CdB di Pinerolo

Senza pratiche d'amore il mondo non si salva

Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui  (Giovanni 3, 13-17).


Cinque versetti estrapolati dal famosissimo dialogo tra Gesù e Nicodemo: una pagina di teologia e catechismo con cui Giovanni testimonia e documenta la propria elaborazione e la propria fede circa la missione messianica di Gesù. E’ Giovanni che parla, in questi versetti, mettendo in bocca a Gesù la prova definitiva, inconfutabile, della sua potenza salvifica: “Nessuno è salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo”.

Sono passati circa settant’anni dalla morte di Gesù; non ci sono più testimoni oculari viventi e l’elaborazione teologica procede con la massima creatività. Il guaio è che le immagini e le metafore e le simbologie usate dai catechisti-teologi si trasformano a poco a poco in fatti reali, “parola di Dio” e “misteri della fede”. Così chi “è salito al cielo” dopo la morte, come nessun altro mai e mai più, non può essere che colui in cui bisogna credere per avere la vita eterna. Questo mi sembra il succo del messaggio.

Che si articola in un secondo passaggio: come si è concretizzata la missione salvifica di Gesù nei confronti del mondo? Con l’innalzamento, sulla croce e/o al cielo, “come Mosé innalzò il serpente nel deserto”. E’ nel capitolo 21 del libro dei Numeri: per punire l’ennesima ribellione del popolo, Dio mandò serpenti velenosi a mordere e uccidere. Il popolo capì e si pentì e, su disegno divino, Mosé costruì un serpente di rame e lo mise sopra un’asta: chi lo guardava, dopo un morso letale, restava in vita. Bisogna guardare a Gesù crocifisso, credere in lui, per essere salvati/e, per avere la vita eterna, ci dice Giovanni.

Qui nasce la confusione, a mio modesto parere. Perché “credere in lui” è una pratica che può andare in due diverse direzioni. La prima è sintetizzata al v. 36, l’ultimo del capitolo 3: “Chi si rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma la collera di Dio incombe su di lui”. Gesù non è più solo “la strada” verso Dio indicata al popolo d’Israele, ma diventa “l’unica strada” per l’intera umanità. Di qui sarà breve il passo alla dichiarazione definitiva che “non c’è salvezza al di fuori della chiesa (cattolica)”, perché essa è l’unica vera chiesa di Cristo, eccetera... e quindi bisogna credere alla parola di papi e vescovi, perché sono gli unici veri successori di Gesù e degli undici maschi apostoli, eccetera eccetera....

Per fortuna il resto del Vangelo ci presenta un altro possibile significato della parola “credere, fede” in Gesù: Gesù è parola e pratiche d’amore; credere in lui vuol dire vivere come lui. Fede non è adesione intellettuale ed emotiva ad un corpo dottrinario, elaborato storicamente da chi aveva interesse a mettersi al centro, ma vita dedicata alle pratiche d’amore.

E questo è un campo dove non c’è assoluto: “ognuno che crede in lui” (3,16) ci parla di pratiche individuali, personali, diverse come sono diversi e diverse ogni uomo e ogni donna che vengono al mondo. Quindi anche a noi tocca andare avanti, oltre Gesù: dire (e soprattutto fare) la nostra per praticare, in ogni “qui” e in ogni “oggi”, l’amore che è Dio (o in qualunque modo preferiamo chiamarlo/a). Senza pratiche d’amore il mondo non si salva, è condannato (3,17); la salvezza del mondo non dipende dalla nostra fede, ma dalla nostra capacità di tradurla in pratiche quotidiane d’amore.

Fermiamoci un attimo su questo pensiero: senza pratiche d’amore il mondo non si salva, è condannato. C’è forse qualcuno che non condivida questa affermazione? Chi non usa ormai la parola “amore” per propagandare se stesso? E’ spacciata per amore la competizione distruttrice che va sotto lo slogan: noi amiamo, loro odiano; dove “loro” sta per chi la pensa diversamente da noi. E’ contrabbandato per amore lo slogan fascista: difendi il tuo simile, distruggi tutto il resto; che si traduce in omofobia, xenofobia, misoginia e via elencando. E può essere amore la cura esclusiva del proprio orticello, a danno di ciò che lo circonda?

Può essere predicata come amore la difesa violenta dello stile di vita dei ricchi miei simili, a prezzo della guerra di rapina per impossessarmi delle risorse naturali che si trovano su territori abitati da altri popoli? Possiamo continuare a chiamare amore la voglia di dominio, di possesso, di accumulazione?... E’ pratica d’amore il capitalismo dominante?

E’ forse l’amore che spinge uomini a uccidere la donna che resiste, che vuole libertà, che li lascia?... Queste sono piuttosto pratiche di distruzione e di morte, che ci stanno quotidianamente allenando a subire con passività la progressiva distruzione della vita del mondo, frutto della centellinata distruzione di miriadi di singole vite. Ci alleniamo, come la violenza e la minaccia di violenza hanno allenato donne e bambini, da millenni, a subire il dominio patriarcale, facendolo diventare ovvio, naturale, scontato...

Gesù, come milioni di donne e di uomini prima, durante e dopo di lui, ha praticato e insegnato l’amore, la compassione, la misericordia, la giustizia... Sono sinonimi, nel linguaggio evangelico. Ma se queste pratiche non diventano collettive, non vengono fatte proprie da un numero crescente di persone, resteranno deboli e inefficaci “per la salvezza del mondo”. A meno che non pensiamo che questa non dipenda da noi, ma che ci basti “credere” che Gesù è Dio, andare a messa la domenica e comunicarci almeno a Pasqua...

“Misericordia voglio e non sacrifici”: questo è il grido di ogni profeta. Profeti non sono i funzionari delle gerarchie chiesastiche, che studiano per ripetere all’infinito formule e riti tranquillanti per coscienze sottomesse... ma ogni uomo e ogni donna che scelgono consapevolmente di praticare relazioni d’amore, anche se non credono affatto, come me, che Gesù sia Dio e l’unico Messia salvatore del mondo.

Dio di Gesù, Dea delle nostre antiche madri,
Sorgente della vita e dell’amore,
sempre più forte sento nel mio cuore
la tua voce che parla
la tua mano che accompagna.
Mi hai guidato nella vita in mezzo a mille scelte
e sento la tua presenza amica quando, con gioia e meraviglia,
mi sorprendo a pensare che l’ultimo anno è stato, ancora una volta,
il più bello, il più intenso, il più ricco.
Grazie per questo dono che si rinnova:
l’ultimo anno vuol dire “oggi”, il momento presente, quello che mi succede adesso.
E mi succede di vivere con te
accompagnato dalle voci e dall’amore di donne e di uomini
che sono te sui miei sentieri di vita.
In loro ti adoro, ti riconosco, ti ringrazio...
con loro ti prego, ti cerco, ti accompagno...
Aiutami a far tesoro della loro compagnia
per cambiare in ogni “oggi” il mio modo di stare nelle relazioni
con loro e con il creato, cioè con te.
Che sia un modo fatto di ascolto,
di rispetto, di attenzione e di silenzio,
per far posto alla gioia di ogni incontro,
alla meraviglia per ogni differenza,
all’amore disinteressato e paziente.

Beppe Pavan


L'amore di Dio


Questo brano segue la narrazione dell’incontro di Gesù con Nicodemo. Quest'uomo, fariseo e capo, viene di notte da Gesù e si sente parlare di una seconda nascita, di una rinascita dall'alto. Probabilmente Gesù, dicendo queste parole a Nicodemo, pensa al suo popolo: che cosa desiderare ed augurare di meglio, che cosa sperare per Israele se non un profondo rinnovamento, una vera e propria rinascita?

Gesù ha vissuto con passione il compito profetico di richiamare il suo popolo alla rinascita interiore. Egli non ha mai pensato di fondare una “nuova religione”. Gesù vive e muore da credente ebreo profondamente inserito nella fede del suo popolo, ma sente che c’è bisogno di una rinascita, di una vera e propria "rivoluzione", di nuove aperture, di nuove scelte. Occorre continuare, nel rinnovamento, la strada tracciata dai profeti.

Per Gesù, a differenza di altre correnti teologiche di Israele, ogni occasione è buona per proclamare che Dio ha un rapporto con le Sue creature che mette al primo posto l'amore, la sollecitudine, la ricerca di chi è perduto/a, non la condanna e il giudizio.

Il Vangelo di Giovanni ci dice in questi versetti che l'opera essenziale di Gesù, il cuore della sua missione non è di testimoniare il giudizio di Dio, ma il Suo amore, la Sua salvezza, la Sua accoglienza, il dono del Suo perdono gratuito, senza condizioni.

Le immagini che il Vangelo di Giovanni usa: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio", "ha mandato il figlio nel mondo perché il mondo si salvi per mezzo di lui", possono così essere interpretate come espressioni della sollecitudine di Dio verso il mondo. Giovanni ha una concezione esclusivista della salvezza, come se solo attraverso Gesù si potesse conoscere e percorrere la strada di Dio: ma l'evangelista è un figlio del suo tempo, della sua cultura.

Nella Bibbia si trovano numerose interpretazioni della morte di Gesù. Nelle scritture cristiane non esiste un unico ed esclusivo modello. Ci sono infatti diverse interpretazioni, composte di vari elementi, tra loro spesso intrecciate. Come lentamente, nel definire l’identità di Gesù, il titolo di “Figlio di Dio” ha soppiantato tutti gli altri e ha ricevuto un’interpretazione estranea al pensiero ebraico, così la concezione espiatoria della morte di Gesù è divenuta nella teologia cristiana quella principale, anche se non esclusiva, perdendo il significato di ricerca, fino a trasformarsi in ideologia.

Quasi tutte le religioni antiche sono state “segnate” da questa concezione e dalle pratiche ad essa legate. Questa dottrina del sacrificio, dell’espiazione, della soddisfazione, dei meriti è particolarmente presente nella dottrina ufficiale cattolica. Ma, a differenza di altre religioni “espiatorie”, il cristianesimo tocca, con la necessità della morte dell’inviato di Dio, del “figlio”, del Suo testimone per eccellenza, un livello estremo: la violenza sacrificale non si rivolge su “un capro”, ma sulla persona di Gesù che vive con Dio una relazione straordinariamente intima ed ha ricevuto da Lui una funzione particolare, unica. Qui la “violenza di Dio”, il “prezzo” richiesto per la nostra salvezza, sarebbe, così, singolarmente alto.

Ma Dio ci salva perché, nel Suo amore, gratuitamente, fuori da ogni “logica contabile”, ha deciso di salvarci.

Gesù è chiamato “salvatore” poiché in lui vi è l’immagine della salvezza di Dio che lo ha accompagnato nella vita e lo ha liberato dalla morte. Egli inoltre è “il salvatore”, nel senso che ci annuncia la salvezza di Dio di cui, per noi cristiani/e, è il primo testimone. Ma l’opera di salvezza è ascrivibile solo a Dio.

Gesù non è morto perché Dio volesse la sua espiazione per i nostri peccati. Gesù è stato crocifisso e ucciso come conseguenza delle sue scelte di vita: è stato così fedele alla Parola di Dio e ai poveri che ha incontrato l’opposizione politica e religiosa dei potenti di allora che hanno deciso di ucciderlo. Egli, come ci testimonia ogni pagina dei Vangeli, era un innamorato della vita, ma, piuttosto che tradire la sua missione, ha accettato lo scontro con il potere e ne ha portato le conseguenze fino in fondo; Gesù non ha cercato la morte, ma non vi si è sottratto nell’ora in cui la sua missione esigeva coerenza e dedizione.

Gesù, come anche molti uomini e donne profeti della storia, ha pagato a caro prezzo l’opposizione di chi vuole bloccare i sentieri di liberazione. La vita, morte e resurrezione di Gesù parlano a noi, al mondo: ci dicono quali sono i sentieri del regno di Dio, da che parte dobbiano collocare le nostre energie e le nostre speranze.

L’idea di dover espiare le proprie colpe pervade ed angoscia molti cuori. Per altri può fornire la spiegazione delle proprie sofferenze, delle malattie. Certo, talvolta i mali ci vengono anche perché noi “ce li siamo procurati”… ma pensare che “dobbiamo espiare”, che la sofferenza ci avvicini maggiormente al Creatore, deforma il nostro rapporto con Lui che è invece, come ci narrano le Scritture, gratuità, amore, tenerezza, perdono.

Nelle nostre sofferenze Dio ci accompagna con la Sua presenza, spesso nascosta, ma non è Colui che esige che “paghiamo” per i nostri o altrui errori. Gesù ha definitivamente sepolto l’immagine di un Dio che chiede il sangue delle vittime e il gemito dell’espiazione. Davanti a Dio non abbiamo nulla da espiare; piuttosto Dio è la voce, l’Amore che ci chiama a conversione.

Ciascuno/a di noi è "chiamato/a a percorrere una strada”, ma, nella gioia e nell'impegno del mio cammino, occorre che io riconosca che Dio è all'opera anche su altre vie di salvezza. Se io cerco di essere fedele a Dio sulla strada di Gesù, altre persone cercheranno l'adempimento della volontà di Dio sulla strada indicata da Maometto. Dio è più grande di qualunque sua manifestazione, più grande del nostro cuore. Nessuna religione possiede “la Salvezza”, nessuna via di salvezza ha il monopolio o l'esclusiva.

Non si tratta di "convertire" altri al cristianesimo, ma di dare testimonianza della fede cristiana con la nostra vita, lieti/e che altre persone percorrano altre vie di salvezza con impegno. L’obiettivo è quello di percorrere la propria strada aiutandoci vicendevolmente, con un dialogo che non sopprima le differenze, per diventare testimoni più fedeli dell'amore e della volontà di Dio.

Questi versetti ci propongono dunque di riflettere sul rapporto di Dio con il mondo, cioè con tutte le Sue creature. Gesù ci annuncia che Dio ama il mondo. Questo annuncio cambia totalmente l'immaginario del Dio giudice e severo che impassibile sta al di sopra di tutti/e e di tutto.

L'immagine di Dio che attraverso Gesù ci invita a diventare persone libere e liberanti mi aiuta a cambiare l'impostazione della mia vita: ogni volta che tendo a chiudermi negli schemi che la società ci impone, nel mio egoismo, fra le quattro mura della mia piccola casa, ogni volta che trasformo i miei problemi e le mie difficoltà nei “problemi del mondo”, l’insegnamento e la vita di Gesù mi aiutano a riflettere, mi aiutano a capire che quella non è volontà di Dio, ma del "potere" che pretende l'adeguamento ai modelli proposti/imposti. Dio ama le donne e gli uomini e ci invita a vivere pienamente la nostra vita nella Sua parola. Dio non ci abbandona mai, nonostante le nostre cadute ed i nostri errori.

Gesù, con le sue scelte, le sue azioni e i suoi insegnamenti, ci testimonia cosa significa prendere in mano la propria vita e spenderla per realizzare la propria e l'altrui felicità. È molto difficile avere occhi che sappiano vedere e mani che sappiano accogliere e praticare la giustizia, ma la vita di Gesù ci insegna che, fidandoci di Dio, anche noi possiamo, con i nostri limiti e la nostra fragile umanità, portare un mattone nel grande cantiere di liberazione del Regno di Dio.

Paolo Sales

 

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