Una libera scelta per Eluana
 

("il manifesto", 11 luglio 2008)

 È un annuncio di liberazione e di resurrezione la sentenza della Corte D'Appello di Milano che accoglie il reclamo del padre di Eluana, la ragazza in coma irreversibile da sedici anni. Lo è per lei e per tutti noi che amiamo la vita e amiamo quindi la sua intrinseca finitezza. Scusate l'enfasi che mi è suggerita dal clima regressivo in campo etico che stiamo vivendo in Italia da molti anni senza un barlume di speranza. E insisto. Beppino Englaro potrà dare di nuovo la vita a sua figlia, quasi generarla di nuovo. Sospendendo l'alimentazione forzata potrà compiere nei confronti della figlia il gesto generativo più forte. E sarà anche la scelta più densa di fede cristiana.

 Sarà come un secondo battesimo, non in senso ritualista, ma come immersione nella dimensione della resurrezione, cioè della vita che perennemente rinasce. L'impietosa e ottusa intransigenza delle gerarchie vaticane è ancora una volta il segno di una inadeguatezza di fronte alle grandi trasformazioni che investono ormai tutti i campi del vivere ed evidenzia una forte contraddizione dal punto di vista della stessa fede cristiana. Ma può essere anche il segno della estrema debolezza in cui si trova il sistema del dominio del sacro, mi scuso per l'approssimazione, che fin dagli inizi della storia è fondato sull'ancestrale paura della morte. Tutti i sistemi di potere per affermarsi e mantenersi hanno sfruttato a piene mani la paura della morte. A cominciare dal potere attribuito a Dio in quasi tutte le religioni e culture. Dio e morte sono considerati da sempre nemici inconciliabili fra loro, ma in un certo senso anche alleati perché Dio usa la morte come strumento di condanna per il peccato. E è proprio questo binomio di opposti, Dio/morte, che forse è in crisi, già dal tempo di Francesco d'Assisi che cantava la morte-sorella. Su di esso occorre lavorare per portare un po' avanti la nostra liberazione dalla paura. Sul tema dell'eutanasia molto si parla in termini politici, biologici, medici, giuridici. E già questo è un segno di maturazione della coscienza collettiva. Poco si è parlato e si parla però delle radici inconsce che condizionano le nostre scelte, fra cui certamente il binomio Dio/morte. Al fondo dei problemi etici che agitano il nostro tempo c'è questo Dio tenero per certi aspetti e terrificante per altri; c'è questo Dio che ci ama fino a incarnarsi e sacrificarsi per salvarci dal peccato ma ci condanna a assaporare fino in fondo la sofferenza, anche se si fa insopportabile, una sofferenza si badi bene che lui stesso ci manda e ci impone finché lui vuole, nella sua imperscrutabile volontà e provvidenza. E se pretendiamo sostituirci a lui nel decidere, sostenuti e moderati dalla rete delle relazioni affettive e tecniche, quando è il momento di rifiutare una sofferenza il cui scopo è solo la tortura per se stessa, ci condanna alla seconda morte, cioè a quella eterna dell'anima. Della paura sono vittime preti, medici, cattolici in genere. Ma anche tanti laici. La paura del binomio divinità/morte è sepolta da millenni nell'inconscio collettivo, nella zona più oscura della vita individuale e sociale. Quella paura non basta esorcizzarla con esercizi puramente mentali; non ritengo sufficiente ad esempio il negazionismo ateista. Perché dal profondo emerge in forme mascherate. La paura, sepolta nella zona più oscura della vita, ha bisogno innanzi tutto di essere riconosciuta, narrata e analizzata. Le emergenze etiche posso essere l'occasione per dare finalmente cittadinanza a esperienze essenziali del vivere umano. Il problema è che da soli non ci si riesce e mancano luoghi per socializzare tali elaborazioni e esperienze. O forse non si cercano.

Enzo Mazzi

 

 

 

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