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“EMOZIONI SENZA SOSTA”

Rubrica "Tempi di sororità" a cura di Catti Cifatte

da Tempi di fraternità, Aprile 2009

Il 28 marzo scorso, dalle 16 del pomeriggio fino a notte, si è tenuta a Genova una singolare ed importante manifestazione non-stop, intitolata “Contro la violenza sulle donne: tornare a dire, a emozionare” organizzata da alcune associazioni femminili tra le quali la “redazione della rivista MAREA” e le associazioni di donne “Archinaute” e “Mafalda”.  Vi hanno aderito  33 soggetti tra associazioni culturali femminili, giornaliste/i, esperte/i del settore, uomini e donne  politici/he. In un susseguirsi di interventi, musica e teatro aperto nell’ampia “piazza coperta” del Palazzo Ducale, ci si è interrogate/i sul tema, ascoltate/i in un confronto aperto, si sono offerte al pubblico vario che frequenta il palazzo della cultura, rappresentazioni e proposte emozionanti e denuncie circostanziate,  rioccupando lo spazio pubblico con l'emozione della presenza dei corpi e delle parole, contro l'ignoranza e l'indifferenza.

Anche il gruppo donne della comunità di base di Oregina, ha dato il suo contributo specifico di riflessione da un punto di vista di donne diversamente credenti rispetto ad una forma tradizionale di appartenenza religiosa, citando e seguendo come traccia il bellissimo testo “Lacrime amare -  Cristianesimo e violenza contro le donne” della teologa Elisabeth Green  (edit. Claudiana - 2000).

In questo numero di Tds ritengo opportuno riportare ampi stralci del nostro intervento, frutto del lavoro di gruppo.

< E’ indubbio che la religione ha partecipato alla costruzione della presunta inferiorità della donna. in coloro che approfondiscono gli studi di genere e la condizione delle donne e degli uomini nelle diverse società con metodo storico-critico, non può non farsi avanti l’opinione che  le religioni, e quindi nella nostra società il cristianesimo, sia corresponsabile di una violenza millenaria.

Infatti, grazie al movimento delle donne e alla nascita di un’analisi di genere che sono avvenute al di fuori dei contesti religiosi, anche molte teologhe hanno indagato ed indagano a fondo il cristianesimo per scoprire come esso abbia partecipato alla costruzione della femminilità. In particolare recentemente ci si è concentrati molto sulla relazione tra cristianesimo e violenza contro le donne. Così la dichiarazione finale dell’incontro promosso dalla Commissione delle donne dell’Associazione ecumenica dei Teologi del terzo mondo afferma: “ Dobbiamo decostruire il discorso e la pratica religiosa che producono, conservano e legittimano la violenza contro le donne” .

Anche a causa di questi pronunciamenti interni alla Chiesa cattolica, il Papa aveva emesso nel 1995, prima della Conferenza mondiale ONU sulle donne di Pechino, la famosa “Lettera alle donne” nella quale, denunciò e condannò ogni forma di violenza, la cui colpa, disse,  ricade per intero sui maschi, ma nello stesso tempo contribuì a confermare una visione di sottomissione culturale ed ideologica delle donne, esaltando l’eroismo di quelle donne che, non praticando l’aborto, considerato comunque e sempre peccato, portano avanti la gravidanza frutto di violenza.

Il catechismo della Chiesa Cattolica (vedi Capitolo II° articolo 6°) del resto è oltremodo conservatore e rigido:

“La castità significa l'integrazione della sessualità nella persona. Richiede che si acquisisca la padronanza della persona. Tra i peccati gravemente contrari alla castità, vanno citati la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali.

La regolazione delle nascite rappresenta uno degli aspetti della paternità e della maternità responsabili. La legittimità delle intenzioni degli sposi non giustifica il ricorso a mezzi moralmente inaccettabili (per esempio, la sterilizzazione diretta o la contraccezione)”

Tali enunciati, fra i tanti, coinvolgono alcuni aspetti della morale, che occorre analizzare per esercitare una profonda lettura critica evolutiva dalla parte delle donne:

1) L’impostazione della dottrina della chiesa discende da una lettura letterale della bibbia e dall’adozione di  affermazioni dogmatiche. Sappiamo infatti che è lo stesso linguaggio usato nel libro antico che fa discendere la donna dall’uomo e quindi legittima la sottomissione della donna  come volere divino. Questa impostazione è stata usata dal potere per dominare e sottomettere tutti i soggetti più deboli tra cui le donne.  Una lettura storico-critica dei testi ci fa invece comprendere come la Bibbia sia scritta e riporti condizioni e modelli di una società patriarcale che  furono legittimati come modelli voluti da Dio e conservati nei secoli acriticamente.

2) Non nascondiamoci dietro un dito: è assodato che le gerarchie ecclesiastiche maschili hanno da sempre costruito un nesso tra la donna e il peccato. Secondo letture della bibbia utili a tale interpretazione la prima peccatrice fu proprio Eva che ha incarnato la peccaminosità femminile legata alla ingordigia ed alla lussuria: il contrario della castità tanto esaltata dal potere ecclesiastico. I padri della chiesa interpretavano il peccato di Eva in termini di sessualità; unire il peccato, la donna e la sessualità in un unico concetto è stata la logica conseguenza di una visione della donna come tentatrice perversa dell’uomo e quindi peccatrice per eccellenza e quindi punibile con ogni sorta di punizione.  

3) L’efficacia di un regime oppressivo si dimostra nella sua capacità di entrare nella coscienza delle persone fornendo loro l’unico senso interpretativo possibile: così le vittime della violenza, cercando di dare un senso alla loro esperienza, spesso la comprendono in termini della sofferenza presente nella loro fede, sofferenza di cui sono loro stesse, con il loro peccato, la causa prima! Una donna riferendosi ad una interpretazione masochistica del sacrificio può interpretare la sua sofferenza come una “croce “ da portare.  Nel corso della sua storia millenaria la teologia cristiana ha sviluppato diverse teorie di redenzione incentrate sulla croce di Cristo.

4) Il simbolo di Dio padre, proliferato nell’immaginazione umana e reso credibile dal patriarcato, a propria volta,  ha reso un servizio ad una società oppressiva facendo uso degli stessi meccanismi oppressivi:  ed  il ciclo si chiude perché si mischiano i ruoli ma la condizione della donna è sempre la stessa. Dice Mary Daly “Se Dio nel suo ( di lui) cielo è un padre che governa il suo ( di lui) popolo, allora è nella “natura” delle cose e conforme al progetto divino e all’ordine dell’universo che la società sia governata dai maschi. In tale contesto ha luogo una mistificazione dei ruoli:nelle relazioni sessuali il soggetto cosiddetto attivo, che generalmente è impersonato dal marito che domina la moglie,  rappresenta Dio stesso.”

5) L’amore come abbiamo visto è il primo valore, nella pratica esso si coniuga con il perdono diventando insieme i valori più nobili dell’umanità. Sembrerebbe che nei loro confronti non ci sia niente da ridire. Eppure anche l’amore per il prossimo ed il perdono sono stati declinati in un ordine sociale e simbolico  patriarcale che vede le donne in posizione sacrificale, di massima disponibilità alla sopportazione paziente della violenza. L’amore predicato in modo distorto rischia infatti di sminuire l’autostima della donna creando e confermando in lei dei modelli di femminilità passiva. “Ama il tuo prossimo” e “ama il tuo nemico” diventano automaticamente per la donna: ama colui che ti ha fatto del male, dimenticati di te stessa e sacrificati per lui. Non è un caso che sull’altare sacrificale venga portata ad esempio Maria Goretti che perdonò il suo stupratore.

6) Le chiese cristiane non sono solo responsabili di ciò che hanno fatto  bensì anche di ciò che hanno omesso di fare. Le chiese cioè pur indignandosi per una serie di atti immorali non hanno preso posizione chiara contro la violenza di cui le donne sono oggetto, se non negli ultimi tempi a causa del crescente movimento delle donne all’esterno delle chiese. In altre parole le chiese hanno mantenuto il silenzio, consentendo alle posizioni maschiliste di radicarsi nelle coscienze e formandone una posizione consolidata di arroganza e di potere soprattutto in ambito domestico. Secondo la tradizione Giudaico-Cristiana alle donne era stato negato il diritto di parola nelle pubbliche assemblee e la storia del cristianesimo è costellata di negazioni alle donne, di imposizioni del silenzio, di nascondimento del femminile, di sottomissione di ruoli, di abusi maschili, di misoginia, di tabù e disprezzo per la sessualità femminile. Il peccato di omissione ha riguardato quindi coscientemente, anche la crescita irresponsabile dei ruoli maschili nella società e nella cultura: questo è ciò che ha inciso di più nella formazione degli uomini.

Le donne quindi versano lacrime amare non solo per i lividi e le cicatrici che portano sul loro corpo, ma anche a causa di una chiesa che è stata per lungo tempo e lo è ancora, complice delle violenze contro le donne. Noi donne grazie al movimento di liberazione, agli strumenti di critica e alla nuova coscienza femminile abbiamo conosciuto questo sopruso e diciamo che oggi più che mai è vero per noi donne diversamente credenti il motto: “usciamo dal silenzio”.

E’ ora che anche nelle chiese si legga diversamente  il messaggio cristiano di liberazione, lo stesso messaggio che “come si narra” venne portato dalle donne per prime dopo la morte di Gesù di Nazareth. Il cristianesimo infatti è anche momento di speranza di un futuro nel quale Dio-Dea asciugherà ogni lacrima, come si dice nell’Apocalisse.

Ma attenzione noi non pensiamo che sia una azione divina, dall’alto, quella che risolverà le cose: pensiamo che sia doveroso da parte di tutte e di tutti agire per una conversione autentica ed una efficace azione di corresponsabilità e di trasformazione delle relazioni tra uomo e donna ed anche tra donne a cominciare dalle relazioni domestiche e dalle piccole comunità sociali.

Ad ognuno dei concetti sopra esposti vogliamo contrapporre la nostra visione che è la nuova visione delle donne: alla sottomissione delle donne, la libertà delle donne; alla peccaminosità femminile, il valore della nostra sessualità; alla sofferenza come fonte di salvezza, la gioia della scelta e dell’autodeterminazione; alla figura di Dio padre sostituiamo, nella scia della tradizione sapienziale, un divino come madre; all’amore e perdono anteponiamo sicuramente la denuncia e la giustizia, ed in fine invece del silenzio noi ci prendiamo, tutte le volte possibili,  la parola.>

Genova, 5 aprile 2009