Patriarcato  e  violenza:  incontro a Trieste

La violenza contro le donne è certamente una costante da quando il patriarcato ha preso il dominio sul mondo. Basta rileggere “Il piacere è sacro” di Riane Eisler (ed. Frassinelli) e la ricostruzione documentata del passaggio dalla “cooperazione” alla “dominanza”: con le pratiche della violenza e della minaccia gli uomini hanno imposto e ottenuto sottomissione, non solo delle tribù sconfitte, ma anche delle donne e dei figli della propria tribù.

Ma è anche una costante la ribellione a questo ordine sociale e simbolico, in nome del desiderio di una vita vissuta all’insegna della libertà, dell’autodeterminazione e del rispetto reciproco. In questa ricerca ci aiuta Gabriele La Porta (“Il ritorno della Grande Madre”, ed Il Saggiatore), individuando il filo rosso che lega, attraverso i millenni, le donne e gli uomini che hanno mantenuto viva la fiammella della speranza e della libertà: di pensiero e di vita.

E così ci è successo di ritrovarci a Trieste, il 6 e 7 ottobre scorso, 3 uomini in mezzo a 150 donne, a scambiarci riflessioni e racconti in un convegno organizzato dalle donne di El Fem della Sinistra Europea. Nello stesso periodo in cui circa 500 uomini in Italia hanno sottoscritto un “Appello di uomini contro la violenza alle donne”, anche se poi, alla successiva assemblea, dei 5oo era presente un’esigua minoranza.

Così ha gioco facile chi sollecita i Gruppi Uomini a “correre” invece di limitarsi a “camminare”. Le donne e, con loro, bambini, omosessuali, transessuali, poveri, stranieri... e la natura, gli animali, l’ambiente ecc., hanno giustamente fretta di veder cambiare gli uomini, il maschile: dalla dominanza alla cooperazione. Ma questo non è, secondo me, un problema di velocità. Come quando le donne di Via Dogana a Milano hanno dichiarato, sul Sottosopra rosso, che “il patriarcato è morto”, così posso testimoniare che la stessa cosa avviene nel cuore e nelle pratiche di vita degli uomini che “muoiono al patriarcato”, sottraendogli consapevolmente riconoscimento e consenso. Anche per loro il patriarcato è morto: entrano in un altro ordine simbolico, quello della parzialità e della cooperazione, della reciprocità e della convivialità di tutte le differenze, a cominciare da quella originaria tra uomo e donna.

Si tratta quindi, piuttosto, di moltiplicare gli uomini che si mettono in cammino di cambiamento. Questa è la questione centrale, secondo me. Occorre che gli uomini, che avvertono questa urgenza dentro di sé, intraprendano innanzitutto questo percorso personale, lavorando al cambiamento a partire ciascuno da sé; e, insieme, invitino amici, conoscenti e compagni a fare altrettanto, mettendosi in gruppo per sostenersi reciprocamente e moltiplicando i punti di autoformazione. Quando penso alle dichiarazioni di Giordano, segretario nazionale di Rifondazione, a commento dell’Appello degli uomini contro la violenza alle donne, mi viene spontaneo chiedergli di dar seguito con coerenza a quelle parole, stimolando, ad esempio, la nascita di gruppi di autocoscienza maschile in ogni sezione territoriale di Rifondazione.

E così gli altri partiti, le Organizzazioni Sindacali, le chiese... Tutte le “agenzie di formazione” dovrebbero prevedere percorsi di consapevolizzazione intorno a parzialità e differenze, cominciando da quelle di genere. Quanti uomini verrebbero così coinvolti in questo processo di ricerca di un mondo davvero diverso dall’attuale, sostituendo la politica del potere e del denaro con la politica delle relazioni! Il cambiamento è un lavoro lungo: quanta pigrizia, quanta resistenza, in me, alle sollecitazioni delle donne! Quanti angoli bui permangono... Ma ormai il passo è stato fatto e i miei compagni di strada mi aiutano a non tornare indietro.

A Trieste una donna francese ha affermato che “tocca agli uomini convincere gli uomini”... e sembra, a prima vista, un’ovvietà. Ma l’esperienza mia e quella di altri “uomini in cammino” parlano di motivazioni che nascono dal desiderio di relazioni appaganti e felici con la propria compagna di vita. Nessuno può convincere un altro. Ognuno può solo lavorare su di sé, dentro di sé, a partire da sé. Ma è decisiva la qualità delle relazioni. E le relazioni sono di per sé formative, in bene o in male. Le madri che allevano i figli maschi come “sultani” e le figlie femmine come “ancelle” sono funzionali al mantenimento della cultura patriarcale, di cui sono vittime inconsapevoli. Quindi mi sembra di poter affermare che il compito di “convincere gli uomini” non lo si può affidare ad altri, non è una “cosa da uomini”, se si vuole andare fino in fondo al tentativo di “abbattere i potenti dal trono”.

La sinistra e la legge

Uno dei temi al centro del confronto nelle due giornate di Trieste è stato “la legge e le leggi”: quello che le leggi possono fare per combattere la violenza nella società e tutelare i diritti delle persone. Angela Azzaro è stata, a mio parere, molto convincente: il “diritto” che conosciamo è quello “del padre” e titolare di diritti è, coerentemente, la famiglia, laboratorio di gerarchie e di dominio, di cui il padre è capo. Il grande spostamento che dobbiamo realizzare è verso il riconoscimento che i diritti sono e devono essere “individuali”.

E il campo di apre. La parzialità consapevole si radica nell’essere, uomini e donne, irriducibilmente differenti: non ci si può rappresentare a vicenda; il diritto del padre non può essere uno strumento adeguato a garantire donne e minori. Quindi gli uomini devono consapevolmente mediare con le donne l’esercizio del potere legislativo e, per realizzare ciò, è imprescindibile che il Parlamento sia realmente rappresentativo dell’irriducibile differenza tra donne e uomini. La necessità di questo cambiamento culturale, simbolico e materiale, significa anche che non è credibile che oggi gli uomini possano fare leggi adeguatamente favorevoli alle donne e alle risposte ai loro bisogni materiali e simbolici. Gli uomini della sinistra si devono interrogare in proposito.

Anche perchè, poi, leggi “favorevoli alle donne” non possono riguardare solo la violenza sessuale, ma anche quella ambientale, quella della mancanza e precarietà del lavoro, e via elencando. Cioè tutti i temi su cui la sinistra ha qualcosa di specifico da dire; ma, per uno spostamento reale verso una società di uguali nella diversità, la sinistra deve essere consapevole che ciò significa riconoscere e mettere in campo le due irriducibilità, cioè gli uomini e le donne.

Il linguaggio


Infine (non per esaurimento dei temi, ma per il mio desiderio di coglierne alcuni su cui lavorare con impegno) è stato molto gettonato, a Trieste, lo spostamento simbolico dell’attenzione dalle donne vittime alla violenza maschile e al patriarcato dominante. Il “cambiamento degli uomini” deve diventare tema centrale dell’elaborazione e dell’iniziative, non solo da parte dei piccoli e ancora pochi gruppi di uomini, ma anche delle donne, che a Trieste hanno lanciato un appello per una campagna europea contro la violenza maschile.

“La cultura patriarcale è un elemento costitutivo dell’identità maschile”, ha affermato una donna. Non solo gli uomini della sinistra, ma ogni uomo deve interrogarsi su questo: tutti i politici, ma anche i preti, i magistrati, i poliziotti, i sindacalisti... ogni uomo, a cominciare da me. Mettere al centro della nostra analisi e del nostro fare politica la consapevolezza della violenza “radicale” del patriarcato, nel senso che sta proprio nelle radici dell’ingiustizia che regola le relazioni tra gli uomini e tutte le altre creature.

L’invito di Angela Azzaro a costruire anche un “linguaggio comune” mi sembra un ulteriore incentivo a rendere praticabile lo scambio, pur nel riconoscimento delle rispettive irriducibili diversità. Il linguaggio aiuta la migrazione consapevole dall’ordine simbolico del padre (il patriarcato) a quello della madre. Io resto convinto che di questo si tratta, quando parliamo della convenienza, per le donne e per il mondo, dell’abbandono del patriarcato da parte degli uomini. Forse assegniamo significati diversi a queste parole; ma di quella convenienza resto assolutamente convinto, anche per me e per ogni uomo mio fratello.

Beppe Pavan

 

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