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da il manifesto del 6 gennaio 2010

SI È SPENTO IL VULCANO NEL VULCANO
LA SCINTILLA DI MARY DALY

di Luisa Muraro

Se Dio è l'uomo, l'uomo è Dio. Il divino patriarca castra le donne fino a che gli è permesso di vivere nell'immaginazione umana. Quando una cercatrice vede, nomina e agisce vegliardamente i suoi momenti/movimenti nel tempo, la sua conoscenza della Quarta Dimensione è ravvivata e lei stessa diventa più viva. Si riempie di ginergia ed è mossa dalla brama di balzare in avanti. È spinta a volare oltre nel futuro arcaico per irrompere nella Quinta Dimensione, dove può essere presente partecipando alla danza abbagliante dell'universo - l'armonia cosmica, la Quintessenza.

 

Di Mary Daly, per caratterizzare il suo pensiero, possiamo dire che fu filosofa e teologa. Sono etichette approssimative cui bisogna assolutamente aggiungere qualcosa, e mi è venuta in mente questa figura: un vulcano dentro un vulcano. Ogni suo libro, infatti, nasce dall'interno più profondo dei libri precedenti che di quell'interno erano ignari, nasce quindi come un libro interno e sconvolgente nei loro confronti. Penso al rapporto che ha, con La Chiesa e il secondo sesso apparso nel 1968, il successivo Al di là di Dio Padre (1973), e con questo il successivo Gyn/Ecology (1979) e con questo Pure Lust: Elemental Feminist Philosophy (1984). E' tutta una serie incalzante di titoli che non si è mai arrestata (il mio elenco arriva fin dove sono stata capace di seguirla), così come non si è arrestato il suo impegno femminista che l'ha portata per il mondo, nel dicembre 2002 anche in Italia per un giro di conferenze che sicuramente molte ricordano.

Ad ogni nuovo libro gli argomenti appaiono diversi, diverso è soprattutto il linguaggio. Ma si trattava, e lei lo ha spiegato, di una ripresa dell'ispirazione iniziale, che Daly faceva risalire alla presa di coscienza femminista interpretata con una crescente radicalità. Un giorno ha raccontato perché avesse dato il suo voto a Clinton, un uomo che a nominarlo le faceva storcere il naso. Lo ha votato perché lui e la sua coalizione rappresentavano la generazione degli anni Settanta e avevano perciò il merito di evocare un tempo memorabile per le donne. Con le sue parole: «Riportano alla luce un clima culturale in cui noi possiamo essere rievocate. Ci forniscono una piscina in cui possiamo nuotare». Bella questa immagine che accosta la gioia di un ricordo sentito come degno a quello che è l'acqua per i pesci. Non sorprende in bocca a una donna il cui impegno femminista ha abbracciato via via tutte le forme di vita mirando a rispondenze che si intravedono nel penultimo titolo da me citato, Gyn/Ecology. I suoi scritti, tolti quelli iniziali, rivelano una grande ricerca a livello di significante: una vera e propria lotta con la lingua come il biblico scontro fra Giacobbe e l'Angelo che dura tutta una notte, per strappare alla lingua segni e significati meglio rispondenti alla sua inesauribile presa di coscienza e alla rivoluzione che la libertà femminile comporta. Una sua frase è «abbiamo bisogno di simboli», che mi fa pensare a Simone Weil.

Una parola con cui ha molto lottato, fin dagli inizi, è Dio. Ricordiamo che fu per molti anni docente di teologia. Parla di questa lotta nella sua lunga risposta a un'inchiesta apparsa sulla rivista «Via dogana», nel n. 48 intitolato «Il Dio delle donne». Per cominciare corregge il titolo del suo libro che molti in Italia conosciamo meglio, Al di là di Dio Padre: «Dovevo dire semplicemente Al di là di Dio». Un matricidio ha affondato il patriarcato e la teologia, afferma; le donne hanno il dovere di indicare il matricidio patriarcale, che continua a ripetersi. Insomma occorre che noi, finalmente per sempre, provochiamo la morte di «Dio». E qui lei fa pensare a maestro Eckhart, e con lui vengono alla mente Margherita Porete e le altre beghine. Di loro parla indirettamente Mary Daly quando parla di quelle donne che, in pieno patriarcato, hanno captato una potenza femminile veicolata dal nome di Dio. Questo fatto - commenta - potrebbe indurci a qualche compromesso, ma non è consentito per una ragione precisa che è la salvezza della Terra: il nostro mondo viene distrutto dai seguaci di «Dio».

Questa commistione fra politica e religione (parole che la Daly non applicava a sé) so che non piace molti pensatori e militanti. In effetti su questo terreno forse, o senza forse, ai nostri giorni si sta facendo molta confusione. Ma io ho già incontrato prima che in Mary Daly in Simone Weil la tensione tra queste due sfere che la modernità tiene separate. E so che non genera né confusione né integralismo, perché al contrario essa ci comanda di affinare il nostro linguaggio e le nostre pratiche in funzione di un accostamento che fa scintille.

Si tratta di dare ascolto all'esperienza di una personalità che in alcune cose, non secondarie, eccedeva alle misure correnti e che si è dedicata a pensare la grandezza umana femminile. Come si intuisce dalla successione delle sue opere, Mary Daly non aveva certo la testa voltata all'indietro. La muoveva, con l'impeto di un vento di tempesta, non quello che era accaduto ma quello che a lei si presentava ora come possibile. Mi muovo, ci muoviamo verso il presente, ha detto di sé e del movimento femminista, con parole che sono di grande acume politico.

 


MARY DALY

La quinta dimensione delle antenate future

di Ida Dominijanni

Era il fatidico 1968 quando Mary Daly pubblicò «The Church and the second sex» («La Chiesa e il secondo sesso», Rizzoli 1982: il titolo citava esplicitamente «Il secondo sesso» di Simone De Beauvoir), con la denuncia, all'epoca scandalosa, del conservatorismo sessista del cristianesimo, che le valse immediatamente la derubricazione del suo insegnamento di teologia al College gesuita di Boston in un contratto a termine e, l'anno dopo, il licenziamento: gli studenti protestarono veementemente per quattro mesi e dipinsero di graffiti rossi l'edificio dell'amministrazione universitaria, 2500 persone firmarono una petizione in suo favore e il college fu costretto a reintegrarla a tempo indeterminato nonché a promuoverla a professoressa di etica femminista. Commentò Daly: «I giudici del mio libro non ne avevano mai scritto uno, né capivano il mio. Sedendo in giudizio per condannare il mio insegnamento, avevano però paura degli studenti che non sapevano che farsene del loro... Mi apparivano sempre più chiari gli stretti legami fra le strutture oppressive di una società patriarcale e la dinamica distruttiva che esse generano nelle loro vittime».

Nata a Schenectady (N.Y) il 16 ottobre 1928 da una famiglia cattolica di origine irlandese, Mary Daly si era laureata in religione nel Saint Mary's College dell'Indiana e negli anni '50 si era trasferita a Friburgo, in Svizzera, per frequentare un dottorato in teologia che nessuna università americana concedeva alle donne. Fu un'esperienza intensa - «Straniera in una terra straniera, lì mi sentivo libera» -, culminata nel '65 in un viaggio a Roma per assistere ad alcune sedute del Concilio Vaticano II: «C'era un esuberante senso di speranza», eppure il contrasto fra cardinali e vescovi «in vesti color cremisi» e le suore uditrici «con lunghe vesti nere e il capo velato», scrisse Daly, «s'impresse profondamente nella mia coscienza a caratteri di fuoco. Nessun film di Fellini avrebbe potuto superare quell'involontaria autoparodia del cattolicesimo». Tornata negli Usa, la «punizione» per «The Church and the Second Sex» non fu l'unico contenzioso con l'università: trent'anni dopo, nel 1999, fu di nuovo licenziata per il suo rifiuto di insegnare in una classe mista, che la magistratura non gradì.

Intanto aveva dato alla luce una mole di saggi e la sequenza quasi completa dei suoi libri - salvo «Amazon Grace: Re-Calling the Courage to Sin Big» del 2006 - diventati altrettanti testi cruciali per il femminismo radicale internazionale: «Beyond God the Father: Toward a Philosophy of Women's Liberation» nel '73 («Al di là di Dio Padre. Verso una filosofia della liberazione delle donne», Editori riuniti 1990), «Gyn/Ecology: The Metaethics of Radical Feminism» nel '78, «Pure Lust: Elemental Feminist Philosophy» nell'84, «Outercourse: The Bedazzling Voyage» nel '92, e infine «Quintessence. REalizing the Archaic Future: A Radical Elemental Feminist Manifesto» nel '98. In quest'ultimo testo, l'unico oltre ai primi due tradotto in italiano («Quintessenza», Venexia 2005), Daly dialoga con una interlocutrice immaginaria del 2048, nata all'inizio di una «era biofilica» di armonia ritrovata del creato, che la interroga sul passato patriarcale e sulla lotta delle antenate contro l'oppressione di sesso e di razza: un salto nella «quinta dimensione» di un futuro.