Testata sito CdB
CHIUDIVAI AL SITO

Valerio Gigante

LA COMUNITÀ DELLE PIAGGE: “RICONOSCIUTO IL NOSTRO DIRITTO AD ESISTERE”

Adista n. 37 /2010

Indubbiamente, con la scelta di restituire don Alessandro Santoro alla sua comunità, mons. Giuseppe Betori ha voluto evitare che le Piagge divenissero un “secondo Isolotto”, “uno strappo del tessuto ecclesiale”, “una spina nel fianco” della diocesi, che andava preservata da “un record di dissidenza interna” come ha recentemente scritto, riferendo delle trattative precedenti al reintegro di don Alessandro, l’edizione fiorentina di Repubblica (11/4). Nei mesi scorsi, lo stesso Santoro aveva più volte affermato di aver ubbidito all'arcivescovo per non “esporre all'anatema” anche la sua gente e per impedire che il risentimento esplodesse sotto forma di “secessione” dell'intera comunità al seguito del suo prete.

Se l’Isolotto è dunque divenuto lo spauracchio da evitare, l’esito simbolico che la Chiesa di Firenze doveva scongiurare, questo scenario rivela una concezione della Chiesa fiorentina fortemente mutata negli ultimi anni. Basti pensare che il card. Silvano Piovanelli, appena eletto arcivescovo di Firenze, fece due scelte significative: si recò a Barbiana, dove era stato mandato in esilio don Lorenzo Milani, e poi, il 24 novembre 1985, alle “baracche verdi” per incontrare la Comunità dell’Isolotto. Due esempi di Chiesa emarginata ed ostracizzata dal card. Ermenegildo Florit che Piovanelli intendeva riaccogliere. “Vi ringrazio perché ci siete”, disse infatti nel suo discorso alla Comunità di Base. Nel 1988, una seconda visita di Piovanelli all’Isolotto, in vista del Sinodo diocesano. E nell’Assemblea conclusiva di quel Sinodo, il 4 giugno 1992, il cardinale lesse e commentò positivamente una lettera della Comunità, che fu accolta con un grande applauso dai presenti: “Questa lettera costituisce un avvenimento serio e positivo - furono le sue parole - di cui ringrazio i firmatari e quanti hanno aderito anche senza firma”. “Possiamo assicurare questi nostri fratelli che, a loro riguardo non c’è nessuna volontà di omologazione”, “essi ci ripetono che una delle principali caratteristiche della Comunità di Base è l'autonomia rispetto ai modelli del presbiterio, della parrocchia, dell’associazionismo laicale. E noi consideriamo con rispetto questa loro scelta”. “Noi questi fratelli non li consideriamo insignificanti. Non solo perché ogni uomo è significativo e irrepetibile davanti a Dio; non solo perché la storia e la loro sofferenza e la storia degli altri fanno parte della Chiesa di Dio che è in Firenze”.

Sulle questioni legate al ritorno di don Alessandro Santoro Adista ha posto alcune domande alla Comunità delle Piagge, che si è riunita per rispondere in maniera collettiva e condivisa.

 

Come ha accolto la comunità la decisione di mons. Betori? Quanto nella scelta può aver contato la mobilitazione di questi mesi?

Domenica 25 aprile abbiamo vissuto un momento intenso di legami, fraternità e comunione; Alessandro era di nuovo fra noi a riprendere il cammino iniziato quindici anni fa. Gli ultimi sei mesi, vissuti con impegno, sono trascorsi nell’incertezza sul nostro futuro e soltanto nell’ultimo periodo abbiamo avvertito che c’era la possibilità di trovare una mediazione. Pensiamo che il nostro modo di gestire e vivere, con fermezza, questo momento difficile, abbia favorito questa apertura al dialogo. Ma non ci siamo voluti piegati alle logiche del compromesso, convinti che quello che abbiamo vissuto fosse coerente con la storia della comunità alla luce della nostra riflessione sul Vangelo; ora pensiamo e speriamo che tutto ciò possa diventare motivo di riflessione più allargata all’interno della Chiesa.

 

Come avete vissuto questi mesi di incertezza e "sospensione"?

I mesi successivi alla rimozione di don Alessandro sono stati un momento di forte mobilitazione della comunità e di parte della città per la profonda ingiustizia che sentivamo essere stata compiuta nei nostri confronti. Contempora-neamente la comunità ha sempre cercato di tenere aperto un canale di dialogo con il vescovo Giuseppe Betori attraverso alcuni incontri assembleari e non. Quelli trascorsi sono stati sei mesi di preoccupazione, di sofferenza e di grande fatica per l’assenza di don Alessandro, figura fondamentale per la storia di questa comunità e per i valori spirituali che la animano. Ci sembra che il suo ruolo sia particolarmente importante per questa che non è una comunità di soli credenti ma è formata da persone di provenienza, storie e idee diverse. Sentivamo, ed ancora sentiamo fortemente la necessità di “resistere” per salvaguardare 15 anni di storia e di impegno all’interno del quartiere e della Chiesa fiorentina. Resistenza a qualsiasi tentativo di emarginazione, resistenza per rivendicare il diritto della nostra esperienza, e di tante altre simili sparse nel mondo, ad avere piena “cittadinanza” all’interno della Chiesa. Una resistenza che è stata essenziale per continuare il nostro cammino fatto di economie alternative, di microcredito, sobrietà, giustizia sociale, di scuola, lavoro etico, informazione libera, di percorso spirituale ed ecclesiale, di lettura popolare della Bibbia. Questo momento ha comportato la necessità di un impegno maggiore per tutti noi e ha rafforzato ancora di più la consapevolezza dell’importanza della storia che stiamo vivendo e della peculiarità del percorso intrapreso.

 

Si è molto scritto in queste settimane del fatto che la decisione di Betori avrebbe il significato di evitare un nuovo "Isolotto". Un paragone tutto in negativo, che stride con l'indubbio significato che quell'esperienza ha avuto nella maturazione della coscienza di molti cristiani, e per la Chiesa conciliare tutta (basti pensare alle parole di gratitudine che nei confronti dell'Isolotto ebbe uno dei predecessore di Betori, il card. Piovanelli). Non c'è il rischio che questa ricomposizione venga percepita come una sorta di distinguo tra i "buoni" delle Piagge ed i "cattivi" dell'Isolotto?

La comunità dell’Isolotto ci è sempre stata molto vicino, in particolare in questo periodo, mantenendo un atteggiamento di grande rispetto delle nostre scelte. La nostra comunità e la comunità dell’Isolotto hanno vita e storie diverse che non ci sembrano paragonabili, anche per la distanza storica che separa i momenti e i contesti delle loro nascite. Noi non ci sentiamo i “buoni”, e non ci sembra giusto porre questo tipo di categorie come elemento di riflessione e di distinzione fra le due storie.

 

In che modo la necessaria mediazione che si è realizzata con la Curia può influenzare lo spirito e le attività che hanno animato la comunità in questi anni?

La mediazione comporta sempre l’individuazione di un punto comune fra le parti e noi l’abbiamo accettata certi che questa non comprometterà la nostra vita e la nostra storia. Non smettiamo di sperare e di lottare per una Chiesa “compagna di strada”, lontana dai meccanismi di potere, che si sporca le mani incarnandosi nella storia degli ultimi. Così come abbiamo sempre fatto, continueremo a vivere le attività, i rapporti con le persone e con il territorio percorrendo strade di ricerca, di condivisione e di prossimità, impegnandoci ancora ad essere pungolo perché la Chiesa sia più vicina a tutte quelle persone che la interpellano con la fatica delle loro esistenze.