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"OMISSIONI"

Comunità Cristiana di Base di san Paolo - Roma                                      22 novembre 2009

Gruppo Montesacro                                                  

Commento letto da Anna Maria Marlia

Delle parole scritte da Gentiloni ci interroga e ci fa riflettere il fatto che la memoria di Gesù, del suo percorso di liberazione, non è un fatto astratto, una narrazione di parole da ripetere, ma una storia di fatti accaduti. 

Rintracciare il messaggio che Gesù ha voluto lasciarci è quindi una ricerca immersa nella realtà, intrecciata con la nostra vita quotidiana, imbevuta dei problemi e delle sfide che ogni giorno ci troviamo davanti, anche dei nostri limiti.

Per questo è una memoria impegnativa; una memoria che non vive di parole dette o scritte ma ha bisogno della concretezza dei fatti, ha bisogno dei nostri gesti, per po-ter diventare quel modo di stare nella realtà che Gesù ha vissuto e ci ha insegnato, con  la sua vita.

Sono gesti che richiedono sforzo e sacrificio; certo sono gesti che, se compiuti, non ci lascerebbero  uguali a prima, che chiamano in causa la nostra responsabilità di donne e uomini.

Inoltre, ci sembra importante il fatto che questa memoria di Gesù non può essere un’elaborazione solitaria, individualistica: la memoria di Gesù, se vogliamo real-mente che non vada perduta, la possiamo conservare e far vivere solo in uno spazio di comunità, ovvero in scelte condivise, in azioni decise e realizzate non ciascuno per sé ma insieme.

Questo dovrebbe essere il senso profondo del nostro stare insieme, il senso dello spezzare il pane, che è gesto comunitario che assume significato se accompagnato da gesti di condivisione fuori della comunità.

Ed è in questo contesto comunitario che possiamo anche parlare delle nostre debo-lezze, dei nostri limiti, della pochezza del nostro agire. E’ qui che possiamo trovare le ragioni e l’energia per continuare insieme.

Riguardo all’impegno del fare, sollecitazione che ci viene dai vangeli sinottici attra-verso l’episodio del “samaritano”,  occorre metter in chiaro un nodo importante.

Oggi, fare beneficenza può essere anche un modo facile e allo stesso tempo  ambiguo per non guardare in faccia chi ci chiede aiuto: da un lato ci riempie di soddisfazione per la nostra generosità, dall’altro lascia immutate le cause che hanno prodotto la condizione di miseria e di solitudine di chi tende la mano di fronte a noi.

Questo non vuol dire che dobbiamo girare la testa e scegliere solo le strade di inter-vento capaci di modificare alla base le condizioni di disuguaglianza e di ingiustizia;

vuol dire che dobbiamo agire su due fronti, quello dell’aiuto al fratello o alla sorella che ci stanno di fronte e quello della battaglia per i diritti, per la giustizia, per la di-gnità umana. Attivarci con la stessa tenacia per il nostro vicino ferito e utilizzare tut-te le nostre conoscenze e capacità per cominciare almeno a spezzare la cappa di op-pressione e di disuguaglianza che genera le classificazioni e le differenze.

“Guardare negli occhi  i fratello o la sorella sofferente non è solo un modo di trovar-si sulla strada della salvezza, ma anche un modo di penetrare nella conoscenza di Dio.” Franzoni, “La solitudine del samaritano”

Guardare negli occhi il fratello e la sorella per dare ma anche per ricevere, attraver-so uno scambio che ci rende più consapevoli, che sviluppa la solidarietà come meto-do di vita.