituzionalizzazione della famiglia.

La famiglia è una creazione continua. Nella Bibbia c’è la poligamia, poi si è acquisito il concetto della famiglia monogamica, che forse è un concetto irrinunciabile. Però non si deve dire che è la natura che l’ha voluto, perché questo significa attribuire alla natura astratta delle conquiste storiche che non invece relative anch’esse.

Forse la famiglia dovrà cambiare ancora forma, dovrà cambiare struttura. Il concetto del diritto naturale è un concetto dell’immobilismo borghese, con cui si sono voluti rendere eterni e immutabili alcuni rapporti che erano funzionali alla società borghese. E qual è il criterio con cui la famiglia deve cambiare struttura? E’ quel di più di libertà che l’uomo deve avere. Quando diciamo libertà non parliamo della libertà soggettivistica identica al libero arbitrio, ma di una libertà in cui veramente l’esistenza dell’uno sia garanzia e condizione della libertà di tutti gli altri.

Questa crescita della famiglia presuppone un nuovo diritto familiare in cui dovrà essere anche previsto il caso nel quale la fedeltà reciproca di indissolubilità non è più possibile. Cioè la clausola del divorzio come verifica di un fallimento dell’esperienza e come legittima dei due, che hanno portato a termine un’esperienza fallita, di crearsi una esistenza coniugale. Questo la legge lo può fare; a rigore, lo deve fare. Però il diritto di famiglia non è questo. Ecco perché dovremo, una volta superata la battaglia sul referendum, considerarci continuamente mobilitati per favorire in Italia una modificazione profonda del diritto di famiglia, perché esistono già ormai le condizioni di coscienza generali e perché certe norme giuridiche della tradizione siano abolite e superate.

E naturalmente, quando si fa questa battaglia per un nuovo tipo di famiglia, si deve fare anche una battaglia per un nuovo tipo di società, perché se i rapporti economici rimangono quelli che sono poco vale il modificare i rapporti giuridici. Al più avremmo un aggiornamento neo-capitalistico della famiglia.

In ogni caso, una battaglia per la famiglia che si apre con il referendum, non si chiude con il referendum. Però dobbiamo dirci che noi, in quanto cristiani, non abbiamo niente, nessun modello nostro da difendere. Noi dobbiamo ricercare con gli altri un modello giuridico ed etico di famiglia, perché non abbiamo privilegi di nessuna sorta come credenti.

Come credenti ci compete l’onere e il privilegio, se volete, di essere fedeli alle ispirazioni evangeliche fondamentali; ma queste ispirazioni non sono da tradurre come modello etico-giuridico, poiché sono una spinta continuamente trasformante della realtà storica, disponibili a sempre nuove forme di ordinamento familiare.

 

 


                                             

  Il dibattito

 


 

d. Vorrei sapere il suo parere sulla credibilità umana ed evangelica di una chiesa che, mentre chiama a raccolta i fedeli per la crociata antidivorzista, resta complice dei crimini contro l'amore e la famiglia commessi da questa società per esempio attraverso l'emigrazione; che non ha il coraggio di alzare un dito contro l'assassinio con la garrota dei giovani spagnoli. Padre Sorge, a proposito di questo silenzio della chiesa di fronte ai garrottati, ha detto che essa deve rimanere neutrale per difendere l'uomo. Cosa ne pensa?

 

d. Quando si guadagnano 120.000 lire al mese, anche se l'amore è grande, subentrano dei problemi che lo mettono in pericolo. Ma la chiesa ufficiale non si occupa di questo, anzi ce la ritroviamo tra coloro che ci sfruttano. Essa si ricorda che ci siamo solo quando deve difendere i propri interessi e privilegi, come per il referendum.

 

Balducci: Noi dobbiamo su questo essere pacificamene d'accordo: non possiamo aspettarci un'azione di vera liberazione e di vera difesa dell'uomo da quel tipo di chiesa a cui voi vi riferite. Che volete aspettarvi, che il Vaticano condanni Franco? Lo farà quando Franco è già morto. Noi dobbiamo occuparcene come di tutte le strutture che impediscono la nostra libertà. Però, anche noi - quelli di noi che si proclamano cristiani - siamo chiesa e quindi dobbiamo preoccuparci di condurre avanti una lotta che sia davvero secondo il Vangelo e secondo le esigenze dell'uomo, senza turbarci ogni momento per l'ombra scura che manda dall'alto l'istituzione. Non possiamo star sempre dietro a quello che dice padre Sorge. Infatti il direttore di 'Civiltà Cattolica', uomo del sistema, anche se viene ritenuto aperto, si trova sempre costretto in qualche modo a difendere la neutralità di una chiesa che invece non è neutrale, perché se Franco è lì, è perché quando ci andò, aveva tutte le benedizioni del santo padre e di tutti i vescovi. Non dobbiamo nemmeno troppo entusiasmarci di certi cambiamenti dell'istituzione, perché sono dettati da un certo opportunismo storico, come, per esempio, l'atteggiamento di certi vescovi che cominciano a vergognarsi di avere Franco lassù, perché, al solito, si tratta di pentimenti un po' tardivi: quando ormai una tirannide è diventata odiosa al mondo intero, allora ci si accorge che sarebbe il caso di levarsela di torno.

Noi, quelli di noi che sono cristiani. Dobbiamo assumerci direttamente la responsabilità di rappresentare nel mondo le esigenze del Vangelo e quando tali esigenze sono contraddette da tale struttura, combatterla, denunciarla, soprattutto cercando di cambiare società.

Infatti, se questa struttura regge, è perché c'è una certa società che la mantiene, ci sono certi rapporti economici che la favoriscono, c'è una compromissione politica che le impone di presentarsi come paladina del buon costume e da questa cattedra tollerare, per esempio, il ladrocinio pubblico.

Questo appartiene a una certa etica ipocrita, tipica delle istituzioni che hanno alla loro base la ragione di stato e la difesa del potere.

Tuttavia la nostra battaglia per il referendum ci chiama a non occuparci troppo di questo tipo di seduzione. Dobbiamo semmai rallegrarci perché i vescovi, mentre credevano che, dopo dato la parola d'ordine, tutti andassero dietro di loro come un esercito compatto, già dopo pochi giorni devono costatare che l'esercito compatto non ce l'hanno.

La nostra lotta per la difesa dell'uomo è l'unico modo, ripeto, di contrapporci ad una istituzione che, secondo quanto avete detto, si mostra così oppressiva verso l'uomo e così tollerante verso le istituzioni di potere.

E' stato messo il dito sulla piaga, quando si è rilevata l'incoerenza morale di chi ci governa pastoralmente. Pretendono difendere l'unità del matrimonio quando non sono capaci di garantire l'unità della famiglia attraverso l'impiego della forza lavoro che avvenga nello stesso luogo dove la famiglia vive.

L'emigrazione è veramente uno dei capitoli più obbrobriosi della nostra storia  degli ultimi venticinque anni ed è avvenuta senza che mai una parola forte sia venuta dall'alto per condannare le conseguenze che - tra l'altro - derivano per la famiglia.

Sono perfettamente d'accordo con la signora che è intervenuta portando il problema dei basi salari. Se c'è un pericolo attuale per la famiglia è quello che i salari non bastano più. E quando non basta il salario, l'amore diventa una conquista tribolata di tutti i i giorni e richiede una pazienza incredibile. Ora che questa gente si preoccupi di salvare l'unità della famiglia semplicemente con strumenti giuridici e non gridi tutti i giorni contro l'impossibilità concreta per una famiglia di sopravvivere, questo è un altro segno di ipocrisia che - se ne avessimo bisogno - fa da riprova alla giustezza della nostra tesi.

 

d. A proposito dell'amore e del matrimonio, voglio ricordare le Nozze di Cana. Al tempo di Gesù si univano così: i due che si amavano andavano in mezzo al popolo - come si potrebbe fare noi nell'assemblea in piazza - e si giuravano fedeltà e amore. Poi facevano la festa. A una di queste feste, che si svolgeva a Canaan, avevano invitato anche Gesù. A un certo punto mancò il vino e in questa famiglia erano molto preoccupati. Allora Gesù disse di portagli le brocche piene d'acqua e le trasformò in vino. A me non interessa sapere come siano andate veramente le cose. Il Vangelo, però, narrando questo fatto, vuol certamente mettere in evidenza che Gesù ha valorizzato l'amore umano. Gesù non diede agli sposi nessun ordine e nessuna minaccia di condanna. Non disse loro: se un giorno non vi amerete più, io vi condanno. La condanna ci è stata data da coloro che si sono impadroniti dell'amore e che hanno voluto farne uno strumento per tenerci legati per forza, per rendere schiave le famiglie.

 

 Balducci: Vorrei sottolineare che, nel Vangelo di San Giovanni, quel miracolo viene posto come primo atto pubblico del Signore. E' proprio un atto attraverso il quale Gesù vuole manifestare agli uomini qual è il senso della sua missione. Gesù è venuto nel mondo per manifestare il significato positivo che ha la crescita umana, l'amore umano, la pace umana e così via. Le Nozze di Canann sono come il simbolo di quello che dovrebbe essere l'umanità liberata da tutte le guerre, da tutti gli odi e rivelano molto bene che Gesù non è venuto per fare del moralismo, ma per accrescere la gioia.

Questo è un fatto che abbiamo dimenticato perché i preti, per lo più in condizione ascetica, hanno gettato un'ombra sulle gioie del mondo, sconsacrandole. Questa cattiva coscienza circa le gioie del mondo ha colpito anche il matrimonio, considerato per lunghi secoli uno stato inferiore dal punto di vista cristiano.

Tale classismo spirituale ha avuto gravissime conseguenze in tutta la società e noi dobbiamo oggi sentire questo problema non come problema settoriale, ma centrale, perché la famiglia è quel nucleo in cui vanno a scaricarsi tutte le contraddizioni della società.

Sarebbe interessante vedere quali sono le contraddizioni che la società capitalistica scarica sulla famiglia, salvo poi a predicare la morale. Quindi, mentre per un verso la società capitalistica spezza l'unità familiare, perché considera gli uomini semplicemente come unità produttive e di consumo, poi vuol salvare con la vernice esterna la dignità della famiglia, l'unità familiare e così via, con la copertura sacra della chiesa.

Questa sarebbe una analisi importante per convincerci che il Signore non è venuto a portare diffidenza sull'unione, sull'unità anche fisica tra l'uomo e la donna, ma a prenderla come simbolo della vera pace, della vera gioia del Regno di Dio.

 

d. Dall'esposizione di Balducci viene fuori la schiavitù della donna nel matrimonio e nella società, attraverso la storia.

Mi pare però che non sia stata chiarita abbastanza la differenza che c'è tra la concezione di San Paolo, ancora razzista nei confronti della donna, e invece il concetto che Gesù esprime sulla donna e sulla famiglia.

Per quanto riguarda la situazione della donna oggi, non sono troppo d'accordo con Balducci che le cose stiano veramente cambiando.

Il discorso del referendum sul divorzio e della schiavitù della donna nella famiglia va allargato e collegato con il discorso della condizione della donna nell'attuale società capitalistica, dove la donna stessa o è supersfruttata (quando al lavoro in fabbrica deve sommare l'impegno e la responsabilità della casa e della famiglia) o è tenuta fuori dal processo produttivo e quindi si trova estraniata rispetto ai problemi reali del mondo e diventa un essere vuoto, diverso e diviso dalla massa proletaria cosciente.

Ritengo che se non si aprono gli occhi su questi problemi, non si vince nemmeno il referendum e si fa un cattivo servizio alla classe operaia. Che deve prendere coscienza delle condizioni di sottoproletariato delle donne e della necessità di essere uniti più che mai nella lotta per il superamento di queste condizioni.

 

Balducci: Sono d'accordo che la donna ha anche oggi una funzione di servizio nei confronti dell'uomo, nonostante le apparenti liberazioni. Uno degli aspetti che dovremmo sempre più prendere a cuore per il futuro è la liberazione di questo sottoproletariato che è il mondo femminile, e per questo occorre modificare i rapporti economici in cui la donna è obbiettivamente schiava.

Il compito della dona, infatti è quello di riprodurre la forza lavoro maschile, custodire l'uomo, fargli da mangiare, fare i figli, in modo che poi la Fiat abbia ancora operai.

Questo modello, questa immagine imposta dalla classe dominante è stata lungo i secoli fatta propria dalla donna, che non ne sente nemmeno il peso, la schiavitù.

Compiere tale liberazione è un compito politico di prim'ordine ed è anche il compito del cristiano.

Premesso che i vangeli sono delle rievocazioni che le comunità cristiane primitive hanno fatto di Gesù Cristo, introducendo nella vita di lui aspetti della propria vita e del proprio costume, dobbiamo dire che Gesù Cristo ha agito scandalosamente, per il suo tempo. Si pensi all'atteggiamento davanti all'adultera, che è restituzione alla donna della sua dignità; davanti alla samaritana, con la quale si fermò a parlare nonostante che fosse proibito parlare da solo alle donne.

Inoltre: la prima persona alla quale Gesù risorto si manifestò è stata una donna e a questa donna disse: "Vai ad annunciare". E siccome sappiamo che il fondamento l'apostolato è l'annuncio della resurrezione, è certo che nel Vangelo la donna viene investita di una funzione apostolica.

Oggi, dunque, il problema della liberazione della donna si pone anche dentro la chiesa, che è paurosamente maschile e celibe. Occorre quindi che la donna sia assunta a responsabilità ministeriali a pari titolo con l'uomo. E questo avverrà molto presto. Naturalmente nella chiesa ci sono i riflessi della società civile e il fatto che la donna accetta il ruolo sessuale che le affida la società dei consumi impedisce ancora questo passo verso una vera liberazione.

 

d. Vorrei sapere se è vero che la teologia ufficiale è veramente unanime sul tema dell'indissolubilità del matrimonio. Se tale unanimità non esiste, come mi risulta, possono considerarsi in buona fede i vescovi che, nella recente notificazione, dicono: "alla luce della parola di Dio, la Chiesa ha costantemente insegnato che il matrimonio è indissolubile, non soltanto come sacramento, ma anche come istituto matrimoniale"?

 

Balducci: Circa le questioni teologiche sull'indissolubilità, bisogna dire con chiarezza che è un campo dove, nel passato e nel presente, non c'è stata mai concordia nella chiesa. Sostenere il contrario sarebbe una vera menzogna e neppure in buona fede.

Ritorno alla tesi che ho sostenuto, e cioè che una data cultura viene accettata, poi resta assoluta e definitiva. Faccio un esempio. Se si accetta il concetto di matrimonio come unione per la procreazione, allora ci potranno essere delle mancanze, nell'uomo e nella donna, che rendono il matrimonio inesistente (ad esempio l'impotenza a generare, se conosciuta prima del matrimonio). Però noi oggi non possiamo accettare senza vergognarci una identificazione dell'amore fra l'uomo e la donna semplicemente con la possibilità fisica. Ci può essere una impossibilità psicologica di stare insieme, non come maschio e femmina ma come uomo e donna. Non è giusto considerare l'uomo e la donna solo come maschio e femmina destinati alla sessualità. Ci sono delle impossibilità a convivere e non si vede come queste impossibilità non debbono essere considerate gravi così come l'impossibilità fisica ad unirsi.

Qual è la ragione per cui si deve dare importanza alla impossibilità fisica e non si deve dare importanza alla impossibilità psicologica? Se il matrimonio consiste, come è riconosciuto anche dal concilio, non solo in atti che sono destinati alla procreazione, ma in atti che sono destinati all'aumento del reciproco amore, se per caso questo reciproco amore non solo non aumenta, ma diminuisce, scompare, mi domando: non è questo un impedimento che rende solvibile il matrimonio?

Questa è la tesi che d'Avack ha annunciato ultimamente al congresso dei giuristi canonisti, con un po' di scandalo del Papa, che però non ha avuto niente da opporre nel suo discorso; ed è una tesi che prestissimo diventerà  di comune dominio.

Volevo chiudere con una parola di ottimismo.

La maturazione che stiamo realizzando a proposito della famiglia deve continuare su altri problemi sociali che prima o poi verranno al pettine e che non devono trovarci impreparati.; deve essere come l'inizio di un programma di lavoro per la liberazione delle nostre coscienze e di lotta sociale che mi pare questa comunità stia portando avanti da tempo con notevole efficacia, ma che deve generalizzarsi.

 

 

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