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Corrado Maffia

CIRO CASTALDO, RIBELLE DISOBBEDIENTE, E LE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE ITALIANE

 Il Tetto n. 276-277 marzo-giugno 2010

La complessità del tempo attuale e la velocità delle trasformazioni in atto è tale da mettere a dura prova ogni tentativo per raccontare e riflettere sul passato, anche prossimo, della nostra vita individuale e collettiva. Come se la fatica di star dietro ai cambiamenti cancellasse, per una nostra inadeguatezza biologica, la memoria di fatti e di persone, lasciando integro solo il ricordo di quei fatti e di quelle persone che hanno avuto una importanza costitutiva della nostra identità.

Riprendere il cammino segnato da Ciro Castaldo (1928 - 2003) è facile per chi come me ha condiviso con lui tanti anni di ricerca di fede, di riflessioni sulla chiesa, di testimonianze e di impegno civile. Diventa problematico per chi ha vissuto solo marginalmente queste tensioni ideali, preso com’è dal vortice dell’informazione che relativizza, emargina e relega nei bassifondi della memoria ogni esperienza consumata in modo approssimativo.

Diventa un impegno intellettuale notevole per coloro che vogliono capire oggi, ma che nel passato hanno guardato con diffidenza l’universo della fede e della religione. Tutt’altro discorso, di cui diremo più avanti, per le giovani generazioni, perché lontana e del tutto sconosciuta è questa avventura delle Comunità di base.

Sono convinto che l’invito rivoltomi di recuperare la memoria di Ciro Castaldo da parte di una rivista come “il tetto” che tante volte ha ospitato le sue riflessioni e i suoi commenti, manifesti il desiderio di saperne di più, di conoscerne gli aspetti personali e i valori che hanno permeato la sua vita. Così come sono convinto che moltissimo del pensiero di Ciro è di una attualità sconvolgente alla luce di quanto ancora le gerarchie cattoliche riempiono le cronache con i loro pronunciamenti e le loro collusioni con il potere politico che, ahimè, poco hanno a che vedere con la missione evangelica. Parlare di Ciro Castaldo è parlare delle Comunità di base perché fin dalla loro nascita, nel 1971, ne è stato il coordinatore nazionale. Era suo anche la redazione del magro bilancio economico delle Comunità; un giorno gli chiesi perché mettesse in passivo la sua bolletta telefonica e la risposta fu: “a chi vuoi che telefoni? Il 99% delle mie telefonate sono per tenere i rapporti con tutte le realtà di base”. Prova che l’identificazione con il ruolo di segretario tecnico era totale e condiviso da tutto il movimento delle Comunità fino a quel 7 marzo del 2003.

La storia di Ciro, inoltre, racchiude un aspetto particolare della storia della seconda metà del 1900. Che poi è la storia, per tanti versi intrecciata, della vita “religiosa” e “civile” di questo paese ed in particolare della Campania. Come lui stesso dice in Radici e Speranze1 “bisogna risalire alla seconda metà degli anni 50, alle dimissioni di Mario Rossi da Presidente nazionale della Gioventù Italiana di Azione Cattolica perché contrario al collateralismo con il partito della Democrazia Cristiana. Paradossalmente l’Azione Cattolica che partoriva dirigenti DC, fu la culla del dissenso che esplose in tutte le sue potenzialità durante e dopo il Concilio (1962 - 1965)”. E come hanno interpretato i ragazzi del laboratorio di scrittura della Scuola di pace:

“Ciro in quegli anni è affascinato sempre più dalla “Teologia della liberazione” che si sviluppa in America Latina, secondo cui il Vangelo doveva essere prettamente a favore dei poveri e sogna una Chiesa “povera” coinvolta con le masse popolari al fine di liberare gli oppressi e sconfiggere lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma le sue speranze, come di tanti, in questi profondi cambiamenti ecclesiali che il Concilio avrebbe dovuto produrre, andarono deluse e Ciro Castaldo, nell’ambito della sua ricerca di fede, si stacca dalla Chiesa in quanto “La parrocchia non esprime una comunità autentica, reale, ma una istituzione giuridica, burocratica, religiosa, avulsa dalla realtà quotidiana della gente”. 2

La nascita delle Comunità cristiane di base si affianca ai tanti fermenti ecclesiali, sociali e politici - di cui “il tetto” che ne è viva e preziosa testimonianza - che caratterizzeranno gli anni 60 e 70 su cui tanto è stato scritto e dibattuto e a cui rimandiamo. L’aspetto peculiare delle Comunità di base sarà quello di rifiutare la religione come alienazione (da cui prende origine la “riappropiazione” dei testi biblici, dei “gesti sacramentali” e la critica al principio di obbedienza) e contemporaneamente di avvicinarsi e di partecipare attivamente ai processi di emancipazione (vedi tutta la tematica relativa al mondo del lavoro, della scuola, della sanità, delle donne) e di liberazione (in particolare la situazione in Africa e in America Latina) con uno sguardo sempre vigile alle Chiese della Riforma e alla “politica ecclesiale” dei vescovi cattolici.3 Da sottolineare inoltre la caparbietà con cui le Comunità, fin dal loro nascere ad oggi, hanno sempre dichiarato di non volere un’altra chiesa ma una “chiesa altra” 4, vicina ai più poveri ed emarginati, non collusa con i poteri ed economicamente trasparente (vedi concordati, 8xmille, insegnamento della religione, cappellani, ICI, scuola cattolica, etc).5

Altro elemento costitutivo del DNA delle Comunità di base è il principio di laicità inteso come libertà di pensiero e di ricerca, anche in ambito ecclesiale, non condizionato da anacronistici dogmatismi e tanto meno da quei divieti e censure che hanno palese carattere storico e contingente. Sensibile al richiamo evangelico del “sabato per l’uomo e non dell’uomo per il sabato” nonché a quanto il Concilio Vaticano II aveva espresso in merito a “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” che “sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” 6, le Comunità di base hanno sempre ritenuto fondamentale l’impegno per le donne e gli uomini in quanto immagine visibile del Dio invisibile rivelato da Gesù di Nazaret.

Ciro incarnava questi valori che ritroviamo nella sua vita attualizzati e che trasmetteva a quanti gli erano accanto. Mi piace menzionare alcuni aspetti della sua personalità che ritengo particolarmente attuali in un momento di omologazione culturale della nostra società che per tanti versi si è scomposta.

Il disincanto, con cui Ciro affrontava il suo impegno sociale ed ecclesiale. L’autonomia dei due ambiti erano ben distinti nella sua mente ma nella prassi costituivano un intreccio inestricabile a cui lui dava il marchio della specificità dell’impegno politico-ecclesiale delle Cdb.

Disincanto che traeva origine dalla sua storia personale e dalla lunga esperienza di frequentazioni ecclesiastiche, sorretto da una fede che, soleva ripetere, non può che essere laica, libera dai condizionamenti che hanno offuscato storicamente il messaggio evangelico.

L’indignazione, che si esprimeva ad alta voce ogni volta che veniva calpestata la giustizia. Ciro aveva una fede “immediata”, “povera”, fatta di poche “cose essenziali” che facevano da chiave interpretativa della realtà. La “dipendenza” dagli altri; evangelica, francescana oserei dire. Una dipendenza discreta che nasceva dalla consapevolezza dei propri limiti.

Antonia Melino ricorda così il suo rapporto con le donne: “il suo affetto tenero, era di una tenerezza a volte commovente. Ciro non ha avuto una sola donna ma tante, tutte quelle che ha incontrato sulla sua strada. Per ognuna di loro ha avuto una premura, una attenzione particolare, a volte ironica, facendo sentire unico e irrepetibile quel rapporto”.

La relazione con la città. Il rapporto che Ciro aveva con la grande città richiama alla mente il concetto di transizione culturale di Ernesto Balducci: “Il primo laboratorio di questa transizione da una cultura di guerra ad una cultura di pace è la città”, la polis. Ciro credeva in questa possibilità, per questo si trasferì a Napoli da Torre del Greco. La città, espressione della modernità, anch’essa “bifronte”, con le sue storture ma anche con tutte le sue potenzialità: di dialogo, di libertà, di discussione, di partecipazione, di dissenso, di comunicazione; la città degli eventi e delle utopie, di tangibili speranze, grandi ma anche piccole e significative, come una comunità cristiana di base, che diano senso alla vita.

La “radicalità” del suo pensiero che esprimeva in ogni campo, da quello politico a quello ecclesiale, era una caratteristica che lo accompagnava sempre. In una intervista del 1987 all’agenzia ADISTA poneva con forza la questione dell’autonomia del movimento delle Comunità senza necessarie legittimazioni dall’alto per poter esistere. E si interrogava, in generale, sul ruolo e sull’importanza delle minoranze concludendo che “non si trasforma nulla nella chiesa e nella società se anche le forze di sinistra rincorrono i Palazzi, tutto ciò non è pagante per il cambiamento”.

Fa un certo effetto leggere questa frase a distanza di 23 anni. Cosa rimane oggi di tanta coerenza e di tanto fermento ecclesiale e culturale?

A giudicare dal clima che si respira sembrerebbe ben poco. L’esperienza delle Comunità di base è datata e per tanti versi irripetibile nei modi e nelle forme con cui si è venuta a determinare. Così come le spinte ideali che hanno generato il Concilio Vaticano II sembrano svanite e lontane nel tempo o quanto meno edulcorate. Ma il nostro compito è quello di non fermarci alla superficie, di non farci coinvolgere dall’apparire e dai tamburi dei media. 

È chiaro che il contesto storico degli anni 60 e 70, fatto di grandi attese e di grandi speranze, è completamente cambiato. Deve essere altresì chiaro che parte di quelle attese e di quelle speranze hanno avuto compimento.

La grande difficoltà di oggi è quella di interpretare e tentare di dare risposta al disagio personale e collettivo di tanti credenti disorientati da una gerarchia ecclesiastica che tende a mettere al primo posto gli interessi di casta e di gestione del sacro più che dare voce ai deboli ed amplificare il messaggio evangelico di giustizia per i piccoli.

Ma la Chiesa, si sa, non è formata solo da preti e cardinali, ma da una miriade di piccole realtà che non fanno scalpore e notizia mediatica a cominciare da parrocchie aperte, disponibili al territorio e ai bisogni dei nuovi poveri, alle comunità di religiose e religiosi inserite negli ambiti più critici della nostra società, alle associazioni che direttamente o indirettamente traggono origine e motivazioni dal Vangelo, ed infine anche dalle Comunità di base, piccolo anello di una lunga catena di frontiera, che si fa chiesa insieme a quanti cercano nel volto dei fratelli in difficoltà il volto di quel Dio che ha fatto della debolezza umana la sua forza.

Oggi le poche Comunità di base presenti a Napoli, in particolare la Comunità del Cassano e quella del Vomero, fanno parte di questo variegato universo della cristianità con una prassi consolidata negli anni e con buone pratiche di condivisione con esperienze parrocchiali e con movimenti cattolici e cristiani, così come con la chiesa Valdese di via Vaccaro e la chiesa Battista di via Foria.

In particolare con quest’ultima c’è un confronto più che decennale che ha prodotto una intensa collaborazione in merito alle attività della Associazione Scuola di pace che a via Foria ha trovato non solo ospitalità logistica ma anche affetti e sensibilità fraterna. La Scuola di pace è una realtà autonoma e laica, giunta al ventesimo anno di vita, che vede coinvolte a vario titolo anche le Comunità di base napoletane.

La scuola di italiano per immigrati, il laboratorio teatrale e musicale e gli incontri generali mensili vedono coinvolti in attività concrete di solidarietà circa trenta giovani tra i 18 e i 30 anni d’età.

Inoltre, l’esperienza di quest’anno nelle scuole che seguono i nostri progetti ha visto la realizzazione di quattro “pizzini della legalità”, microlibri di Coppola Editore di Trapani, uno dei quali dedicato a Ciro Castaldo.

La nostra sorpresa è stata grande quando siamo andati a presentare questo personaggio. La preoccupazione iniziale di non essere capiti e il timore di parlare di argomenti che credevamo lontani dalla sensibilità dei ragazzi si è dissolto al primo incontro. E questo è per noi un segnale di grande speranza. Ci conferma nell’idea che parlare di Vangelo, di comunità, in modo semplice e legato alla vita dei più deboli, trova ascolto e attenzione da parte dei più giovani. Ci ha meravigliato l’interesse suscitato dalla storia del Concilio Vaticano II e il fatto che molti di loro, frequentatori di parrocchie e oratori, ne parlassero animatamente e condividessero le ansie e le idee di questo prete che sceglie di vivere in modo diverso la sua vocazione.

Le Comunità, come prima ho detto, sono una esperienza irripetibile ma i germi che racchiudono sono tanti e tutti genuini. Verrà di nuovo il vento dello Spirito a dar vita ad una nuova primavera conciliare che forse noi non vedremo, oggi ci spetta il compito di seminare e se il terreno è nuovo porterà frutti abbondanti. Voglio concludere con un ricordo personale di Ciro. Quando si laureò mia figlia le scrisse l’auspicio che riassume una vita: “Alla neo dott.ssa Carmela dal ribelle disobbediente Ciro Castaldo un augurio per una ricerca sempre nuova senza adeguamenti”.

 


 

 

* Di seguito dello stesso autore è anche la Riflessione a sette anni dalla morte di Ciro pubblicata il 2 marzo 2010 sul sito web delle comunità di base italiane -www.cdbitalia.it.

Mentre scorrono le immagini di “Piazza pulita” *, il mio pensiero corre a Ciro Castaldo. Il video è “memoria di un popolo oppresso che si ostina a resistere”.

Nel 1967, durante la guerra dei sei giorni, Israele occupa, tra le altre, una zona che comprende tre villaggi palestinesi, uno di questi è Emmaus. Gli abitanti vengono allontanati con le armi verso la Giordania e i villaggi vengono rasi al suolo. In seguito, con i soldi delle comunità ebraiche canadesi viene costruito un grande parco giochi che ancora oggi viene chiamato Canada Park, cancellando completamente la memoria di quei luoghi.

Il reportage è interessante ed emozionante, intervallato dal racconto dei discepoli di Emmaus riportato dal vangelo di Luca al cap.24,13-34. E’ questo uno dei brani più belli e più toccanti di tutta la narrazione evangelica, molto caro a Ciro che spesso lo citava per la sua costruzione poetica e linguistica. Ripeteva a memoria quel “mane nobiscum quia advesperascit” - “rimani con noi perché si fa sera” - con il piacere e il godimento di chi sente proprio il suono del latino e di chi quella frase l’ha meditata a lungo. Che tristezza sapere che un luogo tanto amato dalla cristianità sia stato cancellato e i suoi abitanti cacciati come abusivi!

Ma la speranza non è morta. I villaggi si distruggono, la memoria di un popolo no. Il messaggio che viene dall’inchiesta è pieno di realismo ma anche di aspettative di resurrezione.

Gesù accetta l’invito di rimanere con noi perché è sera e buio su questa umanità crudele e distratta; ci lascia la promessa della sua vicinanza e “sparisce” avendo rispetto per la nostra intelligenza e per la nostra responsabilità.

Ci tocca infatti il compito di attizzare continuamente quel “fuoco che ci arde dentro” ogni volta che incontriamo “lungo il cammino” gli ultimi della storia.

 

P.S. ...ho scritto perché Ciro condivideva e... condivide questi pensieri, anche se sono sette

anni che... non ci vediamo.

* “Piazza pulita”. Reportage dalla Palestina di Nandino Capovilla e Piero Fontana, realizzato da Pax Christi (Italia), Al-Haq (Palestina) e Ass. Zochrot (Israele).

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1 Comunità cristiana di base del Cassano. Radici e Speranze. Dal dissenso cattolico all’uomo planetario. Napoli 1996. p. 95. Reperibile su www.cdbcassano.it

 

2 Laboratorio di scrittura collettiva dell’Ass. Scuola di Pace di Napoli. Ciro Castaldo. Una vita per la comunità. Coppola Editore. Trapani. 2010.
 

3 Di grande aiuto per la comprensione del fenomeno sono due pubblicazioni in parte espressioni del movimento delle Comunità:

- la rivista settimanale COM. 1972, che diventerà nel 1974 quindicinale COM-NUOVI TEMPI e successivamente dal 1989 mensile CONFRONTI, tutt’ora edito;

- l’agenzia ADISTA dal 1967.
 

4 Gentiloni F. e Vigli M.. Chiesa per gli altri. Ed. CNT. Roma e recentemente Campli M. e Vigli M. Coltivare speranza, una chiesa altra per un altro mondo possibile. Ed. Tracce. Pescara. 2009. Molto raccomandato per il rigore storico e l’ampia bibliografia.
 

5 AA. VV. Concordato, perché contro. Ed. CNT. Roma e molto più di recente Curzio Maltese, La Questua.. Ed. Feltrinelli. Milano. 2008.

 

6 Documento Conciliare Gaudium et Spes. Cap. 1