DOMENICA DELL’ASCENSIONE 4 maggio 2008

Gruppo Roma Sud-Est della Comunità di San Paolo di Roma

Ascensione: tra storia e mito

Molte volte ci siamo già soffermati in comunità sulla frase: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? » e non vogliamo ritornare su questa immagine, anche se in questo momento storico guardare in cielo, per non guardare a ciò che è accaduto proprio vicino a noi in Italia e a Roma, potrebbe essere per me una grande tentazione.

Nel gruppo ci siamo soffermati piuttosto sulla difficoltà di interpretare questi testi a causa della nostra mentalità razionale.

Specialmente Atti ci presenta un racconto che appare più vicino alla mitologia che alla storia. Noi oggi ci interroghiamo sul valore di questi episodi: quanta parte dare alla storia e quanta al mito? Un problema di non facile soluzione anche per noi. Bisogna discuterne, senza paura. Fare spazio alla fecondità del dubbio.

Del resto ci conforta in questo anche l’inciso di Matteo: «Essi però dubitarono.»

E il dubbio che si è presentato a noi è: cosa rimane delle scritture del secondo testamento se le priviamo di tutti gli elementi mitici? Si riduce forse il vangelo ad un puro messaggio etico?

Credo di aver trovato una formulazione del problema nel libro di Filippo Gentiloni “Non nominare invano”:

“…….Se l’antica “curiositas” è scomparsa, con lei è scomparso il miracolo. La scienza lo ha cancellato, ed è stata una cancellatura di non poco conto. Ne risente la lettura dei testi cristiani, che senza miracoli veri e propri sono stati appiattiti, edulcorati, passati al vaglio di un procedimento che voleva salvare la sostanza ripulendola dal contorno mitologico, favoloso, accidentale. Genere letterario. Un procedimento che sta rischiando di ridurre la Bibbia ad un manuale di educazione civica, di buon comportamento, o, nel migliore dei casi, di rivoluzione-riforma (secondo i tempi e i luoghi) politico-sociale.

Ne risente, dell’esclusione di quella “curiositas” che si poteva aprire perfino al miracolo, tutto il percorso verso la soglia. La soglia di un’Altra casa non ci può essere se tutte le soglie sono di casa mia. Inutile bussare alla porta di quella tomba vuota dopo tre giorni, se la resurrezione promessa non è certamente altro che questa nostra vita vissuta in pienezza. Inutile bussare, allora, alla soglia della morte. La “curiositas” verso la possibilità del miracolo – nonostante scienza, esperienza, maggiore età – lascia invece aperti piragli di quella che un bel termine classico della tradizione cristiana chiama speranza. Spiragli: non portoni spalancati, non portieri che ti dicono le ore e le condizioni di apertura. Soglie logorate nell’attesa, nel va e vieni delle contraddizioni”.

Tornando ai testi, credo che nessuno storico del cristianesimo abbia elementi per indagare quello che successe al gruppo dei seguaci di Gesù dopo la sua uccisione. Anche le fonti si contraddicono. Atti li da per riuniti a Gerusalemme, Matteo li manda in Galilea sul monte indicato loro.

Ma anche se volessimo essere scettici su episodi come apparizioni e ascensione, sta di fatto che qualcosa di straordinario deve essere successo tra il momento di sconforto e di paura dei seguaci nel dopo crocifissione e la diffusione del messaggio di Gesù, di lì a poco, in tutta l’area del mediterraneo.

Al di là di ogni “prova” la resurrezione di Gesù è testimoniata con forza straordinaria dai suoi discepoli e dalle sue discepole attraverso la "loro" resurrezione, che li porterà ad uscire allo scoperto, a rimettersi in gioco, questa volta fino in fondo, mettendo a rischio la propria vita, come aveva fatto il loro Maestro.

E questo qualcosa di straordinario viene espresso e ci viene tramandato mediante racconti come quelli letti oggi di valore apologetico. Le prime generazioni cristiane dovevano accettare che Gesù non c’era più e insieme volevano conservarne il messaggio: tutto fino a quel momento si poggiava su di Lui; c’era anche confusione sulla comprensione del suo messaggio: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?».

Nel momento in cui Matteo scrive, è già venuta meno l’attesa del ritorno immediato di Gesù. Ci si deve attrezzare ad una attesa più lunga.

Per questo il racconto dell’ascensione; in esso si esprime anche un conferimento di autorità da Gesù ai discepoli. Adesso anche loro potranno andare per il mondo a trasmettere quello che Gesù ha insegnato nella sua breve missione terrena. Questo modo di raccontare, questo genere letterario, serve quindi a dare legittimità ai discepoli.

So che noi abbiamo visto sempre con occhio critico questo “andare e fare discepoli tutti i popoli”, consapevoli delle distorsioni con cui questa indicazione è stata interpretata nel passato.

Nel momento in cui il vangelo è scritto credo non sia ancora in discussione la buona fede di chi vuole raccontare e testimoniare ad altri, con l’entusiasmo di chi crede in una ideale buona novella, quello che Gesù aveva loro insegnato.
E quello che Gesù aveva insegnato alla sua gente era, in fondo ed in sintesi, di essere dei buoni ebrei seguendo i comandamenti: "Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". (Deuteronomio) e: "Ama il tuo prossimo come te stesso" (Levitico); rispettando il sabato, anche se con discernimento; prediligendo i poveri come sta scritto in Isaia (29:19) : «gli umili avranno abbondanza di gioia nel Signore e i più poveri tra gli uomini esulteranno nel Santo d'Israele» e come troviamo riproposto nelle beatitudini.

Una conversione che è cambiamento radicale di vita, non – o non necessariamente – passaggio da una religione ad un’altra.

 

 

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