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Gilberto Squizzato (*)

RISCRIVERE IL FUTURO (CON LA SINISTRA)

Adista n. 96/2010
 

 “Fare futuro”, “Futuro e libertà”… Questo proprio non riesco a digerirlo: che sia la nuova destra ad appropriarsi della parola chiave non solo della sinistra ma anche dell’escatologia cristiana.

Ricordate gli anni Settanta, quando Renato Nicolini, assessore alla cultura delle giunta di sinistra di Roma, sancì il trionfale ingresso dell’“effimero” nel vocabolario progressista? Data da allora, secondo me, l’inizio del declino: quello che ha portato ad una progressiva involuzione del pensiero critico della sinistra che effetti così devastanti ha prodotto nella nostra cultura. Perché le parole hanno in sé un potenziale immenso. Le parole, come ha ben spiegato Foucault, “pensano per noi”: ci mettono a disposizione una certa visione del mondo, interpretano la nostra esistenza, danno valore o disfavore alle cose. Noi viaggiamo a bordo delle nostre parole, siamo trascinati nel flusso di un “pensiero globale” che esse codificano, trasmettono, cristallizzano, sedimentano.

Un’intera generazione che aveva fatto il ’68 e che già aveva cominciato a “rifluire” (secondo l’immagine che per primo fu l’Espresso a utilizzare e a diffondere) scoprì (cominciò a pensare) che il presente sia il valore primario della storia, che sia necessario onestamente godere dell’effimero perché è l’unico tempo che abbiamo a disposizione.

Non voglio dire che Nicolini abbia consegnato il futuro alla destra, non sono così stupido. Voglio solo affermare che egli fu il primo a cogliere il vissuto di un tempo critico, a dargli una parola capace di definirlo ed esprimerlo, essendo in questo però – involontariamente – profeta di una catastrofe che oggi mostra tutte le sue rovine.

Dopo di allora quant’acqua è passata sotto i ponti! La debolezza culturale della sinistra si è fatta disastro negli ultimissimi anni, oppressi da un vuoto cosmico di elaborazione, di critica di sistema, di proposte di modelli alternativi. Tramontato da tempo immemorabile “il sogno di una cosa” di Pasolini, tutto lo sforzo si è ridotto a tentare di difendere, malamente, quel che resta del welfare state che a sua volta fu “il futuro” per cui si batterono altre generazioni ma che oggi non basta più a fronteggiare le immense ingiustizie del presente. Che sinistra è quella che non progetta un futuro per i suoi figli e nipoti, per una Chiesa che si appaga di emanare norme bioetiche e ha perso lo spirito profetico-conciliare? Sicché oggi essa va alla disperata ricerca di nuovi profeti, sovraccaricando il povero Vendola – per esempio – di una missione che dovrebbe essere collettiva e non addossata ad un uomo simbolo…

Mi sta a cuore il futuro e ancor prima la parola “futuro”: vorrei che di futuro tornasse a riflettere la sinistra, vorrei che i cristiani critici non si contentassero di veder uscire di scena Berlusconi, che la loro escatologia incarnata tornasse ad essere una teologia della liberazione che, questa sì, ha bisogno di un futuro autentico in cui prendere corpo.

La nuova destra pensante ha invaso il campo della sinistra, si presenta col nuovo Dna di “futurista”, si propone come restauratrice di una legalità che ha bisogno di essere invece innervata di nuove libertà (dal bisogno, dall’imbarbarimento mediatico, dalla mercificazione del lavoro, dal globalismo commerciale e finanziario…).

E la sinistra? E i cristiani critici? Si contenteranno di aver resistito indomiti per quindici anni al solo scopo di veder trionfare una destra pulita, costituzionale e futurista?


* Giornalista e regista, autore del recente libro “Il miracolo superfluo. Perché possiamo dirci cristiani”