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DIO COME MADRE

Rubrica "Tempi di sororità" a cura di Catti Cifatte

da Tempi di fraternità, Marzo 2009  

E’ come se fossimo in viaggio, ogni tappa del nostro percorso m’impone una riflessione e scandisce il tempo della rubrica mensile: in questo numero vorrei tornare a riflettere sulla connotazione sessuata di Dio.

Quando alcune teologhe ci invitano ad andare “al di là di Dio padre”(Mary Daly) o a considerare “il mondo come il corpo di Dio” generato da un “Dio come Madre” (Sally Mc Fague), esse mirano a proporci la dimensione più ampia e nello stesso tempo più concreta possibile del divino, quindi ci sfidano ad aprirci all’inclusività ed alla comprensione delle diversità sessuali per permettere a ciascuna e ciascuno di noi un radicale cambiamento di paradigma che si traduce in un processo di decostruzione dei “credo” delle religioni patriarcali e, conseguentemente, in un'evoluzione positiva e benefica per tutti e tutte della concezione del divino e del sacro nella circolarità della relazione interpersonale e con il creato.

 In questo percorso per molte di noi, amiche con le quali ormai da alcuni anni va avanti la ricerca sul divino, è ben difficile avere come punti di riferimento le parole o le espressioni ormai scontate dei vertici delle gerarchie ecclesiastiche o teologiche, la distanza dai quali si fa sempre più ampia, per misurare invece il nostro nuovo modo di sentire alla luce dell’elaborazione teorica e pratica della teologia femminista e dell’esperienza di relazione tra donne.

Purtroppo, a volte, siamo costrette a ‘tenere le distanze’ anche da uomini che ci stanno più vicini, allorquando constatiamo che essi non prendono nemmeno in considerazione il punto di vista di genere e trascurano deliberatamente il ruolo delle donne, nella società, nelle comunità religiose con riferimento sia alla realtà presente sia alla storia passata ed alla cosiddetta tradizione, pur sapendo che la novità della lettura ‘sessuata’ dei testi, ormai più volte richiamata da noi donne in ogni occasione di confronto, porta ad un reale processo di cambiamento sicuramente liberante per tutte e tutti. 

Penso, per fare un paragone, che quando si cominciò a leggere i testi sacri con il metodo storico critico, fu una vera e propria rivoluzione culturale che rese maggiormente possibile la comprensione e la relativizzazione del messaggio. Oggi questo processo critico, già acquisito, va integrato con una lettura di genere che contribuisce a completare la conoscenza storica ed antropologica dei messaggi scritti e parlati per darne sensi e significati compiuti ed inclusivi.

Queste mie considerazioni sono motivate dall’aver sperimentato, ormai da diversi anni ma purtroppo quasi esclusivamente nei gruppi-donne, l’esperienza di un'esegesi fondata sulla cosiddetta ‘ermeneutica critica femminista’(E.Schussler Fiorenza “In memoria di lei” Claudiana), un metodo di analisi storico-critica che ormai è entrato in uso tra noi donne e che ci fa veramente capire i testi, da quale mano sono scritti e con quali finalità, nell’ottica di fornire alle donne una prospettiva concreta di liberazione.

E’ senz’altro un buon sistema di decostruzione e ricostruzione indotta, ma occorrono sempre maggiori studi ed approfondimenti ulteriori nella consapevolezza che, proprio il processo in atto, che è anche politico, non possa smentire se stesso inducendo ad altre e diverse definizioni ‘dogmatiche’, e che ovviamente non è possibile continuare lo stesso viaggio se non in compagnia degli “uomini in cammino”.

Inoltre visto che siamo in un periodo molto difficile, caratterizzato qui in Italia da presenze ai vertici delle istituzioni di soggetti che sono portatori o inducono ad atteggiamenti di violenza verso le donne, ciò non deve essere in alcun modo una scusante o un alibi per non attuare in ogni occasione il cambiamento auspicato; semmai uno stimolo maggiore! Infatti è chiaro che si tratta di violenze di tutti i tipi e quindi non solamente di stupri o omicidi, che tragicamente si vanno giorno dopo giorno moltiplicando proprio a causa di violenza di costumi, di cultura, di parole e fatti sociali e che hanno presa specialmente sulle giovani generazioni alle quali vengono trasmessi concetti e ruoli stereotipati, etichettature di subalternità femminile e supremazia maschile, logiche di dominanza e possesso da parte dei maschi siano essi padri, mariti, fratelli, amanti o compagni di lavoro, che finiscono per identificare le donne con il loro corpo considerato, questo, al solo scopo di soggezione sessuale o contenitore vuoto di procreazione. Chi ha dunque responsabilità in tutto ciò? Non certo le donne, anche se devono fare la loro parte per cambiare.

E’ infatti dalla costatazione della recrudescenza con cui oggi i fondamentalismi e il patriarcato stanno, letteralmente, rinsaldando le fila, che ci si debba decidere al cambiamento. A noi donne dico, contestualmente, che ritengo giusto riservare attenzione, stringere necessarie alleanze con quegli uomini la cui particolare sensibilità ha fatto sì che si collochino dalla parte delle donne e che abbiano preso coscienza della propria parzialità di genere e scelto quindi un cammino controcorrente, di condivisione, rispetto reciproco, profonda considerazione e valorizzazione sessuale.

Avverto anche positivamente come tra noi donne delle cdb,  grazie al significativo processo di ricerca teologica ‘alternativa’, sta prendendo campo una esperienza nuova del ‘sacro’ rapportato alla nostra fisicità negata, e legato ad  una diversa espressione del divino, un divino inedito, che è da ricercarsi in contesti di vicinanza ed affinità, ma anche distanziato e talvolta in ombra, per consentirci di riconoscere i nostri limiti e spingerci nella sua ricerca. Per molti secoli sono state messe da parte, denigrate e demonizzate dalle religioni patriarcali, le espressioni religiose delle donne, in quanto peccaminose, e dissacranti; oggi dopo una riscoperta della nostra sensibilità, del nostro corpo e della nostra sessualità, non abbiamo più paura di parlarne e siamo in grado di rileggere molte componenti del nostro sentire e della nostra vita seconda un’ottica positiva, con un animo aperto.

Dunque per garantire un futuro di autenticità religiosa e per proteggere le donne nelle loro manifestazioni sacre ci spingiamo a proclamare che ‘le streghe’ avevano ed hanno ancora oggi un messaggio da portare e divulgare, non solo nel buio della notte ma anche alla luce del sole: in questo nuovo approccio ci aiutano le numerose studiose femministe ed in particolare nel nostro contesto culturale le teologhe più avanzate.

Dice Sally Mc Fague in “Modelli di Dio” (ed. Claudiana ): “Sembra che la ragione più fondamentale del disagio nei riguardi delle metafore femminili per parlare di Dio sia che le metafore femminili, a differenza di quelle maschili appaiono vistosamente sessuali ed implicano la sessualità più temuta: la sessualità femminile.

Vi sono almeno tre temi sollevati qui che occorre analizzare brevemente. Primo parlare di Dio come padre ha ovvie connotazioni sessuali (come è evidente nel linguaggio trinitario della “generazione” del Figlio dal Padre); data però la preoccupazione della tradizione ebraica di distinguersi dalle religioni della Dea e dai culti della fertilità, come pure l’antica e profonda tensione ascetica del cristianesimo, le implicazioni sessuali dell’immaginario paterno sono rimaste mascherate.

Questo conduce al secondo punto: l’appariscente sessualità delle metafore femminili. E’ introducendo le metafore femminili su Dio che la sessualità delle metafore sia maschili che femminili diventa evidente, sebbene, avendo noi familiarità con le proiezioni dell’immaginario maschile, sembri che soltanto le immagini femminili siano sessuali. In altre parole, il trauma di un linguaggio non convenzionale su Dio – l’immaginario femminile – ci scuote, dandoci coscienza che, se ci prendiamo come modello per parlare di Dio, non vi è un linguaggio neutrale di genere, perché siamo esseri sessuati. Quindi il linguaggio tradizionale su Dio non è “asessuale” ma, al contrario, è “maschile”.

Il terzo punto – la paura ed il fascino associati alla sessualità femminile - è collegato ai primi due: la sessualità femminile non sarebbe  così temuta, sospetto, e non la si sarebbe trovata così affascinante, se la sessualità, sia femminile sia maschile, fosse stata accettata in modo più aperto e più sano, come un bene e come una maniera importante di prendere a modello l’attività di Dio in rapporto al mondo. La sessualità è considerata in questo modo in molte religioni, e il pensiero occidentale, incluso il cristianesimo, con la sua visione distorta della sessualità femminile e con la sua riluttanza ad immaginare Dio in termini femminili, ha molto da imparare da queste fonti.”

Per la teologa la rilettura del mondo a cominciare dalla sua creazione, dalla concezione genitoriale del divino, dalla nascita degli esseri viventi ed aggiungo io, dalla loro morte, dall’alternanza del giorno e della notte, dalla presenza del vuoto e del pieno, dalla costatazione del cosiddetto male e del cosiddetto bene, dagli opposti e dagli accostamenti, ci induce a pensare al divino presente attraverso una pluralità di soggetti e di condizioni, tutte da interpretare e da scandagliare: tra i diversi modelli di Dio mi sembra significativo soffermarmi su “Dio come madre”:

“(…) il modello di Dio come madre suggerisce un tipo di creazione molto diversa, in linea con l’idea del mondo come corpo di Dio che la tradizione dominante non ha voluto prendere in considerazione. Ed è chiaramente il genitore madre il candidato più forte a una comprensione della creazione plasmata dall’essere divino, perché è l’ immaginario della gestazione, del dare la vita e dell’allattamento che crea un quadro immaginativo in cui la creazione è profondamente dipendente e custodita dalla vita divina. Semplicemente non abbiamo a disposizione un altro immaginario che abbia questa forza per esprimere l’interdipendenza e l’interrelazione di tutta la vita con questo fondamento. Tutti/e  noi, femmine e maschi, abbiamo l’utero come prima casa, tutti/e noi siamo nati dai corpi delle nostre madri. Quale immaginario migliore potrebbe esservi per esprimere la realtà più fondamentale dell’esistenza, e cioè che viviamo, ci muoviamo e siamo in Dio? (…) La forza del modello genitoriale per esprimere l’amore creativo, agapico di Dio comincia con l’immaginario della nascita”. Ed ancora: “ Un quadro immaginativo alternativo emerge proprio dal modello di Dio come madre: il tipo di creazione che si adatta a questo modello è una creazione non come atto intellettuale o estetico, ma come evento fisico: l’universo prende corpo da Dio, esprime l’essere stesso di Dio. Non è qualcosa di alieno o di altro da Dio, ma vien dall’ “utero” di Dio, formato attraverso la “gestazione”.

 Come non pensare che il modello di Dio come madre sia quello che maggiormente garantisce l’affinità tra Dio e il suo corpo-mondo, del quale gli esseri umani sono solo una parte? La prima conseguenza sarà quindi l’oggettiva difficoltà a ‘distaccarci’ dalla genitrice, ma nello stesso tempo la necessità dell’imparare a volare da sole/i.

Genova, 11 febbraio 2009