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IL CINQUANTESIMO A SALGAREDA

don Alberto De Nadai

 

Premessa

50° di sacerdozio: un percorso umano, culturale, spirituale, dalla nascita ad oggi, fra memoria, presente e futuro, fino a quando Dio vorrà. Un intrecciarsi di tanti eventi che parlano di presenza vissuta, cercata, reale e misteriosa di Dio, del suo "SOGNO" e il riferimento coinvolgente a Gesù di Nazaret, la partecipazione convinta e sofferta della Chiesa. Il percorso di una persona, uomo e prete in divenire, che incontra provocazioni, sfide tribolazioni, ricchezze, nel cuore dell'umanità, propria e altrui.  E' la traduzione esistenziale e storica di intrecci, di eventi che alimentano le ragioni della speranza. Un piccolo, umile contributo, proprio un frammento ad una umanità più vera, ad una fede più autentica, ad una Chiesa più evangelica.

 

Iª parte

Poco prima del giorno anniversario della mia ordinazione sacerdotale ( 29 giugno 1959) sono andato al cimitero di Salgareda, un luogo non solo fisico, ma umano e spirituale, privilegiato per la meditazione sul senso del vivere, del credere, dell' impegnarsi, del soffrire, del morire. Sulla tomba di mio padre e di mia madre, che mi hanno dato la vita e mi han visto nascere il 27 novembre 1932, mi son chiesto: " chissà quanto hanno contribuito a questa mia storia!" La vita della mia famiglia è come quella delle rondini, sempre in volo verso stagioni migliori: emigrare! Un male che non auguro a nessuno. Ho conosciuto mio padre quando avevo 7 anni, tornava dall'Africa ammalato; all'inizio della guerra, 1940,  è partita mia madre per la Germania; finita la guerra, nel 1946, son partiti prima mio fratello per le miniere di ferro della Francia e poi mia sorella a fare la domestica in Svizzera; poi son partito anch' io per studiare a Gorizia. Considerando la povertà della mia famiglia i genitori hanno  comunicato a noi tre fratelli un forte messaggio: che il denaro non va messo al primo posto; che i rapporti umani, l'onestà, l'aiuto agli altri sono fondamentali e prioritari. Un insegnamento che mi è rimasto dentro in profondità e che via via ho avvertito nel legame profondo con il Vangelo, anzi come sua attuazione.

Continuando la visita, mi son portato in fondo al cimitero, all'angolo sinistro, sulla tomba del vecchio parroco, don Pietro Sartor, quello che mi ha accolto ufficialmente  nella comunità cristiana di Salgareda l'8 dicembre del 1932 con il Battesimo; un sacerdote che non aveva altra ricchezza che la sua umanità.

Poi sono andato in chiesa, sempre linda, curata e accogliente; un pò cambiata da quando facevo il chierichetto, di mattina presto, nei giorni feriali. Ho ben presente il freddo pungente della chiesa durante il periodo invernale! Un po' cambiata secondo le intuizioni dei parroci: don Raimondo Squizzato, colui che mi ha sostenuto durante la mia giovinezza; don Lino Magro, colui che ha preparato i festeggiamenti per la mia prima messa il 5 luglio 1959 ; e l'attuale don Giuseppe, amico di cordata che vuole condividere con me il ricordo del suo 50° di sacerdozio. Credo che anche il modo di credere dei Salgaredesi sia cambiato. Non penso che non credano più, ma penso che continuino a credere nella testimonianza secondo i tempi e l'urgenza delle cose.

Il mio vecchio paese, non posso dimenticarlo: fa parte della  mia carne, del mio sangue: Ci sono le mie radici: qui c'è il cimitero dei miei vecchi, e nel centro del paese c'è la chiesa: i valori del proprio paese, le tribolazioni, la fede: E' come difendere il proprio volto, la propria identità.

 

IIª parte

Chi può dire come nasce un fiore, come maturi una spiga, come esca dall'uovo un pulcino? Nessuno può dire come sgorga un'idea, da dove viene e dove ci porta: la scelta di una professione, quale la direzione! Io non so dire nulla di preciso su quanto mi accadde poi finite le elementari. Però bisognava scegliere. Perché sono entrato in seminario? Ho sentito una chiamata? Cosa è avvenuto realmente e come? I miei genitori non hanno mai forzato né prima, né dopo, anzi. Dopo 50 anni del mio essere e diventare ogni giorno prete credo che a 12 anni non si possa sentire una vocazione. Si può vivere un ideale di massima, un desiderio di fare del bene agli altri, un accostamento alla figura di un sacerdote come particolarmente significativa in questa disponibilità; ma non di più. Non so se ho ricevuto veramente la chiamata; lo scoprirò alla conclusione di questa vita terrena quando vedrò Dio faccia a faccia e mi sarà finalmente rivelato il senso della mia esistenza: l'essere un realizzatore del suo Sogno. E' un itinerario di ricerca mai concluso, la consapevolezza di essere prete non può diventare ruolo di funzionario del sacro, separato dal resto dell'umanità.

Gli anni di seminario furono belli e faticosi: un  passaggio che ha segnato per sempre la mia vita. La teologia dei libri mi pareva astratta; mi pareva non poter inventare, giorno dopo giorno, la vita accanto agli altri. Spesso avevo voglia di scappare e invece rimasi.

E la mattina del 29 giugno 1959 l'Arcivescovo di Gorizia Mons. Giacinto Ambrosi mi ha ordinato sacerdote assieme ad altri due amici. Il 5 luglio 1959 la prima messa a Salgareda: una celebrazione intensa, una festa di popolo. Con le mie parole piene di commozione ho ringraziato tutti e il Signore in modo particolare e ho detto alla Comunità che le mie origini mi impegnavano a restare fedele al popolo, alla gente povera e umile, e al Vangelo. Anche oggi sento che questa è l'unica strada da percorrere.

 

IIIª parte

Subito dopo l'ordinazione l'Arcivescovo mi manda a fare il cappellano nella parrocchia del Duomo di Gorizia e di occuparmi particolarmente dei ragazzi dell'oratorio Pastor Angelicus, una specie di centro sociale d'oggi. Dopo tre mesi l'Arcivescovo mi nomina suo segretario particolare e perchè rifiutavo di prendere la patente per non portarlo in giro per le cresime o per altri impegni, mi nomina anche cappellano festivo del Sacro Cuore in Gorizia. L'obbedienza resiste per un anno. Nell'ottobre del 1960 vengo nominato Vicerettore del Seminario diocesano e insegnante di religione alle scuole medie e ai Geometri. L'incarico in Seminario dura quattro anni. E' di questo periodo la nomina del nuovo Arcivescovo e una profonda riflessione sul mio essere prete, grazie al Concilio Vaticano II iniziato in quegli anni il cui segretario era il nostro nuovo Arcivescovo. Mons. Pangrazio, capita la mia voglia di stare con la gente e dandomi fiducia, mi nomina, nel settembre del 1964, "vicario adjutor" della parrocchia cittadina del Sacro Cuore. Fiducia sì, ma nella libertà. Bisogna essere fedeli e liberi. Non basta la fede, ma ci vuole anche la fedeltà. E' la fedeltà che indica il valore delle cose e il prezzo che ci costano. Lo stesso si dica nei confronti della libertà. Se la libertà non costa, non ha neanche valore. Il parroco anziano non accetta la mia presenza con quella nomina e mi rende la vita assai difficile. Avevo l'impressione che la parrocchia e i preti fossero come dei commercianti con il compito di vendere un prodotto: la partecipazione alle funzioni e la fruizione dei Sacramenti; invece la chiesa è per gli uomini. Con queste convinzioni inizio un'azione pastorale nei due quartieri periferici della parrocchia.  Per Gorizia è una novità la presenza giornaliera del prete nelle strade con la gente a giocare con i ragazzi, pregare il mese di maggio tra le case, la visita dei malati.

L'Arcivescovo accoglie con favore ed entusiasmo questo mio modo di fare e nel settembre del 1965 mi manda in una zona periferica della città in pieno sviluppo edilizio a costituire una comunità parrocchiale dicendomi: "Vai laggiù - e mi indicava  dall'alto del Seminario il luogo - e costruisci una nuova parrocchia che chiameremo S. Anna, e cerca di realizzarla come il Vaticano II suggerisce". Non essendoci in questa zona nuova né chiesa, né canonica, dovevo fare vita comune con il parroco della parrocchia confinante e cercare di lavorare in comune ( era l'idea dell' attuale zona pastorale).

I segni per una comunità cristiana viva e impegnata erano evidenti: dovevo lavorare sulla strada sensibilizzando alla vita di un quartiere senza strade, senza luce, senza scuola, senza farmacia, senza spazi verdi, senza autobus, senza telefono pubblico. Mi sono immerso nei problemi concreti della gente. Facevo le riunioni formative e di sensibilizzazione nelle case e l'Eucarestia domenicale sotto un porticato. Intanto gli operai costruivano il complesso parrocchiale che viene inaugurato nel 1971. Già la struttura della chiesa priva di immagini e di altari e il modo di condurre la liturgia disturbava quelle persone che non avevano partecipato al cammino di fede con l'Eucarestia sotto il porticato e all'impegno per il quartiere. Ero convinto che la costituzione di una comunità partiva dall'abbattimento dei muri della "separazione", cominciando precisamente dalla liturgia. Il primo muro era l'isolamento del sacerdote: uno che parlava una lingua ignota a un'assemblea distratta e impaziente. E' vero: proprio da qui comincia la vera riforma di una chiesa. La chiesa si riforma sempre partendo da un altare. Un popolo di Dio o nasce dalla liturgia o non nasce in nessun modo e in nessun altro luogo. Sono convinto che la decisione più grande e più ardita del Concilio è stata la riforma liturgica. Non per nulla è quella che provocò addirittura uno scisma in seno alla chiesa. Anche se poi la vera riforma è stata tradita e falsata a causa di una chiesa che non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Anzi, è da qui che comincia il tradimento del Concilio. E' mancata la creatività, è mancata la responsabilizzazione dei fedeli, la loro partecipazione. Mi sono accorto, con disappunto, che tutto quello che si faceva al di fuori dei canali ufficiali politici ed ecclesiali, era visto come qualcosa di poco ortodosso. Tutto questo alimentava la mia convinzione di una sorta di estraneità della chiesa dai problemi concreti della vita della gente. D'altra parte capivo anche che questo mio modo di porre i problemi rappresentava per una parte della comunità e per la gerarchia una mia presunta volontà di sposare altre visioni di vita. Venivo identificato con la figura del "prete comunista" che, girando per la strada a parlare con la gente, portare i problemi del quartiere all'assemblea del lunedì, riappropriarsi della Parola di Dio negli incontri biblici del venerdì e nella preparazione all'Eucarestia domenicale, aveva spezzato gli schemi classici del prete. Da un lato suscitavo ammirazione e apprezzamento, dall'altro creava dubbi e atteggiamenti di chiusura. Da qui l'Arcivescovo Mons. Pietro Coccolin, successore di Mons Pangrazio, prima mi invita a lasciare la parrocchia e poi me la toglie senza minimamente coinvolgere il "popolo di Dio". Era il 5 dicembre 1976. Accogliendo il Decreto di Rimozione ho fatto presente all'Arcivescovo che non ero più disponibile a svolgere un compito parrocchiale fino a quando non veniva chiarita la mia posizione, cioè dire apertamente il perchè di questa Rimozione.

La mia rimozione dalla parrocchia di S.Anna fu decisa dalla Curia (ed era segreto professionale) già agli inizi del 1975. Le persone della Curia avevano da sempre temuto che facessi nella parrocchia un movimento politico. Dei nostri gesti e dei nostri interventi non avevamo mai fatto mistero. Ma le ragioni dell'intervento contro S.Anna non erano semplicemente politiche; e neppure economiche, anche se navigavamo in pieno mare in fatto di debiti. Da notare che l'amministrazione dei lavori del complesso parrocchiale è sempre stato in mano alla Curia. Le ragioni politiche ed economiche erano un buon pretesto, un grande e robusto alibi a proteggere la vera ragione della rimozione dalla parrocchia. La ragione era che si aveva paura del Vangelo. Perché si può e si deve predicare il Vangelo, ma praticarlo è sempre un rischio, sempre un pericolo. Il Vangelo bisogna dosarlo, tenerlo sotto controllo. E' l'eterna ragione del conflitto tra storia e profezia, tra fede e prassi; il problema di sempre: il problema del " capitolo delle stuoie" di S. Francesco d'Assisi e di qualunque altro si avventuri su queste strade. E sarà sempre la "Gerarchia" (non la chiesa: la chiesa è il mistero che comprende gerarchia e altro; il mistero di peccato e grazia insieme, che, come il Piave, porta oro e rifiuti e fango); sarà sempre la gerarchia a dire no, a dire alt. La gerarchia si comporta come e quanto si comportano le potenze di questa terra di fronte a eventuali pressioni di mutamenti di sistema ed di rapporti di forza. La chiesa non ha mai canonizzato i santi della giustizia, preferendo in assoluto quelli della carità. Certo che noi ci muovevamo fuori del Diritto Canonico: nel codice di Diritto canonico non c'è mai stato un posto, se non marginale, per i poveri; i poveri nel Diritto esistono soltanto come "oggetto" di elemosina.

 

IVª parte

Senza casa e senza lavoro, ho vissuto per parecchio tempo sulla strada (dormivo in una roulotte) e timbravo il cartellino di disoccupazione assieme a tanti operai senza lavoro. Gli amici della comunità cristiana mi hanno trovato, in seguito, l'appartamento in centro città e il lavoro in una carrozzeria d'auto. Così potevo guadagnarmi da vivere e pagare l'affitto.

Grazie alla posizione centrale dell'abitazione, la voce si è sparsa tra i ragazzi di strada, tra chi era senza casa e dormiva al Parco o ai giardini: "andiamo da don Alberto che ha una casa grande!" Così potevo accogliere ragazzi con problemi di droga, di alcol, problemi di sofferenza psichica, di mancanza di affetto.

Dopo le otto ore di lavoro in officina, tornavo a casa con il desiderio di dialogare con queste persone, di sensibilizzarli sulla dignità della persona, sulla corresponsabilità, sull'impegno. Usufruivo dell'esperienza del sacerdote francese l'Abbè Pierre:

quella dei poveri che si organizzano e trovano insieme il modo di uscire dalla miseria e dall'emarginazione.

Con questi ragazzi nell'aprile del 1980 ho costituito la Cooperativa di lavoro giovanile denominata "Coop. Arcobaleno". Alla vigilia di Natale dello stesso anno il sindaco di Gorizia ci ha dato, in comodato, una vecchia caserma, adibita a magazzini, per abitazione e nel marzo 1982 abbiamo costituito legalmente la Comunità Arcobaleno; il punto di appoggio per dormire rimaneva sempre la mia casa.  La cosa non fu facile da portare avanti in quei tempi perchè mi sono scontrato con una serie di problemi legati prima alla tossicodipendenza. Da qui ho iniziato, nel 1983, la formazione dell'equipe di operatori per aprire con loro, nel 1985, la Comunità Terapeutica per Tossicodipendenti denominata "la Tempesta"; poi mi sono scontrato con i problemi dei sofferenti psichici. Per questi, assieme ai familiari, ho  costituito l'Associazione Regionale Strutture Intermedie e l'apertura di due case: una a Trieste in via dell'Università, l'altra a Mossa (GO) chiamata "Oasi del Preval". Era il 1989. Il fulcro propulsore operativo rimaneva sempre la Comunità Arcobaleno che, nel 1996, ha potuto inaugurare: una "casa albergo" per i senza fissa dimora con 5 posti letto e un piccolo appartamento con due posti letto per due carcerati. Nel 2006, con una convenzione con l'ATER, la Comunità gestisce due appartamentini per coloro che escono dal carcere e sono sulla strada. Attualmente continua la sua attività di accoglienza e fornisce settimanalmente la spesa alimentare a 35 famiglie grazie al Banco alimentare e ai prodotti in scadenza o mal confezionati dell' Ipercoop. Promuove a livello cittadino azioni di promozione umana e per la Pace.

Con l'inizio del 2009 ho lasciato la responsabilità legale e direzionale della Comunità  a mani più giovani e più valenti e mi sto dedicando al Volontariato penitenziario dei 5 carceri della Regione Friuli Venezia Giulia.

 

Conclusione

Ma faccio il prete? Non lo so. Alla domenica incontro quelle persone che fanno con me un cammino di fede secondo la strada suggerita dal Vangelo; sono persone che costituiscono la Comunità cristiana di base e si impegnano nella Comunità Arcobaleno, nelle associazioni di solidarietà e di promozione umana e in politica per cambiare e, se possibile, distruggere le cause che generano miseria per instaurare il Sogno di Dio Padre: un mondo di fratelli liberati dal male. Do una mano nelle parrocchie quando c'è richiesta particolare per battesimi, matrimoni e funerali. Sostituisco il cappellano del carcere nella celebrazione della messa domenicale quando è impegnato in altre parti come Direttore della Caritas.

 

Gorizia, 18 agosto 2009.

                                                   don Alberto De Nadai