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COMUNITA’ DI SAN PAOLO

 "LE TENTAZIONI"

Domenica 21 Febbraio 2010

A cura del Gruppo "Marconi"

 

Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo».Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano;e anche:essi ti sosterranno con le mani,perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «È stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo». Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato (Luca 4, 1-13).
 

Sullo sfondo:

•          La gestione politica fallimentare dell’Italia e del mondo

•          Le angosce e travagli della CdB relativamente alle differenze interne

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La tentazione è un crinale etico tra il bene e il male, ma ha senso per chi ha coltivato e continua a coltivare nella sua vita il principio del dubbio, per cui si ferma, tentenna, va avanti ma torna anche indietro; è attratto, umanamente, ora da una parte ora dall’altra, perché c’è una consapevolezza che esiste un bene e che esiste un male, che non sono così facili da identificare e districare.

 

Se è così, benedette le  tentazioni, vengano sempre e vengano in abbondanza: vuol dire che ancora esiste la consapevolezza del bene e del male.

 

Al di là della immediatezza semplificata delle parole del vangelo, per cui tutto sembra chiaro e ovvio, le scelte sono complesse, perché la vita è complessa.

 

La ricerca del bene, così, è un esercizio difficile: quante volte, pur avendoci riflettuto molto, prendiamo una decisione a fin di bene e…..ci accorgiamo di aver fatto il male o peggiorato le cose ?

Per chi ha figli questa è un’esperienza ben consolidata.

 

La tentazione è un interrogativo torturante su cosa sia il bene e cosa il male e questo tipo di lavorio non può essere condotto di corsa, ma richiede un fermarsi, richiede un tempo di riflessione, richiede una ricerca di confronto con sé stessi, richiede silenzio, richiede un deserto.

 

Questo interrogativo esistenziale è un archetipo dell’umanità.

 

Deserto è affievolimento di contaminazioni da sentimenti superflui oltre quelli fondamentali: il deserto lascia in piedi solo le fondamenta dell’esistenza.

 

Nella tentazione di Eva nel Giardino dell’Eden prevale l’immediatezza, manca la riflessione e l’attesa.

 

Nella tentazione di Gesù prevale l’attesa, l’approfondimento, il tempo, il silenzio.

 

Il vangelo propone, per Gesù, un modello semplificato, lineare, ma non sappiamo niente della sua vita interiore e delle probabili continue tentazioni. Semplicemente (cioè con troppa semplicità) preferiamo ignorarlo concludendo che Gesù era Dio e non poteva essere più tentato dopo queste famose tentazioni dei 40 giorni.

 

Troppo spesso, per evitare di ingenerare dubbi, negli altri e in noi stessi, si ignorano i travagli delle molteplici scelte e si procede con banalizzazioni semplificanti. è la situazione di rinuncia all’interrogativo del bene e del male; così, spesso aderiamo ad una verità pre-confezionata, una verità di comodo in cui credere ciecamente per non doverci pensare più e finalmente vivere in pace, rilassati, senza più tentazioni. I concetti di guerra-preventiva o guerra giusta sono esempi di questo accecamento della consapevolezza della tentazione. A questo punto non esiste più il dubbio e il conseguente lavorio interiore: prevale la difesa a tutti i costi di un’idea pre-impostata, pre-costituita, pregiudizievole, banalizzata, semplificata e semplificatrice della realtà, anche se ciò può portare a conseguenze drammatiche. Altri esempi di evidenti tentazioni sono: l’identità immigrato-delinquente, oppure mussulmano-terrorista, oppure magistrato-torturatore oppure spesa pubblica – spreco, oppure ebreo-razza inferiore, oppure palestinese – terrorista oppure tasse-soppruso, e così via all’infinito. Il dubbio è assai doloroso e affrontare la tentazione vuol dire affrontare i dubbi. Se non coltivo dubbi, non ho neanche tentazioni, cioè secondo una certa logica semplificatrice, se non ho tentazioni vuol dire che già vivo nella giustizia e verità.

 

Vediamo adesso come il racconto del vangelo ci presenta il comportamento di Gesù.

 

Gesù affronta il dubbio, cioè la tentazione; non la sfugge ma indica una modalità di fondo per affrontarla, che diventerà una modalità costitutiva del suo percorso di fede fino alla fine: il tempo, darsi del tempo unitamente al silenzio, alla preghiera e alla ricerca dell’essenziale, nel deserto o in solitudine.

 

Entriamo ora nel merito delle tre tentazioni che evidentemente sono simboliche cioè rappresentano una casistica primitiva da cui si originano tante altre possibili tentazioni.

 

La prima tentazione. Gesù non nega la necessità del pane e neanche nega che si possano fare miracoli a riguardo (vedere la moltiplicazione dei pani e dei pesci). Ma Gesù, nega la centralità della questione. Sembra voler dire che il mistero della vita è più ampio della vita fisica (che richiede il pane), è qualcosa che va oltre.

 

Seconda tentazione. Gesù accetta il punto di vista del tentatore – non lo rifiuta a priori: si fa portare in alto, osserva tutti i regni della terra, assapora il gusto del potere su di essi. Però comprende anche che perché questo accada dovrà scendere a tanti compromessi, fare tante alleanze, per poi tradirle per opportunismo; non avrà amici, ma solo nemici da cui guardarsi continuamente, anche dai figli, dovrà corrompere e farsi corrompere, dovrà manipolare la giustizia a suo favore, dovrà accantonare fondi occulti su cui non pagare tasse, dovrà gestire e incrementare a ogni costo il suo patrimonio, perché il potere esige tanto denaro, dovrà influenzare con ogni mezzo la mente degli altri, etc.

Così la risposta di Gesù è la centralità di Dio principio inequivocabile di compassione e giustizia senza compromessi. Anche in questo caso l’esperienza del deserto permette a Gesù di osservare (contemplare) tutte le cose (e le profferte) da una certa distanza, senza iniziare neanche un poco a esserne coinvolto. Possibilmente il movimento corretto di chi rimane invischiato nel compromesso è quello di fermarsi, di crearsi uno spazio interiore di silenzio e deserto dove potersi rifugiare per riflettere, per ricominciare da capo ogni volta.

 

Terza tentazione. Infine Gesù affronta la sfida della veridicità letterale e assoluta della parola “sacra”; questa promette salvezza fisica (si parla di mani, di piedi, di inciampi, di sostegni fisici): delle due una: o la parola funziona e allora è vera o la parola non funziona e allora è falsa. Gesù ha dimostrato di affidarsi alla parola e dunque si getti giù dal pinnacolo del tempio, dal luogo sacro per eccellenza, utilizzando una parola sacra come sua salvezza fisica. E qui chiaramente la tentazione è proprio quella di forzare le parole che asseriamo ispirate da Dio, ad una funzione diversa da quella per cui sono state prima sognate e poi pronunciate o scritte. C’è il tentativo di vincolare la parola ad una funzione apparentemente buona, la salvezza fisica, qui, ora e per noi. Ma la parola sacra ha, nella sua costituzione fondamentale, una funzione liberatrice in una dimensione difficile da comprendere, in un ambito profondo, esistenziale e anche molto reale.

Non appare un caso, quindi che il seguito del vangelo, dopo le tentazioni, ci presenti Gesù nella sinagoga, che cerca, nel rotolo di Isaia, il passo dove era scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me……….per proclamare ai prigionieri la liberazione……per rimettere in libertà gli oppressi…..…oggi si è adempiuta questa scrittura…..” . Dopo l’esperienza di deserto, Gesù è penetrato nell’incomprensibilità di Dio, nel mistero del bene e del male ma la gente intorno a lui lo rifiuta, perché si aspetta segni forti lì, subito, per loro e non per altri.

 

Queste letture ci invitano a fermarci, a fare la nostra personale esperienza di deserto, per avvicinarci alla comprensione del bene e del male.

La storia di liberazione non è una storia di fallimenti: è una storia che va sognata e attuata concretamente parlando linguaggi nuovi e usando strumenti di amore di cui intravediamo solo dei bagliori lontani. L’invito è a non spegnere questi lampi di amore solo perché lontani e incerti, ma a fermarci per contemplarli, farli nostri, e ricominciare da capo.