Marcello Vigli

La Cei si fa partito

Critica liberale n. 135-137/2007

 

Fedele alla linea politica del Partito comunista, suo partito di antica appartenenza, che fin dal primo dopoguerra considerava la Chiesa cattolica fattore di stabilità in Italia, Giorgio Napolitano, nel suo primo messaggio d’inizio d’anno come Presidente della Repubblica, ha voluto ribadire una profonda sintonia con la Chiesa cattolica, con le sue espressioni di base, con le sue voci più alte.

Pur se il Presidente avrebbe potuto più correttamente denunciarel’acquiescenza della pubbliche istituzioni alle istanze della Santa Sede e della Cei, bisogna dargli atto che non ha identificato la Chiesa cattolica con le sole gerarchie ecclesiastiche – le sue voci più alte – ma ha riconosciuto l’esistenza e la rappresentatività delle sue espressioni di base.

Un riconoscimento non solo formale perché suffragato da gesti concreti quali l’alto patrocinio concesso a Contromafie: Stati generali dell’Antimafia, che si sono svolti a Roma dal 17 al 19 novembre. E’ stata senza dubbio la manifestazione più significativa organizzata nel corso dell’anno da una di quelle espressioni di base: l’Associazione Libera. Anche se cattolico è il suo fondatore e ispiratore don Luigi Ciotti e cattolici sono moltissimi dei membri più attivi, l’Associazione non è propriamente un’organizzazione “cattolica”né tanto meno ecclesiale. Accoglie al suo interno gruppi eassociazioni di diverse ispirazioni culturali e politiche ed è finalizzata alla lotta contro la mafia anche attraverso la gestione dei beni confiscati ai mafiosi, ma costituisce una delle più preziose esperienze di impegno politico dei cattolici che non temono di contaminarsi con altri, non fanno del loro impegno uno strumento di “promozione” ecclesiale e occupano uno spazio fra i meno appetibili perché fonte di pericoli e di rischi. La manifestazione romana è pienamente riuscita per l’organizzazione, la partecipazione, il valore dei contenuti e l’impatto mediatico: 6 mila partecipanti in 3 giorni, 50 relatori in due sessioni plenarie, circa 500 contributi ed interventi nel corso dei gruppi di lavoro; 200 testate accreditate e 40 giornalisti stranieri, oltre 2 mila giovani per la notte bianca dell’Antimafia. Essa era stata preceduta e sarà seguita da molte iniziative analoghe volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e soprattutto le pubbliche istituzioni sul gravissimo problema posto al corretto svolgimento della vita politica e allo stesso sviluppo economico dalla presenza di centri di contropotere mafioso presenti ormai non solo nelle regioni del sud. Un’altra significativa manifestazione si era svolta il 21 marzo di quest’anno a Torino come nona Giornata della memoria dell’impegno contro le mafie per ricordare le tante vittime di mafia.

Nella stesa direzione si può leggere anche un’iniziativa senza precedenti la richiesta di una scomunica contro mafiosi chiesta da Giancarlo Bregantini vescovo di Locri e Gerace dopo avere dichiarato pubblicamente nella Settimana sociale delle Chiese di Calabria chela mafia è una “struttura di peccato”. Un appello alla riscoperta del “peccato sociale” può essere intesa la condanna pubblica dell’arcivescovo di Chieti Bruno Forte.

Un altro tema che ha mobilitato la chiesa di base italiana è stato il referendum confermativo sulla riforma istituzionale elaborata dalla maggioranza berlusconiana promosso da un Comitato presieduto da Oscar Luigi Scalfaro e sostenuto da molti esponenti della cultura e della comunità ecclesiale. Sollecitata da un documento sottoscritto da 41 riviste d’ispirazione cristiana e da appelli di associazioni cattoliche, la mobilitazione è stata ampia e diffusa ed ha contribuito notevolmente alla sconfitta delle forzeche intendevano stravolgere la Carta costituzionale e che godevano, invece, del tacito appoggio di Comunione e liberazione e della Presidenza della Cei.

Completano il quadro della vitalità delle espressioni della base ecclesiale il convegno per il decennale del Movimento Noi Siamo Chiesa del febbraio e il XXX Incontro nazionale delle Comunità cristiane di base nel dicembre, l’eco dell’Appello al papa perché non ricevesse Berlusconi e Fini insieme ai partecipanti del Partito popolare europeo, le posizioni antiberlusconiane di Famiglia cristiana e della rivista dei gesuiti milanesi Aggiornamenti sociali alla vigilia delle elezioni. Significativi, in un tempo in cui molto si discute sul ruolo delle donne nella politica e nella Chiesa,anche il convegno organizzato dai Gruppi donne delle Comunità cristiane di base per un’emancipazione dagli stereotipi al maschile del divino equello internazionale promosso dal Coordinamento delle Teologhe italiane per un’autonomateologia al femminile.

Queste voci in diversa misura non allineate o apertamente in dissenso con la linea pastorale dell’episcopato non hanno trovato molto spazio nell’universo mediatico creato da giornali, radio e televisioni molto più attenti alle manifestazioni in cui hanno risuonato le voci più alte. Fra queste particolare attenzione è stata data al Convegno della Chiesa italiana che si è svolto a Verona nei giorni16-20 ottobre: il IV della serie iniziata a Roma nel 1976 e proseguita ogni dicci anni con i convegni di Loreto 1985 e Palermo 1995. Ha avuto per tema Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo, ha visto la partecipazione di 2700 delegati: 1800 selezionati dalle curie diocesane e gli altri scelti dalle Associazioni ufficiali e dagli ordini religiosi. Preceduto da una serie di iniziative localie da cinque incontri organizzati dalla Cei per approfondire i temi indicati nel Documento preparatorio, il convegno è stato presentato come un momento di svolta nella Chiesa italiana, ma così non è stato. Centrale avrebbe dovuto essere la riflessione sul ruolo dei laici nella chiesa, ma l’intero percorso preparatorio e, soprattutto, i lavori del convegno sono stati gestiti dalla Conferenza episcopale e dalle curie locali. La selezione dei partecipanti è stata severissima e nessuna delle voci fuori del coro è stata ammessa nonostante richieste in tal senso fossero state avanzate. Lo stesso dibattito nei gruppi di lavoro - l’unica sede in cui i delegati hanno potuto prendere la parola per sole sette ore e mezza in un convegno durato cinque giorni – non ha avuto echi. Nessuna delle proposte e osservazioni emerse è stata posta ai voti perché, è stato detto, “la verità non è posta ai voti”. Al silenzio imposto ai laici si sono contrapposti gli interventi dei relatori, laici o ecclesiastici, opportunamente selezionati. Particolare rilievo hanno avuto quelle dei due protagonisti ecclesiastici: il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, e il cardinale Camillo Ruini vicario del papa per la città di Roma e Presidente in prorogatio della Conferenza episcopale italiana. Il primo ha parlato di necessità di rilanciare il processo di attuazione del Concilio Vaticano II , il secondo l’ha subordinato all’interpretazione recentemente data da Benedetto XVI sulla necessità che sia conciliabile con la continuità nella tradizionale dottrina della Chiesa. Il primo ha sostenuto la responsabilità dei laici cattolici in politica dichiarando cheè meglio agire da cristiani che limitarsi a professarsi tali, il secondo ha confermato la pretesa della gerarchia di indicare la linea da seguire nelle scelte. La sua consonanza con le posizioni del papa, rafforzata nella lunga relazione programmatica dello stesso Ratzinger sta a significare che la sua linea politica sopravviverà alla fine del suo mandato di Presidente della Cei già annunciata da oltre un anno e non ancora avvenuta.

Il cardinale ha continuato a guidare la Chiesa italiana in questa fase di lunga transizione intralciandone l’aggiornamento, mentre urgono interrogativi e problemi che necessitano di soluzioni adeguate alla progressiva secolarizzazione della società e all’aumento della presenza e dell’influenza di nuove culture e di nuove religioni. Il cardinale ha mostrato nel suolibro recentissimo Nuovi segni dei tempi. Le sorti della fede nell'età dei mutamenti edito da Mondadori, di leggere bene i segni dei tempi, senza proporre, però, ricette all’altezza delle alle sue analisi. Il mondo cambia rapidamente e anche la Chiesa non può non interrogarsi su tali cambiamenti: i nuovi scenari geopolitici, venuti drammaticamente alla luce con l'attentato dell'11 settembre 2001 alle Torri gemelle, ma che si allargano a comprendere l'emergere di nuovi colossi come la Cina e l'India e la nuova "questione antropologica", ossia le trasformazioni dei modi di vivere, che rimettono in discussione i parametri su cui si è retta per secoli la civiltà. Alla soluzione di questi problemi continua ad auspicare la piena autoreferenzialità della gerarchia ecclesiastica che deve porsi non come soggetto politico, ma soggetto con un proprio progetto operativo.

In questa prospettiva il cardinale, che forte della vittoria nel referendum sulla procreazione assistita si sente ancor più legittimato ad intervenire sugli orientamenti dei politici influenzando le scelte elettorali dei cattolici, propone per l’Italia di enfatizzare, più che per il passato, l'importanza delle nuove problematiche antropologiche ed etiche. Lo ha teorizzato in un altro suo recentissimo libro Verità è libertà. Il ruolo della Chiesa in una società aperta edito ugualmente da Mondadori.

Di qui l’affermazione che i cattolici impegnati in politica devono riconoscere l’esistenza di principi e valori irrinunciabili e non negoziabili e devono sapere che su di essi sarà valutato il loro grado di affidabilità e la possibilità di essere considerati degni del sostegno degli elettori cattolici. Questa scelta, funzionale alla creazione di uno schieramento trasversale fedele a quei principi, èparticolarmente adatta a questa fase della vita italiana in cui l’assenza di una forte leadership e di una maggioranza coesa impongono alla gerarchia prudenza nel privilegiare apertamente un solo interlocutore politico. Tale scelta ha infatti consentito alla Cei e al suo Presidente di non essere troppo espliciti, alla vigilia delle elezioni politiche dell’aprile, nelle indicazioni partitiche e di limitarsi alla richiesta di votare sulla base di quei valori edi quei principi.

Questo orientamento, in verità, ha favorito lo schieramento di Centro destra, i cui partiti da sempre, con maggiore o minore sfrontatezza nella loro strumentalizzazione, si dichiarano impegnati ad assumerli come criterio delle loro scelte. Al loro interno ha rafforzato la componente dei Teocon pronti ariconoscere alla Chiesa il ruolo di baluardo della civiltà occidentale e a dichiararsi oppositori di ogni attentato all’integrità della famiglia, strenui antiabortisti difensori del “diritto alla vita” e decisamente contrari all’eutanasia.

Al tempo stesso all’interno del Centro sinistra ha legittimato la costituzione della nuova corrente dei teo-dem come interprete delle istanze della gerarchia favorendo l’elezione dei loro leader: Luigi Bobba, Enzo Carra e Paola Binetti ex presidente delle Acli il primo, demitiano di ferro il secondo, ex “scienziata” al Campus dell'Opus Dei ed ex presidente del "Comitato Scienza e vita" l’ultima. Diventati parlamentari nelle liste della Margherita essirappresentano, all’interno della maggioranza governativa, la punta di diamante degli oppositori ad ogni tentativo di rivedere la legge sulla procreazione assistita e di legiferare su eutanasia e Pacs. Inoltre, pur dichiarando di non voler costituire una “corrente” sono quelli che, all’interno della Margherita, pongono" chiari interrogativi alla politica sull'Italia da costruire, valorizzando quel ricco tessuto di relazioni umane, spirituali e sociali che è alimentato dalla fede cristiana. Il nostro è un appello perché non ci si limiti solo a proclamare dei valori certamente importanti e decisivi, ma si dia loro vera cittadinanza nel processo costituente del Partito Democratico". Esplicita la loro dichiarazione al termine di un seminario tenuto nell’ottobre a Roma.

Così i Teo-con e i Teo-dem, testimoni i primi dell’impegno della Chiesa su temi dell’etica e gli altri della sua sensibilità sul fronte dalla solidarietà sociale, costituiscono quello che è stato definito il Partito di Dio. Inefficace per condizionare le scelte esclusivamente politiche esso è vincente quando la politica deve affrontare problemi che attingono all’educazione, all’etica e all’assistenza.

Nell’affrontarli forze politiche di ogni orientamento sono disponibili a prevenire le richieste della gerarchia cattolica, considerata ormai da tutti determinante nei “rapporti di forza”, operando scelte che anticipano di fatto le sue richieste!

Così l’influenza della gerarchia, mentre è stata irrilevante sull’altro appuntamento elettorale di quest’anno: il referendum istituzionale confermativo, sul cui esito, come si è visto, la mobilitazione di base del mondo cattolico è stata decisiva per neutralizzare il favore del cardinale Ruini per la riforma berlusconiana, diventa determinante per le scelte nel campo della scuola e della famiglia.

Sulla scuola la linea strategica della Cei è stata confermata ed aggiornata nell’intervento dell’autorevole cardinale Angelo Scola patriarca di Venezia il 16 luglio in un suo discorso con cui ha lanciato un vero e proprio manifesto per una nuova politica scolastica. La scuola di stato è denunciata come inaccettabile “scuola unica” da smantellare all’insegna di una radicale privatizzazione. Lo Stato deve limitarsi ad “accreditare” le scuole private che si offrono sul mercato della cultura e dei progetti educativi. Deve aver fine la “neutralità” - alias “laicità” -della scuola pubblica, si deve lasciare il campo al comunitarismo.Anche le scuole islamiche possono così essere accreditate, purché rispettose dei principi costituzionali. Non è l’unica voce della gerarchia – anche il cardinale Renato Martino si è cimentato con l’argomento dell’insegnamento del Corano nelle scuole – favorevole a condividere con l’Islam la presenza nel sistema scolastico pur di accreditare la legittimazione del ruolo primario delle confessioni religiose nei processi formativi. A questa linea sembra ispirarsi la politica governativa. Con la nomina a ministro della Istruzione – tornata Pubblica per dare un ingannevole segno di discontinuità – del democristiano di lungo corso Giuseppe Fioroni infatti si è rinunciato infatti al rilancio della funzione statale nella formazione delle nuove generazioni. Le sue sceltehanno già contribuito ampiamente a salvaguardare le acquisizioni familistico privatistiche introdotte dalla Moratti nel sistema pubblico e a mantenere, anzi ad aumentare i contributi alle scuole confessionali.

Sul fronte della famiglia la denunciadell’assenza di una politica adeguata da parte delle pubbliche istituzioni si è sistematicamente intrecciata con un fuoco di sbarramento mediatico contro ogni tentativo di introdurre norme a favore delle coppie di fatto. La lotta contro i Pacs è stato motivo dominante nei media cattolici e nella predicazione parrocchiale e non. Al tempo stessoper fronteggiare l’innegabile crisi dell’istituto familiare- l’espansione della richiesta di una normativa sulle coppie di fatto ne è un effetto non la causa – la Cei ha elaborato e diffuso un opuscolo Celebrare il mistero grande dell’amore per promuovere la valorizzazione del nuovo Rito matrimoniale entrato in vigore nel 2005 che prevede la centralità della parrocchia nella preparazione dei futuri sposi e nella loro assistenza nei primi anni di matrimonio.

In verità le parrocchie, in genere, sono diventate inadeguate a questa funzione, come ad altre urgenze pastorali,per l’insufficienza, denunciata da più parti, del modello pastorale, ereditato dal passato, fondato sulla centralità dell’azione dei preti in presenza di una rapida decrescitadel loro numero e del tasso d’invecchiamento; analoghi processi si verificano fra i religiosi e le religiose. Aumenta in verità la disponibilità e l’impegno dei laici, ma le strutture tradizionali e il modello pastorale non consntono di trarne vantaggio, né la gerarchia, come ha confermato il convegno di Verona, ha intenzione di aumentare gli spazi della loro autonomia. Ha, invece, promosso la razionalizzazione del sistema degli Istituti di formazione teologica per laici. Destinati prevalentemente alla formazione degli aspiranti all’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica - diventato sempre più appetibile dopo l’approvazione della legge che ha creato per loro un ruolo speciale costituendolo anche come canale privilegiato direclutamento del personale scolastico – in verità sono frequentati anche da laici volenterosi desiderosi di approfondire la loro preparazione culturale per aumentare l’efficacia dell’azione essendo disposti a collaborare con la gerarchia restando subalterni.

L’esigenza di tale formazione è diffusa in particolare fra molti dei “volontari” impegnati nei più diversi settori dell’assistenza, ma poco interessati a intervenire nella gestione della comunità ecclesiale a livello locale o nazionale.

Il volontariato, pur se non mancano segni di difficoltà per le contraddizioni che lo attraversano, costituisce ancora la grande riserva di interventi individuali e di gruppo attraverso i quali la Chiesa è presente nella vita sociale supplendo a carenze delle strutture pubbliche o sostituendosi ad esse. In questa categoria sono infatti compresi, sia singoli e gruppi pienamente autonomi, si associazioni e cooperative,spesso costituite in Onlus, che operano in convenzione con il Sistema sanitario nazionale o con le strutture assistenziali degli Enti locali non sempre in regime di assoluta trasparenza. Emergono fra le altre le strutture locali della Caritas che ha di fatto assunto la dimensione e la funzione di una struttura “pubblica”. Suo è un rapporto annuale sul numero e le condizioni di vita degli immigrati, al quale attingono per avere dati e strumenti di analisi tutti gli interessati all’argomento.

Il finanziamento, che queste strutture ricavano dai servizi prestati in convenzione, si aggiungeagli ampi margini di disponibilità finanziaria garantita alle curie locali e sopratutto alla Cei dai proventi dell’otto per mille, che continua ad aggirarsi sugli ottocentomila euro ogni anno, rendendo sempre più irrilevante il contributo diretto dei fedeli sempre più deresponsabilizzati nella gestione interna e nella rappresentanza esterna della Comunità ecclesiale. Queste restano affidate, invece, alla gerarchia ecclesiastica riconosciuta ormai nel ruolo di naturale interlocutrice delle oligarchie politiche arroccate alla guida di quel che resta dei partiti.

L’arrendevolezza di queste rafforza il presenzialismo di quella nella vita politica sia nell’esercizio del veto alle leggi non gradite sia nella contrattazione di privilegi o segni di riconoscimento senza impedirle di protestare contro una presunta emarginazione della Chiesa che, quasi una fortezza assediata, sarebbe ostacolata nell’esercizio del suo diritto d’intervento. Ne è stato un esempio, fra gli altri, la campagna mediatica per demonizzare il libro Il Codice da Vinci e il film che ne è stato tratto, denunciato come strumento di una macchinazione antiecclesiastica. Così la finanziaria che “gronda lacrime e sangue” dei contribuenti non ha eliminato interamente l’esenzione dal pagamento dell’ICI degli immobili di proprietà ecclesiastica impegnati in attività lucrative ostelli, alberghi, cliniche scuole e non destinati al culto o all’azione pastorale gli unici per i quali il Concordato prevede l’esenzione dalle imposte.

Alle concessioni si aggiungono l’ossequio gratuito e la piaggeria opportunistica come quella del sindaco di Roma Walter Veltroni. Sua è l’iniziativa di aver posto all’interno della stazione centrale di Roma due alte steli in cui il nome di Giovanni Paolo II è associato a quello antico di Termini. Meno clamoroso, ma non meno significativo, l’incontro di Fausto Bertinotti con a il cardinale Camillo Ruini il 20 dicembre nel suo studio di Presidente dalla Camera a Palazzo Montecitorio. Nella breve cronaca dell’incontro particolarmente illuminante la disquisizione che ha avuto luogo tra i due sul tema del presepe: «Bertinotti ha spiegato che “io da milanese dico ‘presepio’, ma anche il padre di un mio amico che e’ meridionale dice ‘presepio’ e non ‘presepe’”. Ruini ha risposto che anche lui dice ‘presepio». Il tema della conversazione e la disquisizione linguistica sarebbero prive d’interesse se sull’uso di invadere con i presepi anche le sedi pubbliche, come sulla permanenzadei crocefissi nelle scuole e nei tribunali non fossero in atto polemiche e contestazioni espressione e metafora del disagio per lo scadimento della laicità delle istituzioni e per le interferenze della gerarchia cattolica nella vita pubblica.

La possibilità che questo interventismo della gerarchia ecclesiastica venga meno o cambi disegno sono legate alla nomina del nuovo Presidente della Cei che è il problema prioritario per la Chiesa italiana alla fine di questo anno concluso con l’esplosione del “caso Welby”. Nato dalla richiesta di Piergiorgio Welby, malato terminale di distrofia muscolare, rivolta al Presidente della Repubblica di essere aiutato a morire aveva evidenziato la catalizzazione dei due schieramenti pro e contro l’eutanasia, complicata dalla colpevole disinformazione e dalla diffusa confusione tra questa e l’accanimento terapeutico, tra soluzioni di fatto, tollerate, e soluzioni legislative, auspicate o demonizzate. La rigida e intransigente opposizione della Cei a qualsiasi legge, che affronti il problema nel timore che posa essere legittimata l’eutanasia, è diventata impietosa e ingiustificata persecuzione quando il Cardinale Ruini, come vicario del papa per la diocesi di Roma, ha negato i funerali religiosi chiesti dalla famiglia dopo la morte di Welby colpevole di avere ripetutamente e con determinazione richiesto di essere aiutato a morire. Scontate e ampiamente giustificate le dure reazioni di condanna per tale comportamento di gran parte della pubblica opinione e della società civile, più significative quelle del mondo cattolico e di parte del clero contrarie alla scelta del cardinale Ruini. Anche fra i vescovi si sono manifestati segni di dissenso, più esplicito quello di mons. Alessandro Maggiolini vescovo emerito di Como - noto per le sue posizioni integraliste e alieno da ogni forma di "progressismo", né ecclesiale né di altro genere – che ha dichiarato che i funerali religiosi per Welby li avrebbe celebrati. Successivamente lo stesso cardinale Carlo Maria Martini ha espresso opinione diversa da quella del cardinale Ruini.

Questi ultimi segni di dissenso nei confronti del Presidente della Cei hanno reso ancor più evidente il malumore che da tempo serpeggia tra i vescovi per la gestione autoritaria impressa alla Cei; le parrocchie e le realtà ecclesiali, in emorragia continua di fedeli, sperimentano che la “cura” prescritta dal cardinale in questi anni non solo non ha giovato, ma ha allontanato gli spiriti più attivi ed intellettualmente vivaci. La nuova frontiera della presenza cristiana caldeggiata da Ruini - lotta per i valori occidentali, per l’identità cattolica e le radici cristiane, contrapposizione all’Islam e alla deriva laicista dell’Europa - non ha unito i cattolici come la gerarchia avrebbe auspicato.

Il profondo disagio fra i vescovi era già emerso quando, in vista della successione ormai aperta per il raggiungimento dei limiti di età, il Nunzio apostolico per l’Italia, monsignor Paolo Romeo, in gran segreto aveva avviato una consultazione riservata fra i vescovi italiani sul nome del successore con l’invio di una lettera che sembra dar ragione a chi pensa che Benedetto XVI intenda restituire ai vescovi italiani la facoltà di indicare il loro presidente, come già avviene in altri Paesi, e separare le cariche di vicario generale della diocesi capitolina da quella di capo dei vescovi italiani. Con una procedura del tutto inedita si chiedeva infatti ai vescovi italiani di suggerire il nome del candidato alla successione del cardinale Camillo Ruini, quale presidente della Cei”, che il 19 febbraio 2006, ha compiuto 75 anni, e il cui mandato sarebbe scaduto 6 marzo. La notizia della lettera, datata 26 gennaio e vincolata dal “segreto pontificio”, doveva restare segreta fu invece divulgata creando grande imbarazzo in Vaticano così da costringere il papa a concedere una proroga in attesa di nuove decisioni, cioè a tempo indeterminato. Si pensava che il convegno di Verona potesse essere la data di scadenza per tale tempo, ma così non è stato.

Prima che il papa procedesse alla nomina del suo successore sono passati altri quattro mesi durante i quali si è svolta una piccola “guerra” di successione in cui motivi religiosi e pastorali, spinte al rinnovamento e appelli alla conservazione, si sono intrecciate con le sollecitazioni e le richieste degli altri poteri forti, finanziari e politici. Alla fine il papa ha scelto monsignor Angelo Bagnasco arcivescovo di Genova, ex ordinario militare – il vescovo che sovrintende aicappellani militari anch’essi inseriti nella gerarchia militare - e, come tale, generale dell’esercito fuori ruolo. Il suo nome pare non fosse presente fra quelli selezionati nella consultazione riservata fra i vescovi italiani dell’anno precedente per conoscere il loro parere sul successore di Ruini. Altri erano i nomi emersi fra i più accreditati fra i qualiil cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, che ha 68 anni ed è amico di Prodi e Casini. Chiamato da Ratzinger nel 1983 come consulente della Congregazione per la dottrina della fede, ha competenza in uno dei campi che oggi stanno più a cuore alla Chiesa: la famiglia. Conservatore intransigente, è considerato amico di Comunione e liberazione e dell’Opus Dei. Altro candidato era il cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia. Anche lui figura di riferimento del movimento Comunione e Liberazione. Accreditato, anche se con ben poche speranze, era il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, ormai 72enne, sgradito comunque al Presidente uscente, che ne aveva censurato l’eccessivo progressismo sin dai tempi del G8 di Genova. Si era fatto anche il nome del cardinale. Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze ex numero due della Cei che sembravain armonia con l’orientamento di “cambiare tutto per non cambiare niente”. Questo ha prevalsoall’insegna della “continuità”, favorendo la vittoria del cardinale Ruini con il quale l’arcivescovo Bagnasco è in piena sintonia L’Avvenire ha titolato l’articolo del suo direttore Dino Boffo, che ne commentava la nomina, Muta la mano non muta la passione né il disegno, fondato su una linea autoritaria all’interno e interventista all’esterno. La conferma si è avuta in occasione del primo intervento ufficiale del nuovo Presidente nella riunione dl Consiglio di Presidenza della Cei del 26 marzo con il quale ha confermato a linea di dura intransigenza nei confronti della proposta di legge governativa sui DiCo.

Certo non tutto sarà come prima: Genova è, però, lontana da Roma, dove il cardinale Ruini, continua ad essere vicario del papa e, come tale, autorevole membro della Conferenza episcopale. Non è prevedibile perciò che a breve l’interventismo della gerarchia sulle cosiddette questioni etiche “non rinunciabili” rientri nella normale dialettica democratica. Il nuovo Presidente, come riporta l’Agi, ha dichiarato "Laicitàsignifica autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa, ma non da quella morale. La dimensione morale, etica, non può essere rifiutata dagli ordinamenti di una società". Ovviamente è profondamente convinto, come il suo predecessore e tanti altri integralisti cattolici e non, che il diritto/dovere di disegnare i confini di tale dimensione spetta alla gerarchia ecclesiastica della Chiesa cattolica. Questa non ha più, certo, il potere di accendere roghi né di scatenare crociate e guerre sante, ma può seminare discordia fra i cittadini, imporre ai parlamentari di tradire il mandato degli elettori, diffidare le pubbliche istituzioni. Se interdetti e scomuniche non sono più di moda, ci s’inventa - Ruini docet - l’ordine di disertare le urne per far fallire il referendum sulle staminali o la minaccia di un Documento programmatico sul comportamento dei deputati e senatori cattolici per bloccare i DiCo in Parlamento. Del resto a questo interventismo continuerà a mancare l’altro polo della dialettica democratica: una classe dirigente politica decisa ad affrancarsi dalla tutela clericale.

Se poche sono quindi le speranze che il nuovo Presidente contribuisca a rasserenare la vita politica italiana, si può invece essere certi che con la sua nomina si allontana per la Comunità ecclesiale italiana la stagione di innovazioni anche profonde, da molti auspicate per far fronte alle accelerate trasformazioni della società e per sanare i guasti di una presidenza durata troppo a lungo.

Con essa si conferma, infatti, l’assenza di autonomia dalla Santa Sede della gerarchia italiana, anomala nei confronti delle altre conferenze episcopali che possono almeno scegliere il loro Presidente e non corrono il rischio di averne uno che è anche generale.

 

 

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