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Gianfranco Monaca

SOCIETÀ MULTICULTURALE, POTERE DEI MEDIA, INGERENZA DELLE GERARCHIE

Contributo di Tempi di Fraternità al XXXII Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base

Tempi  di Fraternità Ottobre 2010

L’estate mediatica è stata monopolizzata da liti familiari e di clan, che saremmo tentati di liquidare come “comiche finali” del “teatrino della politica”, anche se, purtroppo, l’incendio di un teatro finisce per essere una cosa tragica e fare dei morti. Nel secentesco teatro del Collegio San Carlo di Modena, tra alcuni cartigli in un latino molto raffinato, uno è particolarmente interessante: Scaenicus ludus imitetur vitam ne scaenicum ludum imitetur vita. Cioè: il teatro deve essere fedele alla vita, affinché la vita non si riduca a un teatro. La politica mediatica è certamente un teatro, e le notizie hanno tutto da guadagnare se vengono documentate con le immagini: il grave è quando le immagini (lo spettacolo) vengono utilizzate per manipolare la realtà o per fabbricarne una fittizia e fuorviante.

Ambiguità della trasmissione di ogni messaggio

La storia del messaggio cristiano ha sperimentato da sempre questa ambiguità, fin da quando le comunità dei discepoli di Gesù di Nazaret, avendo percepito la sua avventura terrena come un fatto indimenticabile, hanno iniziato a mettere per scritto in un linguaggio altamente emotivo i racconti della sua vita: i “vangeli” sono una specie di canovaccio teatrale, una sceneggiatura costruita da chi ha redatto i primi testi, una drammatizzazione efficacemente intessuta con dialoghi e colpi di scena che utilizza le memorie dei testimoni e le compone secondo una certa logica e ricerca d’effetto. Secondo la logica dei poveri e degli emarginati, inizialmente, e progressivamente secondo la logica dei gruppi capaci di introdurre sviluppi o determinare modifiche: ceppi etnici diversi, con diversi linguaggi e alfabeti, influenzati da diverse culture e da diverse personalità, a loro volta cresciute in ambienti diversi. A noi lettori, presi come gruppi (ekklesìai), scoprirne lo Spirito e il senso. L’insistenza con cui Benedetto XVI - uomo di scienza - ci mette in guardia contro il relativismo è incomprensibile, a meno che si voglia far credere che per l’intelligenza dei testi biblico-evangelici non valga la storia del linguaggio e l’ermeneutica che vale per tutti. Sarebbe l’imposizione del fissismo per decreto dogmatico, con un ritorno all’astronomia pre-copernicana e alla biologia pre-darwiniana.

La lettura fissista del messaggio cristiano

Applicato alla storia della chiesa, questo tipo di fissismo ha cementificato il messaggio evangelico in categorie politiche, scientifiche, liturgiche, socio-economiche, etiche fino a costituire una pietra tombale per la libertà di pensiero e di ricerca dei singoli e dei popoli. Il mandato evangelico di testimoniare il Verbo davanti a tutte le genti è diventato movimento missionario affidato ai professionisti e funzionari di “propaganda fide”, la civiltà occidentale è diventata ambasciatrice di un dio orribile e guerrafondaio istigatore di conquista e genocidio. Il concetto agostiniano del “peccato originale” ha condannato l’umanità a una “salvezza” distribuita a colpi di battesimo di massa con la cancellazione di tutte le culture considerate inferiori e incompatibili.  Persino i costumi alimentari del bacino mediterraneo sono diventati “materia” dei “sacramenti” per cui gli esquimesi e gli aborigeni australiani non possono accedere all’eucaristia se prima non imparano a coltivare il grano, il vino e l’olio (o ad acquistarli sui nostri mercati nella nostra divisa corrente, in caso di incompatibilità climatica), mentre nessuno prevede alcuna forma di “reciprocità liturgica” per cui noi mediterranei non siamo obbligati a comunicarci con zuppa di licheni e grasso di balena, frutti di bosco o frittelle di formiche, sidro, latte cagliato, manioca, riso o coca.

Così le consuetudini mentali dell’“occidente cristiano”, cristallizzate in istituzioni e codici di comportamento, hanno consacrato nel nome di “Dio” il patriarcato romano, il maschilismo, l’inferiorità della donna, la schiavitù, la guerra, i valori della media borghesia bempensante, la “civiltà” del lavoro finalizzato allo spreco, l’esportazione dell’“american way of life” come dono da far inghiottire per forza al resto dell’umanità, con la scusa di “fare il loro bene”.

E perché “la sacralità della vita” deve essere accanitamente difesa nei reparti di ginecologia, ma un po’ meno in quelli di siderurgia o nei cantieri edili? E perché un vescovo ne deve sapere di più di un genetista?

Il sacro e le nevrosi collettive

In sostanza, i nostri tic e le nostre nevrosi per secoli hanno determinato il modello della “normalità”, ma il gioco non vale più la candela e il nostro piccolo mondo antico sta andando in pezzi.

Il tutto si regge sul postulato dell’“ubi maior minor cessat” (mentre il comando evangelico mette gli ultimi al primo posto), cioè sul principio piramidale dell’autorità, messo in discussione - proprio in occidente - dai cristiani umanisti rifiutati da un establishment ecclesiastico che coltivava l’umanesimo fine a se stesso1, e, in seguito, dagli umanisti - cristiani o no che hanno imposto alla cultura europea la modernità, la scienza e l’illuminismo. Non sarà molto, ma è sempre qualcosa.

Condannato ufficialmente dal Sillabo di Pio IX fino agli anni Sessanta del Novecento, continuò ad esserlo, ufficiosamente, da molta parte delle gerarchie che hanno tentato e tentano tuttora di soffocare i semi di speranza seminati dal Concilio Vaticano II.

La rivoluzione di Gesù di Nazaret viene vanificata nella misura in cui sulla “conversione del cuore” di ogni persona secondo il programma delle Beatitudini viene fatta prevalere l’adesione formale al “patrimonio della fede”, l’amministrazione del battesimo e degli altri sacramenti, il formalismo moralista e la fedeltà burocratica: in termini laicali, nella misura in cui sull’igiene mentale e sulla spiritualità affrancata si vuol far prevalere, sacralizzandola, la nevrosi della dipendenza da una coppia genitoriale onnipotente e insostituibile (Dio Padre - Chiesa Madre) complicata dai doppi messaggi.  Facendo qualche esempio: il conflitto d’interessi assurge a volontà divina se il papa è per sua natura il proprietario, il direttore e il controllore dell’“Osservatore romano” e dello I.O.R. e non si vede perché non debba essere considerato un modello da chi ci abbia un tornaconto. Continuando a essere per sua natura un sovrano assoluto, titolare dei tre poteri, legislativo (magisteriale), esecutivo e giudiziario, lancia un messaggio indiretto e implicito di sfiducia verso la cultura della separazione dei poteri, del rispetto per la magistratura e per la libertà di espressione, cioè per il costume democratico. Prediche o non prediche, e con le migliori intenzioni, “Perché io sono io e voi non siete un c...”. Cioè “Ghe pensi mi”. Difficile, poi, proclamare il discorso della Cena (Luca 22, 25) sui governanti delle nazioni o sollevare obiezioni sui respingimenti dati in subappalto.  “Bisogna nascere di nuovo” è la proposta notturna - il tempo riservato al sogno - di Gesù allo sbalordito Nicodemo, controfigura di ogni neofita di classe media. Ma non a lui come individuo, bensì alla comunità dei discepoli collettivamente presa, alla chiesa nel suo complesso come struttura sociale e come istituzione umana. Una lettura psicoanalitica del cristianesimo e della cristianità, programmata con la serietà scientifica che richiede la lettura psicoanalitica dei singoli, a patto che si riconoscano bisognosi di terapia: “Non sono venuto per i sani ma per gli ammalati...”.

Proposta guardata con poca o nulla simpatia da chi preferisce mettere i propri tic al sicuro nel ventre di un “corpo mistico” infallibile, un’entità “senza ruga né macchia né qualcosa del genere”... a cui Dio provvede rimediando miracolosamente alle deficienze umane: per questo si è a lungo provveduto a far prevalere la natura divina sulla natura umana del Nazareno, ridotta a poco più di un’apparenza2.

Ora tocca a noi

Il “condono” che ha cancellato lo scisma della “comunità di Pio X” che aveva rifiutato il Concilio Vaticano II, la liquidazione anche fisica della “teologia della liberazione”, ostacolo ai progetti reaganiani sull’America Latina, con la contropartita del sostegno economico alle politiche dei cattolici polacchi organizzati in Solidarnosc, la normalizzazione imposta da Ratzinger in cinquant’anni di governo (da cardinale e poi da papa) tramite la promozione all’episcopato di funzionari ecclesiastici più inclini all’ossequioso silenzio che alla franchezza della “parresìa”, la proclamazione teorica dei “princìpi non negoziabili” mentre si contratta sottobanco con i gladiatori, le cricche, le caste e i furbetti, l’appoggio senza rossore a partiti e personaggi politici disposti a foraggiare le istituzioni ecclesiastiche e le opere di religione (solo alcuni esempi), sono le “piaghe della Santa Chiesa” che corredano di attualità il grido dei profeti che lo Spirito non ha mai lasciato mancare all’umanità, regolarmente castigati in vita, poi glorificati da morti.  Non abbiamo ancora capito bene come si inseriscano le recenti dimissioni di monsignor Marchetto (responsabile dell’ufficio “migrantes”) nella logica della politica ecclesiastica italiana ed europea, se siano state un modo forte, sostenuto dall’alto, per contrastare la deriva razzista che ha tanto successo da queste parti, o un modesto sotterfugio per liberarle diplomaticamente la strada. Così pure aspettiamo di vedere lo sviluppo della proposta dell’arcivescovo di Milano in favore della moschea.  Ma siccome non dimentichiamo che un soggetto come il nunzio Pio Laghi invece di essere processato è stato promosso cardinale e ministro dell’istruzione con il beneplacito del cardinale Ratzinger, abbiamo molti motivi per aspettare di vederci chiaro.  Comunque, se la chiesa fosse davvero povera e aspirasse davvero ad essere più influente sulle coscienze che sulle cancellerie, queste considerazioni conterebbero poco, perché non potremmo aspettarci molto in termini di efficacia politica. È questo un punto su cui esaminarci come comunità di base: infatti non è impossibile che sotto sotto coltiviamo il sogno di una chiesa potente a patto che sia al servizio dei deboli e degli ultimi. Se davvero servisse gli ultimi e non i primi - anche se oggi si tenta di considerare superato il concetto “ottocentesco” che vorrebbe opporre il capitale e il lavoro, i ricchi e i poveri (lettera di Giacomo) - avrebbe la stessa probabilità di successo che ha avuto il Rabbi di Nazaret nei confronti di Caifa, Erode e Pilato. Se la malavita diventasse un costume ambientale, tutti troverebbero normale sperare di ottenere un posto di favore in un concorso o una corsia preferenziale per l’approvazione di un progetto grazie a una telefonata dello zio monsignore al signor commendatore o al suo bidello. O se si pensasse che sia meglio assumere un “clandestino” in nero piuttosto di lasciarlo nel rischio di delinquere come disoccupato totale, che è un modo piuttosto diffuso fra i “buoni” per fare beneficenza. In tal caso, ci sarebbe poco da aspettarsi da una chiesa povera e disarmata. Alla fin fine, il problema è poi qui, e non c’è molto da stupirsi se nei covi dei mafiosi si trovano i sacri cuori e le immaginette.

Dopo di che, chi vuole un prontuario di vita cristiana davvero disarmata e tutto in positivo, legga e faccia circolare il libro di don Andrea Gallo, Così in terra come in cielo, recentemente pubblicato (Milano 2010). “Poi va’, e fa’ altrettanto!”. 

 

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1 Mai abbastanza conosciuta e meditata la vita e l’opera - davvero rivoluzionaria - di Erasmo da Rotterdam. Classici in proposito: Stefan Zweig, Erasmo, Bompiani. Johan Huizinga, Erasmo, Einaudi.Roland Bainton, Erasmo della cristianità, Sansoni. Louis Bouyer, Erasmo tra umanesimo e riforma, Morcelliana. Siro Attilio Nulli, Erasmo e il Rinascimento, Einaudi.

 

2 cfr. Luigi De Paoli, Psicoanalisi