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Sergio Castiglione

Coltivare speranza

 

Ho partecipato con molto interesse alla presentazione del libro di Mario Campli e Marcello Vigli  “coltivare speranza – una chiesa altra per un altro mondo possibile- “ Edizioni Tracce, avvenuto a Napoli nella sala multimediale di Via Verdi, il giorno 10 dicembre u.s. e organizzato dalla Cdb del Cassano.

Ho notato con una certa meraviglia che l’incontro ha registrato presenze e interessi per me inaspettati; docenti universitari, studiosi, donne e uomini di cdb napoletane,  cristiani impegnati a Scampia, con Fabrizio Valletti, gesuita di Scampia –peraltro autore della prefazione al testo – hanno gremito la sala e hanno mostrato un grande interesse non soltanto per il libro ma anche per i suoi contenuti e i suoi significati. Non immaginavo che a Napoli ci fosse ancora tanta forza e tanto coraggio, espressi con molto vigore intellettuale e non solo.

Ho ritenuto il dibattito importante e illuminante; ricorderei che Napoli non è Firenze dove da oltre 40 anni l’esperienza unica dell’Isolotto fa da parametro essenziale, quindi purificatore di scorie intellettuali; Napoli è la città dei quartieri spagnoli e di Scampia, della scuola del diritto e della filosofia,  della cultura e dell’arte fino ad essere museo a cielo aperto; Napoli  è anche folklore espressivo, ha bisogno anche di un po’ di retorica, sempre, però sincera e carnale.

Tutti gli interventi mi sono sembrati non  laudativi di  circostanza o di maniera; tutti, a mio avviso, dopo la forte presentazione di Mario e prima della puntuale conclusione di Marcello, hanno messo in rilievo valori, riflessioni, pensieri, orientamenti indicati nel libro e fatti propri nella analisi e spesso nella condivisione reale , con molta partecipazione. Il libro è stato anche percepito come una icona dell’opera di Ciro Castaldo.

I tempi ristretti non hanno permesso un dibattito ampio e approfondito; vorrei ritagliarmi un piccolo spazio per intervenire.

Sono d’accordo con Mario e Marcello: le cdb sono l’espressione di una chiesa altra nata nel dissenso, in cui si coltiva e si deve continuare a coltivare speranza. Se l’obbedienza è sequela,  parafrasando don Milani,  affermerei  che “il dissenso è il nome nuovo dell’obbedienza”, nel sogno dell’obbedienza che non è più una virtù.

Dissenso da che cosa; obbedienza a chi. Non si tratta di dialettica:  l’istituzione non può far paura, il magistero non può far paura, nemmeno l’autorità fa paura. Ciò che fa paura è l’infedeltà.

L’istituzione è stata contemplata come “popolo di Dio in esodo  verso …, comunità di redenti e credenti”: se l’istituzione è essenzialmente giuridica e di potere, è clero,  chi è l’obbediente? Se il magistero dimentica Colui che lava i piedi e annuncia “una volta ravveduto, conferma nella fede”, per avere il ruolo di  detentore di chiavi dorate e davanti ai servi o i militari di ogni potere ripete “non lo conosco, non so quello che dici”: dove è il magistero?

Poiché la PAROLA è stata udita, lo Spirito ha soffiato, e il CONCILIO è stato celebrato come riscoperta della autentica missione, è consequenziale che la fedeltà generi il dissenso,come obbedienza ed espressione di santità. Ed è meraviglioso come ancora oggi si continui, dopo 40 anni di impegni e di lotte, a ricercare la costruzione della comunità dei figli credenti.

E’ meraviglioso che anche in questa ora, nella quale per molti un certo consenso è base di monarchia,  dopo aver perduto i fremiti fisici del Concilio, ci siano donne e uomini che, non da soli ma in comunità,  si interrogano e operano nella ricerca della fedeltà alla Parola.

Sembra ancora questa la strada per vincere la solitudine dell’ascolto e ritrovare la forza della coerenza condivisa.

Il compito impervio delle cdb resta quello di costruire la proposta oltre il dissenso, senza diventare istituzione e di restare fedele ad un ascolto che spesso sembra impossibile nelle valutazioni dei nostri ragazzi che hanno come uno parametro di riscontro quello dell’infedeltà.

Grazie a Mario e Marcello per questo lavoro.