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Felice Scalia

IL DISAGIO DEI CATTOLICI E LA SPERANZA DEL VANGELO

Adista n.74/2010

Basta che qualcuno ti conosca come cattolico per sentire su di te diffidenti occhi scrutatori ed una sorta di compassione più o meno benevola. Un simile disagio non risparmia nessuno: da chi si sposa in chiesa, al prete che fa lezione di religione a scuola. Appartieni alla “Chiesa del no”, alla Chiesa che tace sulle derive xenofobe e razziste di governi e amministrazioni, che parla solo se è in pericolo l’8 per mille, che non ha misericordia… Preoccupato dell’uomo e della vita abietta che conduce la maggior parte dell’umanità, il cristiano è lacerato dal trovarsi in mano un Vangelo della vita, ma di appartenere ad una Chiesa che questo Vangelo – a giudizio di tanti – lo oscura, lo tradisce, lo strumentalizza. Questo è il vero “disagio” di tanti cattolici oggi, e per questo si sono riuniti a convegno a Napoli – gli scorsi 17-19 settembre – gruppi e persone che vogliono dire “basta” ad una situazione pastorale insostenibile, ma al di fuori di quella sottile forma di disperazione che è la nuda contestazione o il lamento. Si sono presentati come gli inguaribili sognatori dell’utopia del Regno.

L’iniziativa, si sa, parte da lontano, dai tempi in cui Giuseppe Alberigo, don Pino Ruggieri e un pugno di amici “perplessi”, tentavano di correre ai ripari per evitare la minaccia della scomunica a quanti avessero votato la proposta sui “Dico”. Ma il “caso” metteva in evidenza problemi ben più radicali: la fedeltà o meno al Vangelo, la prevalenza della legge sulla libertà del credente, il serpeggiare vittorioso di un’interpretazione riduttiva del Vaticano II, lo strapotere degli apparati istituzionali, la controtestimonianza dei cattolici rispetto a problemi mondiali che avrebbero richiesto molto più coraggio e libertà. Ne vennero fuori i convegni di Firenze 1 (2009) e Firenze 2 (2010) incentrati sul tema generale “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. Anche questo incontro di Napoli si innesta su quella pianta. “Pregare e fare ciò che è giusto” richiama esplicitamente la proposta di un grande testimone della fede (Dietrich Bonhoeffer) in momenti in cui una forma criminale di idolatria tentava di avere il silenzio connivente della stessa Chiesa.

Ci sembra di poter dire che la Chiesa è uscita sempre dalle crisi in modo autentico quando ha ricominciato a pensare, ad interrogare il suo Cristo, anche ascoltando profeti e testimoni che non hanno paura di proclamare e vivere la forza rivoluzionaria del Vangelo. Meglio: quando si è fatta illuminare e convertire da quel Vangelo che annunziava. Ha sprigionato così incredibili energie di speranza. Non serve a nulla lo scisma, ed i cristiani di Napoli lo sottolineano con chiarezza.

Napoli insegna che, se vogliamo che la fede e l’amore abbiano un futuro, lasciata da parte ogni voce rabbiosa, è fondamentale aprirci alla speranza. Una speranza fondata però, non velleitaria e passiva. Napoli è anche il segno che non si deve ricominciare da zero. La Chiesa che vuole vivere del primato del Vangelo, essere nel mondo ma non del mondo, che ripudia ogni libido dominandi, questa Chiesa fedele al “Cristo-povero” e al Concilio, esiste e si esprime in forme innumerevoli. Certo ha estremo bisogno di non essere demonizzata o “eretizzata”. Questa porzione di Chiesa si è autoconvocata a Napoli, legittimata dalla sua fede, dalla sua passione per il destino della Terra, dal suo amore per Dio ed il suo “Regno” di amore.

* Gesuita, teologo dell’Istituto Ignatianum di Messina