CdB di Pinerolo

Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?

 

Poi Gesù, giunto nei dintorni di Cesarea di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?» Essi risposero: «Alcuni dicono Giovanni il battista; altri, Elia; altri, Geremia o uno dei profeti». Ed egli disse loro: «E voi, chi dite che io sia?» Simon Pietro rispose: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Gesù, replicando, disse: «Tu sei beato, Simone, figlio di Giona, perché non la carne e il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E anch'io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte del soggiorno dei morti non la potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo.
(Matteo 16, 13-20).


Il passo dell'evangelo di questa domenica ci pone di fronte ad alcuni interrogativi circa l'identità di Gesù e il ruolo della chiesa.

Il dialogo di Gesù con i discepoli si svolge a Cesarea di Filippo una città posta vicino al Banias, una delle tre sorgenti del Giordano. La grotta di questa sorgente era stata consacrata dai greci al dio Pan ed Erode vi aveva fatto costruire un tempio con una statua di Cesare.
 
Gesù pone ai discepoli la domanda: "Chi dice la gente che sia il figlio dell'uomo?"

Per coloro che hanno frequentato il catechismo utilizzando il libretto di Pio X, questa domanda suona come un botta e risposta. La prima domanda di quel catechismo era "Chi ci ha creati?" e la seconda "Chi è Dio?"; ad ogni domanda seguiva una risposta che ogni candidato alla cresima doveva sapere a memoria. Del resto il sottotitolo alle "Verità principali della fede cristiana" era "Ciò che devi credere". Così generazioni e generazioni di cattolici sono cresciuti assorbendo più che "verità principali" lo stile con cui venivano presentate: senza il minimo dubbio, senza la minima incertezza, come se fossero li da sempre in agguato sul povero credente che solo passivamente poteva assimilarle.
 
Ben diverso è il senso della domanda di Gesù. Togliendo gli occhiali dogmatici, si avverte il senso di smarrimento, di inquietitudine di un uomo di fronte a qualcosa che teme non poter capire; un uomo profondamente coinvolto nell'avventura dell'affidamento a Dio, nella consapevolezza e nel dubbio della maturità dei tempi per l'annuncio di un regno che nulla aveva a che fare con il modello imperiale.
 
Una domanda straordinariamente umana che ognuno, ognuna di noi si è posto: Chi sono? Cosa ci sto a fare qui? Qual è il senso di ciò che faccio? La gente capisce quello che voglio comunicare? Riesco a vivere ciò in cui credo? Interrogativi profondi che denotano l'autenticità di una persona, e Gesù era un uomo autentico.

Da questa domanda Gesù non voleva una risposta definitoria che rassicurasse la sua eventuale autoconsapevolezza messianica: piuttosto voleva coinvolgere i suoi amici e amiche in un momento di riflessione su di sé e sul ruolo di epifania del Regno di Dio che andava delineandosi. Perché è questo che coinvolgeva Gesù nel profondo: annunciare il Regno; il resto lo hanno interpretato le prime comunità.
 
L'appellativo "figlio dell'uomo" è utilizzato nel vangelo di Matteo ben 31 volte e il suo significato può essere inteso almeno in tre accezioni.

La prima come traduzione di "bar enosh", espressione utilizzata nel libro di Daniele: "Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto". (Dn 7,13-14). Questa è l'interpretazione di Gesù che dette Stefano e la sua comunità: Gesù con una funzione escatologica.

Un'altra possibile accezione è quella di "ben adam", figlio d'uomo, parola chiave nel libro di Ezechiele. Qui è inteso in senzo profetico: " Egli mi disse: 'Figlio d'uomo, mangia ciò che trovi; mangia questo rotolo, e va' e parla alla casa d'Israele'" (Ez 3,1).

La terza possibilità è identificare "figlio dell'uomo" con l'espressione volgarizzata di bar enosh: barnash; cioè, semplicemente: l'uomo. L'uomo inteso nel suo limite, nella sua fragilità, esposto al rischio delle proprie scelte, vulnerabile.

Tutti e tre i significati rispecchiano un tratto della funzione di Gesù, ma il terzo sembra quello che più si avvicina al senso originario utilizzato dal maestro: non profeta, non messia ma nostro fratello. I discepoli di fronte all'interrogativo gli rispondono sui vari "sentiti dire" della gente: Giovanni il Battista, Elia, Geremia o qualcuni dei profeti.

Ora però Gesù gira la domanda a loro, ai discepoli che lo conoscevano meglio, che lo avevano ascoltato predicare, che lo avevano visto trattare le persone sofferenti, che avevano discusso con lui in solitudine, che lo avevano visto ridere e piangere: "Voi chi dite che io sia?". La gente può dare giudizi affrettati, sull'onda di un umore, di un'emozione; loro no, non potevano; conoscevano la sua forza ma anche la sua debolezza, la sua dolcezza ma anche la sua durezza.
 
Risponde Pietro: "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente". In Marco, Pietro dice solo: "Tu sei il Cristo" e in Luca: "Il Cristo di Dio". Il titolo di figlio di Dio si trova solo in Matteo ed effettivamente è arduo speculare su questo versetto per rintracciare una figliolanza ontologica.

L'espressione è piuttosto un titolo regale, nel senso del Salmo 2: "Io annunzierò il decreto: il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, oggi io t'ho generato. Chiedimi, io ti darò in eredità le nazioni e in possesso le estremità della terra" (Sal 2,7). Il linguaggio è di affetto, l'affetto che un discepolo poteva provare per il suo maestro. Tuttavia Gesù vive in maniera autentica quella figliolanza, nel senso in cui il profeta Osea parlava dei figli di Israele: "Voi siete figli del Dio vivente" (Os. 2,1).

Il Dio di Gesù è chiamato "il vivente"; non è un Dio dei morti ma dei vivi; non è il Dio racchiuso nelle proposizioni dogmatiche ma è il vento leggero di Elia: solo un Dio così poteva sostenere Gesù nella sua esistenza. Forse la confessione di Pietro aveva ridestato questa immagine in Gesù: un Dio vivente che ci chiama ad essere dei viventi. Gesù ne fu contento tanto che disse a Pietro che era stato "beato" per una simile intuizione che "né la carne, né il sangue" potevano aver rivelato "ma il Padre mio che sta nei cieli".
 
Ebbene, su questa intuizione di Pietro dovrà essere costruita la comunità di Gesù: il centro dovrà essere il Dio vivente e la possibilità che ci è data di essere a nostra volta dei viventi come lo fu Gesù, il cristo di Dio. Allora, le porte della morte (gli inferi, cioè lo sheol) non saranno aperte per questa comunità.

Il motivo è semplice: la morte biologica non è l'unica morte possibile anche se è certa. Possiamo morire come persone molto prima della morte biologica. Questo è lo sheol: un posto in cui esseri senza speranza vagano senza futuro. Ebbene, la comunità del Regno di Dio dovrà essere l'antitesi dello sheol: donne e uomini vivi perché consapevoli, nella propria fragilità, di essere figlie e figli del Dio vivente.
 
Dell'intronizzazione di Pietro e dei discepoli (Mt 18), non parlano i manoscritti più antichi. Sono interpolazioni successive che contribuirono a rafforzare l'autorità dei papi come successori di Pietro. In ogni caso "le chiavi del regno" sono una grave possibilità perché a volte il nostro comportamento e le nostre scelte possono chiudere dei cuori invece che aprirli. Il potere delle chiavi deve essere piuttosto una responsabilità: usarle per aprire nuovi orizzonti, non per scomunicare.
 
In questi giorni, in cui sembra che nulla si possa fare di fronte a coloro che possono decidere impunemente di bombardare popolazioni civili, di ammorbare l'aria, di rubare l'acqua... abbiamo proprio bisogno di una chiave che ci permetta di aprire uno spiraglio di speranza, un pezzetto di regno dei cieli, perché senza questa possibilità anche la terra sarebbe perduta.

Proviamo a chiederci chi è Gesù nella nostra vita, che cosa può aver cambiato nelle nostre scelte, nel nostro modo di pensare e agire. E che ognuno e ognuna di noi possa confessare: egli è il vivente.

Angelo Merletti

 

 

 

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