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POPULORUM REGRESSIO 

Luciano Zannotti 

l’Unità 1 novembre 2009

 

Passata una fase di ambientamento e di rodaggio, contrassegnata a dire il vero da una presenza discreta e silenziosa nella curia fiorentina, mons. Betori ha deciso di farsi sentire colpendo in questi giorni la Comunità delle Piagge e specificamente don Alessandro Santoro, sollevato dal suo incarico pastorale ed “invitato a passare un periodo di riflessione” per aver celebrato un “finto” matrimonio (“atto di particolare gravità”), dopo che non molto tempo addietro lo stesso arcivescovo era intervenuto contro il Comune di Firenze, per avere attribuito la cittadinanza onoraria ad Englaro (“atto pretestuoso, offensivo e distruttivo”) e, più recentemente, per aver istituito il registro del testamento biologico (“atto ideologico e illegittimo”). Siamo dunque già al terzo “atto” di una storia già vista che la nemesi si incarica di presentare in condizioni e con personaggi diversi ma che sostanzialmente è la solita: torna il fantasma di mons. Florit. 

Ci sarebbero molte considerazioni da fare ma la prima è una domanda: come reagirà il mondo cattolico fiorentino più aperto e vicino alle istituzioni ecclesiastiche a quest’ultimo gesto censorio di mons. Betori? Quel mondo cattolico che – ricordo - poco più di un anno fa, “abituato male” dalla sensibilità pastorale di mons. Piovanelli e in attesa di chi doveva sostituire mons. Antonelli, aveva inviato una lettera aperta ai preti e ai laici manifestando il proprio “disagio” per la situazione della Chiesa fiorentina e chiedendo espressamente un nuovo arcivescovo che potesse abbandonare i “toni di condanna” e creare “un clima di serenità e di dialogo”. Disponibilità all’ascolto e creatività erano state in effetti le parole con cui l’arcivescovo Betori aveva salutato la Chiesa e la città di Firenze all’indomani della sua nomina, promettendo però ciò che per cultura e collocazione chiaramente non poteva dare.

La seconda osservazione riguarda il merito della vicenda che per lo Stato non presenta alcuna anomalia ma che per la Chiesa costituisce una violazione del diritto canonico ai cui fini don Alessandro risulta colpevole per aver simulato un sacramento, provocando – come sta scritto nella nota della diocesi fiorentina – “sconcerto e confusione nella comunità cristiana e nell’opinione pubblica, indotta a pensare che per la Chiesa siano mutate le condizioni essenziali per contrarre matrimonio canonico”. Ora, quello canonico è proprio l’ordinamento che si compiace di essere flessibile, di contrapporsi ad una visione mitica del diritto, di averne una concezione del tutto strumentale in vista di un bene più grande da tutelare rappresentato dalla carità cristiana. E’ appena il caso di dire che all’interno dell’ordinamento canonico esistono molti istituti che valgono in generale e che consentono persino la disapplicazione dei precetti quando essi risultino contrari al principio fondamentale di carità. Senza parlare poi dell’indulgenza che, come noto, i tribunali ecclesiastici manifestano proprio sulle “condizioni essenziali” dei matrimoni canonici in occasione delle cause di nullità per cercare di limitare la concorrenza di quelle statali in materia di divorzio.

Deus caritas est, così ha intitolato la prima sua enciclica Benedetto XVI: Dio è carità, la cifra dell’esperienza cristiana è la carità, la pietà, la compassione. Ma di questi tempi, evidentemente, la Chiesa ne fa uso con molta parsimonia e su ciò bisognerebbe tutti prendersi una bella pausa di riflessione.

 

*(l’autore è docente di Diritto canonico e di Diritto ecclesiastico all’Università di Firenze)