Beppe Manni

Preti in meno

Gazzetta di Modena 20 maggio 2007

 

“Ci sono sempre meno preti a Modena” è il grido allarmato del settimanale diocesano Nostro Tempo ripreso dalla Gazzetta. Don Maioli professore di statistica all’università di Modena presenta l’attuale situazione del clero modenese e i possibili scenari dei prossimi 30 anni. Oggi a Modena ci sono 188 preti e le previsioni medie dei prossimi anni non sono rosee tenendo conto della mortalità e delle nuove ordinazioni. Tra 25 anni il clero potrebbe essere dimezzato.

Ciò che non dicono i pur interessanti grafici di don Maioli.

1) - A molti preti ultrasettantenni, il 51% del clero modenese ha più di 65 anni, vengono richiesti moltissimi servizi ad esempio di celebrare 5/6 messe la domenica in parrocchie diverse, con grande fatica e scarsa incisività pastorale nonostante la loro disponibilità e generosità.

2) - Da 10 anni è invalsa l’abitudine di “usare” preti stranieri: questi pur preparati, fanno fatica a inserirsi e spesso se ne vanno quando hanno finito gli studi a Roma.

3) - In queste statistiche non si tiene conto dei cosiddetti “abbandoni” di preti in crisi vocazionale. Lo stress derivato dalla solitudine affettiva e dalla crisi di identità del prete moderno, è molto più alto di 50 anni fa, quando il sacerdote godeva di consenso e soddisfazioni. Inoltre al prete non è concesso un sufficiente spazio democratico di discussione ed espressione.

Insomma il problema-preti non si risolve solo con le statistiche sulla scacchiera dell’efficienza, accorpando parrocchie, costruendo chiese, chiamando manodopera specializzata dall’estero e moltiplicando i diaconi, preti di serie B. O pregando per le vocazioni e colpevolizzando famiglie e parrocchie. A Modena ci sono buoni preti, comunità efficienti e mature.

Mi sembra che manchino pastori perché si insiste a non volere cambiarne la figura in un mondo e in una chiesa profondamente cambiati. Sembra che alla gerarchia interessi più mantenere lo status quo che l’evangelizzazione e la cura pastorale delle comunità.

Alcune proposte non più tanto strampalate visto che sono condivise dalla maggioranza dei cristiani e ormai anche del clero che si continua a non voler ascoltare come dimostra un sondaggio su 751 preti spagnoli curato da un’università di Madrid.

  • E’ tempo di scegliere il pastore delle comunità come si faceva nel primi secoli. La comunità sceglieva un anziano (prete deriva da presbitero che vuol dire anziano), non un vecchio, ma un uomo che godeva della stima dei cristiani. Lo si presentava al vescovo che gli imponeva le mani.
  • Che il presbitero fosse sposato o celibe non aveva importanza. Anzi avere una professione, una moglie e dei figli ben educati, era garanzia di maturità e tranquillità sessuale e affettiva. Scrive San Paolo a Timoteo “Un pastore deve essere un uomo serio, fedele alla propria moglie, capace di controllarsi, prudente, dignitoso, pronto all’ospitalità, capace di insegnare…sappia governare la sua famiglia, i suoi figli siano obbedienti e rispettosi…” (I Tm. 3,1-6).
  • Sembra che non venissero scelte delle donne a capo delle comunità. Ma in quei tempi le donne non esercitavano professioni, non votavano e non potevano parlare in pubblico. Oggi la donna ha un ruolo sempre più decisivo nella società. La presenza di pastori donne anche nella chiesa, arricchirebbe la comunità dei credenti. E’ una grande e imperdonabile responsabilità della chiesa di oggi, privarsi di un dono così grande.
  • Se si usasse questo moderno sistema di reclutamento, le “vocazioni” non mancherebbero. Ci sarebbe una fioritura impensabile di nuove disponibilità e risorse per la chiesa.

Ma mi accorgo che la mia ipotesi non è percorribile. Richiederebbe una rivoluzione; di inserire nella chiesa una componente di dialogo e ascolto della base che la gerarchia non vuole. Nascerebbe un pastore diverso dal prete attuale, meno sacralizzato, più inserito nella società, autosufficiente economicamente e politicamente: più libero e indipendente e non più ricattabile.