Commento alla lettura biblica liturgicadel 11 febbraio 2007

 

Beati, felici, in cammino...

 

Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti. Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
«Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando
e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti (Luca 6, 17-26).

 

Siamo di fronte ad una delle pagine più note e più commentate del Vangelo di Luca. Giustamente ci si riferisce a queste righe sia per i "beati" che per i "guai" con infiniti commenti e riflessioni.

In realtà sul "guai a voi che siete ricchi" la predicazione cristiana non ha molto approfondito..., anche per non correre il rischio, da molti secoli ormai, di perdere una "clientela" piuttosto gradita al clero.

C'è poi l'aggravante che spesso il "beati voi che siete poveri" è stato letto in maniera distorta come consolazione e soprattutto come sedativo per i poveri e i miserabili della terra perchè non si ribellassero. Essi, si insegnò per secoli dalla maggioranza dei pulpiti cristiani, dovevano quaggiù sopportare "felici" e consapevoli di essere beati le dolorose condizioni in attesa del "regno di Dio" lassù...

Dobbiamo riconoscere anche un'altra terribile mistificazione. Scivolando dal Vangelo di Luca a quello di Matteo 5,3 ("Beati i poveri in spirito"), si tentò una perfida operazione di salvataggio dei ricchi per offrire loro una comoda scappatoia dalla concretezza dell'evangelo. Era sufficiente che i ricchi fossero "distaccati", "poveri nello spirito"...e poi potevano godersi indisturbati i loro beni, anche se acquisiti in certe maniere ben note, anche in presenza di miliardi di affamati. Dobbiamo dunque riconoscere che gli stravolgimenti del Vangelo da parte di noi cristiani sono stati numerosi "come le stelle del cielo" in questi venti secoli di cristianesimo.

Beati, felici, in cammino

Intanto Gesù ci dice che noi siamo figli e figlie di un Dio che ci vuole “felici”. Dio vuole che le Sue creature possano trovare la strada che dà senso ai loro giorni.

Per questo le beatitudini si occupano di tutte le dimensioni dell’esistenza. Ci vuole il “pane necessario” per vivere, ma… non di solo pane vive l’uomo. Gesù in tutta la sua vita testimonia con le parole e con le azioni questa volontà di Dio. Felicità: una parola da “maneggiare” con cautela in un tempo in cui si sbandierano le felicità del denaro, del successo, della forza. La società del mercato propone e predica altre “beatitudini”.

I tre miti da abbattere


Oggi avere ricchezza significa “essere qualcuno”, contare, possedere sicurezza. La beatitudine non ha il sapore di un invito a restare nella miseria (quanta devastante predicazione ha insegnato la rassegnazione di qua per poter godere di là). I deboli, i poveri sono il segno della presenza partigiana di Dio. Egli è con loro perché si liberino dalla miseria. Ma questa beatitudine con il “guai” del versetto 24 rappresenta uno schiaffo alla vita incentrata sulle ricchezza e per ciascuno di noi una messa in guardia contro il rischio dell’accumulo.

“Se uno, in un mondo di fame e di miseria, riesce, nonostante tutto, a diventare ricco, vuol dire che, dal punto di vista cristiano, in lui deve esserci qualcosa che non va. Ma è evidente che aspettarsi che un ricco accumuli denaro e poi lo distribuisca ai poveri è la stessa cosa che aspettarsi che un cane faccia una bella provvista di salcicce per distribuirle nell’inverno ai lupi affamati. Chi in questo mondo ha la stoffa per diventare un uomo d’affari, potrà affannarsi fino alla fine della vita nella routine del capitale senza rendersi conto di quanto lo separino da tutti i poveri della terra la sua proprietà, la sua casa, la sua villetta in campagna, il suo meritato confort, il suo diritto naturale ad acquisire possessi e proprietà. Nel migliore dei casi riuscirà a dare appena una briciola del suo superfluo, perché è proprio la logica razionale dell’accumulazione del capitale a non consentirgli qualcosa di diverso”(E. Drewemann, Dal discorso della montagna, Queriniana pagg. 82-83).

L’altro “mito” che le beatitudini colpiscono frontalmente è quello della forza. Sono quelli che ora se la ridono sprezzanti, la fanno da padroni, che hanno tutto a loro disposizione, che sghignazzano sulle tragedie e, per dirla con le parole del profeta Abacuc, “costruiscono una città sul sangue” (2, 12), “rapinano a vantaggio della propria casa per mettere molto in alto il loro nido” (2, 9). Chi vara in Parlamento leggi che negano i diritti fondamentali come chi “inventa” armi inesistenti per scatenare una guerra è a servizio della violenza, della volontà di schiacciare e di vincere.  

Controcorrente

Sono parole dure quelle che annunciano opposizioni, persecuzioni e peggio. Il discepolo andrà contro corrente. Gesù non ha insegnato una lezione, ma ha aperto una strada. Chi diventa suo discepolo non può non condividere anche il suo “insuccesso”. Non doveva certo essere troppo allettante per Pietro, Andrea, Maria di Magdala e tutto il gruppo che seguiva Gesù, sentire queste “anticipazioni” del loro maestro, ma il nazareno non nascose mai ai suoi seguaci l’insuccesso che li avrebbe attesi.

Quando Luca e Matteo scrivono il Vangelo hanno già davanti agli occhi questa realtà: se ti metti davvero alla sequela di Gesù non avrai vita facile e dovrai fare i conti con alcune opposizioni e con altrettanti emarginazioni. Siamo avvertiti: se cerchiamo il successo, il buon nome, la “benedizione” dei ben pensanti forse è il caso di preoccuparci… Stiamo sbagliando strada.

Una vita da eroi?

Ma, dunque, Gesù sta delineando un etica per pochi eletti? Non ha dimenticato di che pasta siamo fatti? Possiamo essere sicuri che Gesù conosceva bene l’umanità dei suoi discepoli, le loro fragilità e le loro contraddizioni. Egli enunciò questo orizzonte di vita con il presupposto che resse e guidò tutta la sua esistenza.

Per Gesù la chiave di tutto era risposta nella fiducia in Dio. Se ci fidiamo davvero di questo Dio e ci rimettiamo a Lui come fonte della vita e della libertà, potremo inoltrarci nel sentiero delle beatitudini. Una strada sulla quale, oggi come ieri, Gesù ci precede.

Non c'è scampo

 
Ma saremmo anche noi sullo stesso perfido e comodo sentiero se ci limitassimo a mettere sul conto altrui il cattivo uso di questa pagina del Vangelo.

No. Questa pagina "sferza" ciascuno di noi. Nessuno di noi vive davvero questa prospettiva evangelica in corenza e verità. Il "guai" dell'evangelo non è diretto solo fuori di noi, non è rivolto solo ad altri, alle ricche e potenti istituzioni ecclesiastiche o ai "padroni" di questo mondo.

Certo, chi siede nei palazzi dello sfruttamento, dell'oppressione o nei paradisi fiscali non può leggere a cuor leggero queste parole, ma noi non siamo autorizzati/e a usarle a cuor leggero e con tronfia sicurezza contro altri. Possiamo ricordarle con forza nella chiesa e nel mondo se, con molta umiltà, prima le abbiamo indirizzate al nostro cuore. Ciascuno/a di noi deve riconoscere di essere ancora lontano da questa strada.

Ma oggi esiste anche un'altra tentazione: quella di fuggire verso una "santità romantica" che sogna un ideale evangelico ai margini del mondo. Se siamo sempre tentati di sminuire o annacquare questo paradosso, non è meno pericolosa la scorciatoia di chi vuole ritirarsi dal mondo e farsi una sua isoletta felice, sia pure improntata a semplicità e sobrietà.  Forse oggi povertà può significare davvero sobrietà e semplicità, ma dentro la dimensione collettiva, con una consapevole visione politica della realtà

Oggi restare dentro questa realtà umana così complessa con spirito evangelico e con pratiche quotidiane di lotta, di condivisione e di solidarietà è probabilmente molto più difficile che ritirarci in una nicchia di perfezione. Certo, i sentieri evangelici non hanno formule e modelli prestabiliti, ma Gesù non ha fatto "fughe in alto" scappando dalla concretezza del vivere quotidiano.

Ciò che non possiamo perdere per strada è il paradosso, la "stoltezza" del Vangelo. Di fatto qui sembra concretizzarsi e articolarsi il paradosso evangelico: non essere sazi del proprio benessere, ma avere fame e sete della volontà di Dio e della giustizia. In una società che ogni giorno propone l'accumulo e il "girare attorno a se stessi" tentare i sentieri della solidarietà è davvero paradossale.  Solo la forza che viene da Dio può mantenerci su questi sentieri.

Beati/e...

La parola "beati" mi dice ancora due semplici "verità". Se scavo in queste "beatitudini", in questo programma di vita, posso essere sicuro che qui Gesù non parla a vanvera. Ci assicura che questa prospettiva è ricca di significato e che Dio ci accompagna su questi sentieri. La pagina delle beatitudini non è un manifesto pubblicitario o uno slogan buonista: Gesù ci indica, come testimone fedele e come apripista, verso quale direzione Dio ci chiama.

Ma il plurale ("beati") evidenzia anche un aspetto tutt'altro che irrilevante. Solo "camminando assieme", solo stando in un cammino comunitario è possibile, almeno per me, non tradire del tutto il sentiero che Gesù ci propone. Io sento che se non camminassi con lo sguardo rivolto a Dio e con le mani intrecciate con tante altre donne e tanti altri uomini, i miei piedi prenderebbero direzioni diverse.

Anche questo è il senso dell'essere comunità cristiana oggi nel mondo: starci vicini e sostenerci contro il "satana" dell'indifferenza e dell'egoismo.

 

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