CdB di San Paolo

Commenti alle letture di domenica 28 gennaio sul tema:

“Comunità e ministeri”

(NDR: Quasi tutti gli interventi sono stati rivisti dagli autori, ad esclusione di quelli di Giovanni e Orietta)

Introduzione

 

Stefano: Le letture che abbiamo proposto per parlare di ministeri nella comunità ecclesiale sono in ordine cronologico, non per il periodo in cui sono state scritte, perché altrimenti la lettera ai Corinti dovrebbe essere la prima, ma per il tempo in cui si svolgono i fatti narrati.

Vediamo quindi, nella prima lettura, Gesù che, dopo aver già scelto i dodici, in questa occasione sceglie settanta tra i suoi discepoli da mandare nelle città dove lui sarebbe poi passato, ad annunciare che “il regno di Dio si è avvicinato a voi”. Sembra essere, questo dei settanta, un incarico “una tantum”, sicuramente non ne discende una funzione permanente.

Poi vediamo nel libro degli Atti come a Gerusalemme gli apostoli, per avere aiuto negli oneri di assistenza alle vedove, propongano alla comunità di scegliere fra di loro sette persone da destinare a questi compiti. Pur non essendo certi di come siano andate realmente le cose, da questa testimonianza sembra che ci sia stata però molta democrazia in questa prima comunità.

Infine Paolo ci descrive i molti ministeri che caratterizzavano la comunità di Corinto: mette in ordine apostoli, profeti, dottori, chi compie miracoli, chi fa guarigioni, chi è addetto alle assistenze, chi ha compiti di governo, chi parla le lingue e chi le interpreta. Ma tutti questi compiti, dice Paolo, hanno valore solo alla luce dell’amore. La carità ha la priorità su tutto e tutti.

Nel volgere di pochi anni sono aumentati gli incarichi e sembra prendere piede la pluralità di doni e di corrispondenti funzioni all’interno della Chiesa.

Il motivo che ci ha indotto a proporre il tema dei “ministeri” come argomento di riflessione oggi è stato provocato dall’intervista a Franco Barbero su Viottoli, in cui Franco mette in risalto l’importanza per le CdB, se vogliono continuare ad esistere, che escano dallo spontaneismo e assumano il compito di assegnarsi dei ministeri per lo svolgimento delle diverse funzioni e per il coordinamento delle attività comunitarie. Per capire il suo pensiero, per coloro che non avessero letto tutta l’intervista, abbiamo letto due stralci dell’intervista: il primo tratto da un suo precedente scritto, intitolato “Una comunità che guarda avanti”, e poi la conclusione.

Quello che vorremmo proporre oggi è una riflessione solo sugli aspetti teorici, potremmo forse dire teologici, riguardanti i ministeri e non sugli aspetti organizzativi, per i quali potremmo, se vorrete, rimandarci ad una specifica assemblea.

Ragionando su questo argomento abbiamo rammentato tra di noi quanti siano i compiti, i ministeri, che nella nostra comunità sono esercitati e sono svolti con vero spirito di servizio da anni da tante persone; sono tanti che non è possibile elencarli tutti perché faremmo sicuramente il torto a più di una persona,dimenticandola. Sicuramente i nostri però sono ministeri spontanei, dis-ordinati, non sono forse quelli che ha in mente Franco.

Noi non abbiamo trovato risposte al problema ma solo domande.

Il problema che pone Barbero rispetto all’efficacia dei ministeri nella comunità e all’importanza di essi al fine della durata nel tempo della stessa, è lo stesso problema che si poneva Paolo a Corinto?

È importante che rispetto ai compiti che le persone si assumono ci sia nella comunità riconoscibilità? E se sì, fino a che punto? Fino ad una vera e propria assegnazione di incarichi da parte della comunità, per non parlare di ordinazione?

È vero che nello spontaneismo si nasconde il pericolo di un leaderismo strisciante? Oppure va bene continuare ad essere così come siamo perché alla mancanza di funzioni assegnate supplisce il collante della carità, e cioè l’affetto e la fiducia che ci lega?

 


Interventi

 

Mauro: Non ricordo dove ho letto l’intervista, ma c’erano delle frasi importanti. Tra l’altro Barbero si chiedeva se resteranno le cdb quando non ci saranno più, (il più lontano nel tempo possibile), i vari Giovanni Franzoni, Marcello Vigli (era accomunato lì, ma io poi gli ho chiesto: “tu sei un sacerdote?”, lui mi ha detto di no ma veniva menzionato in quanto sostenitore delle cdb) e altri?

Qui c’è un punto importante; chi è portatore di una conoscenza specifica teorica ha fatto degli studi profondi, li ha fatti nelle strutture che sono quelle che sono, però insomma, lo studio è lo studio. Io sono un chimico, non è che mi posso improvvisare chimico perché ne leggo un po’ su di un giornale, non è possibile. Quindi Barbero pone delle questioni importanti. Che poi ci sia l’ordinazione etc. è secondo me secondario; ma che la preservazione di determinate conoscenze, il loro arricchimento, e la ricerca che bisogna fare per approfondire è fondamentale.

In sostanza fra 50 anni chi ci sarà qui, o in un’altra stanza, a spiegare che “Abacuc in quel passo voleva dire questo…” perché l’ha studiato, non perché è venuto qui con l’ispirazione dello Spirito Santo. Sia chiaro lo Spirito soffia dove vuole e come vuole, questo è sempre prioritario; però perché soffi è importante che qualcuno coltivi, che qualcuno prepari, che qualcuno studi, quindi in quell’intervista di Barbero ci sono dei punti che fanno profondamente riflettere, perché se noi veniamo qui oggi e non ce ne frega di quello che sarà tra 20 anni, va benissimo così; se noi invece pensiamo anche al futuro, i problemi che pone Barbero sono fondamentali.

 

Marcello: Io mi sento chiamato in causa non solo da Mauro e dall’intervistatrice di Barbero, ma anche dall’esperienza.

Nel secondo convegno delle CdB, nel lontano 1973 proprio qui a San Paolo sul tema “Comunità: bibbia e lotte di liberazione”, le comunità mentre indicavano il contesto nel quale intendevano riscoprire la Bibbia,chiamavano come esperti, perché non ce n’erano al loro interno, i fratelli evangelici: venne Giorgio Girardet a darci qualche dritta. Nei 2 anni precedenti forte era emersa l’esigenza di una “riappropriazione della Bibbia”, ma all’interno delle Cdb non erano maturate esperienze sufficienti di approfondimento, perché ci vuole tempo.

In ogni caso, a mio avviso, la funzione delle Cdb non è quella di essere un gruppo di studio biblico permanente, piuttosto quello di creare la sede in cui si legge la bibbia comunitariamente, con gli occhi del presente per trovare il modo di renderla viva, come quelle comunità che l’hanno scritta per fissare e trasmettere il messaggio sul quale stavano costruendo la loro esperienza di vita. Ecco allora che, se la bibbia nasce con la funzione di trasmettere vita vissuta, cioè incarnazione e storicizzazione della Parola, è necessario leggerla con gli occhi del presente in continuità dialettica con quanti l’hanno letta nel tempo, sulla base degli strumenti interpretativi che nel tempo si sono venuti affinando.

Di qui discende l’importanza della scelta di “Santa Madre Chiesa” che nel tempo ha prodotto la tradizione; non è un caso se noi siamo “cattolici” e non “evangelici”, perché pensiamo che le gambe per avanzare nella fede sono due, come ha confermato il Concilio, anche se neghiamo l’imbalsamazione a cui entrambe sono soggette. E allora la Comunità può affidarsi ad altri che hanno già “studiato” la bibbia e non considerare indispensabile avere al suo interno competenze specifiche per leggerla con strumenti filologicamente ineccepibili - magari per capire fino in fondo, come qualcuno diceva prima, che cosa avesse detto Abacuc - né assumerla come unico alimento per maturare una spiritualità condivisa. Per offrire corrette conoscenze per la lettura comunitaria non è quindi necessario un ministero individuale specificamente destinato. Possono essere garantite da un soggetto collettivo, cioè un gruppo biblico come qui a S. Paolo che produce collegialmente a vantaggio di tutte/i, o da un servizio richiesto ad esperti esterni alla comunità.

Questi diversi modi di risolvere il problema del “servizio biblico” cioè delle conoscenze necessarie per leggere la bibbia - problema che si pone seppure in modo diverso anche per affrontare tutte le grandi questioni - confermano l’assenza di un modello unico: come riconosce Barbero “non esiste nessuna esperienza esemplare, non esiste un modello… etc.”

È questo il senso del nostro movimento quello per il quale io sono chiamato in causa pur non avendo fondato, come sottolinea Mauro, una comunità. Perché ho spesso insistito sull’idea che ci si può muovere insieme confrontandosi non per creare modelli, ma per partecipare alla vita di questa chiesa così com’è e che non possiamo pensare che non debba esistere più, pur se la vogliamo diversa. A chi viene in mente che da domani tutta l’istituzione ecclesiastica deve sparire, che le Facoltà teologiche e gli Istituti biblici vadano cancellate dall’oggi al domani? Siamo un miliardo di persone, che diciamo di credere nel Gesù di Nazareth, e gli apporti possono venire da tante parti.

Le Cdb italiane rappresentano un modesto tentativo di autoconvocarsi, non per creare un modello, ma per sperimentare se si può vivere “l’essere chiesa” in un modo diverso e non è indispensabile che abbiano al loro interno tutti i ministeri. Servono quelli necessari; anche Barbero dice “Non si possono paragonare le comunità di 200 persone con quelle di 10 persone”.

E allora il problema dei ministeri diventa quello delle funzioni ministeriali, funzioni che possono essere svolte anche senza essere affidate e definite in modo tale che ne siano riconoscibili i “funzionari”, diventa la ricerca di funzioni, non di ruoli.

Siccome dobbiamo essere brevi, io mi fermo ben sapendo che il tema merita maggiori approfondimenti... magari all’interno del dibattito aperto sul sito delle Cdb.

 

Gabriella: Io penso, rispetto a quello che diceva prima Mauro, che queste persone che hanno guidato per tanti anni le comunità, non è tanto per una questione di erudizione, di studi fatti, quanto per un qualcosa in più, un carisma, un’intuizione, un amore, uno studio, una dedizione, insomma tutte doti che sono personali. Perché per il resto qui c’è il gruppo biblico, c’è il gruppo donne, siamo tutte/i cresciuti nella interpretazione, nella lettura dei testi, e forse non è tanto quello che ci mancherebbe. Cioè se ci dovesse mancare Giovanni (facendo i dovuti scongiuri!) non è che ci mancherebbe un presbitero, ci mancherebbe Giovanni, una persona unica e quindi è diverso il discorso.

 

Massimo: Voglio rispondere anch’io a quello che diceva Mauro, ripetendo quello che ho già detto in altre occasioni.

Siamo entrambi tecnici: lui chimico, io ingegnere. E per risolvere delle questioni tecniche posso delegare ai tecnici e anzi mi devo fidare di loro: se devo cavarmi un dente vado dal dentista, se ho un problema di salute vado dal medico, vado dal chimico per un problema chimico, dal geometra per un problema edilizio.

Invece, e questa è per me una questione centrale, su Dio io non posso delegare ad altri, agli specialisti, al sacerdote, al teologo, etc..

E’ il messaggio di Lutero, quando rivendicava il rapporto diretto con Dio attraverso il libero esame della bibbia (e della tradizione, aggiungo io, per tener conto di quello che diceva Marcello).

Ciascuno di noi ha il diritto/dovere di studiare la parola, deve riappropriarsi in prima persona di Dio, non può delegare questa attività ad altri, senza per questo disconoscere gli studi degli specialisti (vedi ad esempio Barbaglio, Giovanni, e altri che sono più ferrati di noi) che devono mettere il loro carisma a disposizione della comunità, riportando i loro studi in comunità e condividendoli a beneficio di tutti: ma i singoli devono assumersi la responsabilità di relazionarsi con Dio in prima persona senza deleghe ad altri.

Paradossalmente non sarebbe neanche un bene che ci fosse il gruppo biblico in comunità se gli altri della comunità dessero la delega in materia di Dio a questo “teologo collettivo”: il gruppo biblico va benissimo, purché questo non sia una giustificazione per non impegnarci in prima persona con Dio.

Abbiamo il dovere fondamentale di affrontare il rapporto con Dio, individualmente e come gruppo. A questo proposito ricordo che ieri abbiamo celebrato il trentennale del nostro gruppo di Montesacro, istituito, assieme agli altri gruppi della comunità che preparano a turno l’eucarestia, nel lontano 1976 su proposta di Fantoni, proprio allo scopo di responsabilizzarci nella riappropriazione della parola e della liturgia.

Mi pare che in questi 30 anni i gruppi abbiano dato frutti positivi nel portare la parola e i ministeri più vicini alle singole persone. Come gruppo di Montesacro, quando prepariamo l’eucarestia ci sforziamo di far fronte come minimo a tre ministeri diversi: una persona coordina la celebrazione, un’altra presenta il tema (come ha fatto Stefano prima) e un’altra si incarica di fare un commento teologico-biblico.

Tutte queste sono strutture provvisorie, come diceva Stefano prima, e questo io non lo sento affatto come negatività: è positivo che non si istituisca nessun ministero specifico, affidandolo a qualcuno in particolare, perché questa provvisorietà, questo lasciare a volte le cose un po’ al caso, fa si che tutte le persone siano più coinvolte e più stimolate a riappropriarsi delle letture (non solo bibliche) e dei misteri, portando il proprio contributo.

 

Antonio: E’ chiaro che il gruppo biblico è un servizio che si cerca di fare, un’occasione fra le tante; quello che importa è di non dimenticare la necessità di impegnarsi seriamente nello studio, anche nello studio.

E’ chiaro anche che Giovanni è Giovanni; però se Giovanni non avesse fatto quel tipo di studi forse avrebbe fatto l’idraulico, o un’altra cosa, non so.

Dico anche: tanti hanno fatto gli stessi studi di Giovanni e non sono Giovanni, anzi alcuni sono pessimi vescovi e pessime gerarchie. Giovanni è eccezionale, però, se lui non fosse stato quello che è stato, noi non saremmo qui oggi a fare questi ragionamenti.

Una cosa è la nostra partecipazione allo sforzo per capire e una cosa poi sono i doni che ognuno ha, e che sono diversi, come dice la I Corinzi.

Un altro esempio: questa storia di Stefano che qui è rappresentato come appartenente ad una categoria inferiore, i diaconi, che dovevano solo dar da mangiar alle vedove: invece Stefano una pagina o due dopo viene lapidato, non perché aveva dato da mangiare alle vedove, ma perché aveva fatto un bel discorso teologico che presupponeva la conoscenza della bibbia e dava un sacco fastidio.

Il cristianesimo è nato come rilettura, in certi punti anche discutibile (molto più discutibile di quella fatta dalla teologia della liberazione!) del vecchio testamento, perché dicevano: quello che è morto in croce, che voi considerate un delinquente, è invece quello previsto da Isaia in questo e in questo passo… Quindi quelli conoscevano la bibbia e ne davano un’interpretazione che metteva in crisi il potere politico e religioso… E noi pure oggi non dovremmo dimenticarci che il nostro tentativo di “riappropriarci” (come si dice con una parola criticabile, perché la bibbia non è di nessuno in particolare) delle scritture è stato fatto anche per liberarci dall’interpretazione che ci veniva somministrata.

Per cui se non abbiamo gli strumenti per ribattere ad un certo tipo di interpretazione con un’altra interpretazione, siamo ridotti male.

All’inizio, è stato ricordato, venivano i fratelli evangelici ad aiutarci a capire le scritture, oggi, modestamente, possiamo dialogare quasi alla pari, perché abbiamo fatto un lungo cammino e tanta ricerca, con l’aiuto, si’intende, anche di apporti esterni.

In conclusione, è chiaro che adesso le risposte ai problemi toccati da Barbero non si possono dare, bisogna pensarci, però la serietà di un impegno di studio, di ricerca, ognuno per le proprie possibilità, questa è una cosa che va tenuta sempre presente.

 

Giovanni: Io penso che si sta aprendo una stagione di ricerca su questo tema.

In comunità già ci ponemmo il problema dei ministeri; ricordo di un convegno con Jaques Dupont sui ministeri nella chiesa, e riprenderlo è sacrosanto. Quindi stiamo, per così dire, mettendo i pezzi sul tavolo poi vediamo col tempo cosa succederà.

Quello che volevo dire io è l’importanza di avere dei punti di riferimento “ectopici”.

È stata già richiamata l’importanza del gruppo biblico, poi i gruppi che preparano l’eucaristia, poi c’è il gruppo che si interessa dei giovani, quello che si interessa del laboratorio di religione dei bambini; questi sono tutti gruppi emanati dall’interno della comunità.

Cosa intendo per ectopia.

Paola, ad esempio, che oggi non è presente, frequenta la Gregoriana: quello per lei è un punto di riferimento importante.

Per me ad esempio è stato prezioso ad un certo momento l’incontro con Giacoma Limentani, con Pupa Garriba, con il gruppo di ebrei “Martin Buber”; poi uno di voi mi ha regalato “Genesi rabbah”, dei testi dei trattati del Talmud; per me è stato un riferimento molto importante, così come, per esempio, lo sono stati i gruppi dei corsi che faccio con l’Università popolare di Roma, dove ad un certo punto si è spostato l’asse della riflessione sul piano antropologico. Inizialmente quello era il dipartimento della “Storia delle religioni” (dove io fra l’altro sono molto critico nei confronti dello stesso concetto della “Storia delle religioni” perché a mettere in fila le religioni e farne una storia c’è il rischio di ricadere in una sorta di colonialismo culturale e religioso).

Però anche all’interno di questa ricerca sono dovuto andare a cercare cose che non chiedevo alla comunità.

La volta che capiti al gruppo di “Ore 11” a Roma, o alla comunità dell’Acero, si scopre che ci sono anche altri gruppi che non sono del movimento delle cdb nei quali si lavora.

Lo stesso è capitato a Confronti, alle riunioni di redazione, dove io ci sono cresciuto tanto quanto in comunità.

Allora, secondo me, bisognerebbe moltiplicare, non delegando Tizio o Caio, quelli perché hanno fatto il gruppo biblico, quelli perché fanno riferimento a Confronti, quegli altri perché hanno un rapporto con i valdesi di Piazza Cavour o con la comunità ebraica o il gruppo “Martin Buber”.

Ma avere una specie di rete che non è parallela, ma si intreccia con la rete del collegamento delle cdb, avere punti di riferimento con delle specifiche elaborazioni.

Chi lavora insieme a queste realtà ha anche occasione di formarsi, in continuità.

La comunità di S. Paolo ha avuto la fortuna di avere varie persone che sono passate da qui: Gerardo Lutte, Giulio Girardi, etc… Per esempio Giulio Girardi ci ha sempre fatto rivolgere l’attenzione verso la teologia della liberazione indigena.

Abbiamo avuto degli attraversamenti, che non portavano all’autogenesi, ma portavano alla crescita della comunità; perché, se è chiaro il dubbio di Franco Barbero, la crescita della comunità su se stessa può portare anche ad un esaurimento e ad una saturazione.

È proprio l’ectopia, invece, l’attraversamento, il rapporto con l’esterno che è stato la ricchezza per la comunità, non la presenza di singole persone, di Tizio, Caio e Sempronio, che avevano determinate caratteristiche. Perché questi carismi si autoproducano, però, è importante che la comunità non si chiuda su se stessa.

Quindi io vedrei con una certa perplessità il moltiplicarsi di gruppi all’interno della comunità, mentre chiederei che si ponga il problema di rapporti ectopici, di off shore, di motori fuori bordo, frequentando determinati punti di riferimento dove discorsi si fanno molto concreti

Certamente poi è anche estremamente prezioso il fatto che non si tratta di elaborare semplicemente dei filoni concettuali, biblici, dottrinali o altre elaborazioni di questo tipo, ma si deve costruire anche un taglio di rapporto di relazione. Su questo il gruppo donne è sempre stato molto, molto attento a migliorare la relazione, non esaurendosi questa soltanto negli incontri domestici o in quelle volte che si mangia insieme. È importante moltiplicare i fatti relazionali.

Un momento di riflessione che in comunità si è un po’ appassito è stato quello sulla sofferenza psichica, sulla sofferenza mentale, che era stato uno dei motori all’inizio della storia della comunità e si è esaurito nella pratica spegnendosi in rapporti individualizzati, che poi diventano strumentali, poveri, insufficienti.

Ma la riflessione (per esempio lì si accenderebbe un off shore incredibilmente importante e interessante) sul riuso dell’area del “Santa Maria della Pietà” (NDR: ex manicomio) che sta lì ancora tutto per aria ed è un patrimonio immenso della città di Roma che sta rischiando lo spezzatino piùvolgare perdendo il “genius loci”, lo spirito, e perdendo anche la partita di Basaglia, che voleva rendere visibile la sofferenza psichica nella società e nella città e quindi senza rinunciare al concetto di guarigione o di miglioramento della condizione della persona.

Ma certamente il fatto è che Roma rischi di diventare una città spettacolo, una città ospitante, una città simbolo; a questo ci aveva pensato anche Mussolini, poteva farlo anche lui.

 

Orietta: Mi vorrei riallacciare un momento a quello che diceva Giovanni poco fa, il discorso della sofferenza mentale, penso che sotto questo profilo noi non possiamo fare assolutamente nulla, perché non abbiamo strumenti scientifici per giovare in qualche modo a qualcuno; però mi sono domandata spesso che cosa possiamo fare sotto il profilo della solidarietà quando ci troviamo, e ci troviamo spesso, di fronte a questo tipo di problemi.

 

Maria Antonietta: Stavo in questi giorni pensando al problema del “capo”, del padre, che potrebbe essere anche una madre, una donna, non è questo il punto, il punto è la funzione del capo, il suo senso.

In questi anni si è tentato di uccidere il padre, l’autorità, il capo,in nome di una partecipazione corale di una riappropriazione della delega, diuna riassunzione della responsabilità da parte del popolo di Dio.Se ne sente invecela sua necessità.

Senza misconoscere l’apporto ricchissimo della costellazione delle varie personalità, che da fuori e da dentro hanno dato il loro contributo alla comunità come Luigi, Gianni, Marcello, Ramos, Rosario..., una ricchezza inaudita, costellazione in cui si evidenziala diversa funzione di Giovannicome capo. A questo proposito mi ricordo che, e mi serve per semplificare, quando eravamo ancora nella basilica, riuniti nella sala rossa a riflettere sul vangelo della domenica, mi sorprendeva comeGiovanni, nella predica del giorno dopo, riuscisse a raccogliere quello che era stato detto e a riproporlo in maniera personale e nuova dove ci si riconosceva. Non era una raccolta passiva di quanto si era dibattuto: avvertiva gli umori, le tensioni della comunità che sapeva cucire con la teologia,con gli avvenimenti e la realtà esterna, e fornire elementi di nuova riflessione.

Il capo è colui cheraccoglie, unifica, ripropone, guida, è il collante di un corpo che sente suo e che lo riconosce.

Quando mia figlia Tiberiafremeva nel volere le briglia sciolte, la facevo riflettere dicendole: “Ma ad un edificio che sta in costruzione, tu che fai, gli togli le impalcature? Quando sarà il momento si leveranno le impalcature”. La negazione dell’autorità, sia quella di “casa” che quella delle varie istituzioni e gruppi, implica l’idea che le crescite siano automatiche, che non abbiano necessità diguida, di regole e di figure che unifichino.

 

Dea: Un altro problema di cui qualche volta sento parlare a proposito della partecipazione alle riunioni di collegamento delle CdB è quello della rappresentatività. Qualcuno, o più spesso qualcuna, non si sente di partecipare perché non si considera abbastanza “rappresentativo/a” della sua comunità. Allora la domanda su cui riflettere è: cosa significa essere rappresentativi in una realtà che vuole essere di base?

Il problema di avere qualcosa da dire, o qualcosa da dire in più rispetto a quello che hanno già detto i “grandi” della comunità è un problema che riguarda anche i ragazzi e le ragazze. E anche su questo dovremmo riflettere.

 

José Ramos Regidor: Pur essendo grati alle persone che svolgono un ruolo in comunità e che hanno potuto studiare e approfondire queste tematiche, penso che non si debba dimenticare che questa cultura è però segnatadal pensiero maschile.

Ci sono grossi problemi quindi se non si fanno i conticon la presa di coscienza femminile che deve portare ad una nuova evoluzione quando le donne, che sono state escluse e dominate, cominceranno a diventare protagoniste e a costruire un futuro diverso.

Non dimentichiamo che la forza della teologia cristiana al maschile si è imposta anche con la violenza nella chiesa e nella società. Tuttavia negli ultimi anni è nata una nuova interpretazione dei testi biblici che, sia pure con fatica, comincia a diffondersi trai cristiani di base.

Un piccolo esempio in questa direzione è il saggio teologico intitolato “Passione per Dio. Teologia a due voci ” di Jürgen Moltmann e di Elisabeth Moltmann-Wendel: in questo testo i due coniugi e teologi testimoniano la loro ricerca di nuovi modi di parlare di Dio, che può essere un primo approccio a una visione teologica meno parziale.

 

Alla fine degli interventi, Ia legge l’intenzione di preghiera che ha inviato Giulio Girardi:

“Perché la laicità sia sempre più intesa come apertura alla libertà ideologica, alla diversità ideologica e religiosa”.

 

 

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