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Da Fabrizio Truini - Roma

 

Caro P. Simoni,

ho letto - grazie a Gianni Novelli, che lo ha girato agli amici - il ricordo tuo - e di Koinonia - di mons. Ablondi, con la richiesta di avere anche altre testimonianze. Ecco la mia, sia pur minima, e lontana nel tempo.

Conobbi mons. Ablondi nel 1957, quando era parroco a S. Remo, non in chiesa, ma in una libreria per la presentazione di un libro. Giovane liceale di Imperia, ero con il mio professore di Storia e Filosofia e presidente dei Laureati Cattolici, che mi aveva invitato e che lì mi stava consigliando di comprare "Umanesimo integrale" di J. Maritain. Il suo consiglio fu rafforzato in quel momento da quello di un sacerdote, quasi un'intimazione, anche se sorridente: era mons. Ablondi, cui venni presentato, e che mi ingiunse di leggerlo, perché - mi disse - un intellettuale cattolico non poteva ignorare il pensiero del maggior interprete del tomismo.

Quando gli ricordai quest'episodio, durante l'ultima Assemblea della CEI cui partecipava, rise di gusto e mi abbracciò e fu contento di sapere che da allora, anche in seguito agli incontri, da lui incoraggiati se non organizzati, con P. Enrico di Rovasenda, nel conventino domenicano di Taggia, avevo preso non solo a leggere Maritain, ma a studiare S. Tommaso.

Durante quegli incontri avevo avuto modo di apprezzarlo per la sua cordialità, schiettezza e naturale e coinvolgente simpatia, ma anche per la sua umiltà di discepolo di S. Tommaso, perché sul suo esempio si interrogava su come tradurre oggi non tanto il pensiero dell'Aquinate, quanto la verità del Vangelo. Non ebbi poi - per quaranta anni - più modo di rivederlo. Certo avevo appreso con gioia la sua nomina a vescovo ausiliare di Livorno e poi di tanto in tanto venivo a conoscenza dell'efficacia della sua missione pastorale, e anche delle spine dalle quali poi fu colpito. Ho sempre avuto il rimorso di avergli scritto, per manifestargli tutta la mia solidarietà e per ringraziarlo per la sua testimonianza di vescovo buono e intelligente. D'altra parte ero sicuro che egli non avesse mai perduto l'intima gioia cristiana, che lo contraddistingueva.

Ecco infine: lo ricordo sempre sprizzante di felicità, in particolare durante il terzo incontro significativo che ebbi con lui a Basilea per la prima Assemblea Ecumenica su Pace e Giustizia. Egli sperimentava come tutti, ma forse più di altri per l'impegno che aveva profuso sulle frontiere dell'ecumenismo, la primavera della Chiesa, che rinnovava quella del Concilio, che pur controcorrente cercava di portare avanti.

In particolare ricordo di averlo affiancato per alcuni momenti durante la processione che ci portò a superare i confini della Svizzera, della Germania e della Francia. Come Cristo, anche la Chiesa, mi disse, non dovrebbe conoscere confini.

Lo ricordo così con immutata simpatia oggi, quando, varcato il confine della morte, è giunto nella pace e nella luce della vita.

                                                                                                                                                                                                           Fabrizio Truini