Commento alla lettura biblica liturgica del 19 novembre 2006

Legge dell’amore: la legge di Dio

 

In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore e gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Ed egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo. Dal fico imparate questa parabola: quando già il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina; così anche voi, quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte. In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre (Marco 13, 24-32).


Le prime comunità cristiane hanno vissuto con angoscia, forse con disperazione da parte di qualcuno, la violenza delle persecuzioni. Così la distruzione del tempio di Gerusalemme, da parte degli invasori romani, offre a Marco un tragico spunto per affidare a Gesù in persona, grazie all’immaginario apocalittico, allora molto efficace, il compito di infondere fiducia e speranza.

“Verranno giorni in cui...”. Quanti periodi di guerre e distruzioni ha conosciuto la storia dell’umanità! Ma verrà quella definitiva, quando tutto l’universo collasserà su se stesso: sarà la fine del mondo e dell’umanità. Nell’immaginario religioso coincide con il giudizio finale di Dio e la raccolta “degli eletti dai quattro venti”.

Sembra che Gesù praticasse questa apocalittica, compresa la convinzione radicata che la fine fosse imminente. Ma può essere pure che questa fosse convinzione dei circoli più ortodossi rispetto al messianismo: la venuta del Messia-Gesù è segno che “il tempo è compiuto” (Mc 1,15) e la fine è vicina. Non resta che convertirsi e crederci, per essere tra gli eletti. Questa è l’eternità del messaggio di Gesù, che durerà anche dopo l’estinzione del creato.

Ma nessuno sa quando accadrà: nè il giorno nè tantomeno l’ora. Sappiamo che sarà presto, prima che scompaia “questa” generazione. Ma quale “questa”? Quella contemporanea a Gesù o alla comunità di Marco?

Importa poi davvero dirimere tale questione? Come se contestualizzare il versetto 30 ci togliesse un grosso peso: non è successo né alla generazione di Gesù né a quella di Marco, quindi possiamo stare tranquilli. Cessato allarme!

Proviamo a indagare più a fondo. Qual è il messaggio che colgo da tutto il capitolo? Praticare e predicare l’insegnamento di Gesù – l’amore conviviale, la vita messa a disposizione, ecc. – non procura ricchezze e piaceri, ma avversione, odio, persecuzione. Troppo forte è il contrasto con le regole di “questo mondo”: i ricchi e i potenti non si faranno scalzare dai troni senza opporre resistenza...

Il Messia, quello autentico (non i satrapi alla Berlusconi, che sempre nascono qua e là per il mondo), è un invito vivente a praticare e predicare la giustizia... e questo provoca guai. Da quando il patriarcato ha imposto il proprio dominio nel mondo, la storia dell’umanità ha visto costantemente “resti d’Israele” percorrere i sentieri difficili della disobbedienza e della ribellione in nome dell’amore. Hanno sempre fatto una brutta fine, ma il loro sangue continua ad essere fecondo.

E’ dura, ma questo è ciò che conta: camminare, non arrivare; cercare prima di tutto la volontà di Dio, collaborando, ognuno e ognuna per quel che può, alla costruzione del Regno dell’Amore. Sempre, con coerenza ed impegno, in ogni generazione.

Ogni generazione sappia che “la fine” può accadere da un momento all’altro. Proprio perché non sappiamo né il giorno né l’ora, nessuno e nessuna di noi può pensare che non succederà. La fede ci aiuta a vivere con gli occhi aperti a cogliere i segni: a vivere, però! Non a star seduti, guardandoci intorno per cogliere quei segnali... fede e discepolato esigono consapevolezza: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.

Quelle di Gesù sono parole di vita, inviti a praticare l’amore in tutte le forme possibili... non chi dice “Signore Signore”: l’amore si fa, si pratica, si vive, fino all’ultimo istante. Magari l’ultimo istante della mia vita coinciderà con l’ultimo di terra e cielo... non posso saperlo. Soltanto, devo vivere da discepolo di Gesù.

In altre parole: quello che Marco mette in bocca a Gesù sembra un discorso sul futuro; in realtà “lo sguardo al futuro rende importante il presente e offre un criterio di scelta e di valutazione. L’attenzione è, tutto sommato, rivolta al presente: il futuro offre un criterio di orientamento nel presente, ma è in questo presente che il futuro si gioca” (citazione da Bruno Maggioni in “Gesù di Nazareth” di Luciano Scaccaglia, Parma 2004).

Qui potremmo aprire, adesso, un confronto senz’altro appassionato sui nostri immaginari apocalittici ed escatologici. Appassionato perchè sempre accade, anche con chi pratica con convinzione la demitizzazione e la desacralizzazione della Bibbia: è così piacevole immaginare un aldilà da paradiso terrestre, “con ogni bene e senza alcun male”, come studiavamo nel catechismo, che finiamo per crederci... tanto nessuno può smentirlo.

Ma neanche documentarlo. Appartiene giustamente al regno della fantasia, del sogno, del desiderio... legittimo, ma niente di più. A meno di credere davvero possibile, per le creature, una vita eterna come il creatore... Lui ce la può donare, dall’alto della sua onnipotenza. Già! Ma anche “Lui” e “onnipotenza” sono parti della nostra fantasia applicata alla fede.

La prospettiva cambia se, invece di un aldilà eterno e spirituale, a far musica e poesia con i cherubini, penso alla mia eternità di creatura, di uomo, impastata indissolubilmente con l’eternità del creato: finché dura, fino all’ultimo giorno di vita della creazione, ciò che ho fatto di buono per contribuire al Regno dell’Amore resterà, sarà un piccolo ma solido mattoncino in quella costruzione.

Il Regno di Dio è già qui, ripeteva Gesù: bisogna farlo crescere, combattendo l’ingiustizia e praticando l’amore, la convivialità di tutte le differenze, l’ascolto e il rispetto per ogni creatura... Non è roba dell’aldilà, ma dell’aldiqua: non aspettativa ultraterrena, ma impegno quotidiano e materiale di ogni uomo e di ogni donna che viene al mondo. Solo a questa condizione si realizzerà.

E pazienza se la morte, la distruzione, la fine più tragica, mi coglierà prima del suo compimento: credo che sia inevitabile, tanto per ogni singolo “me” quanto per l’intera umanità. Pensare di poter realizzare la perfezione sarebbe di nuovo pretendere ciò che è verosimilmente impossibile per creature imperfette e limitate come siamo.

Resta la convenienza, chiara e solida, almeno quando ci rifletto con serenità, di vivere secondo la “legge dell’amore, la legge di Dio”: anche così mi sembra di poter tradurre l’invito di Gesù ad aver fiducia. E’ possibile essere felici nella vita: basta camminare sui suoi sentieri.

Beppe Pavan

 

 

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