XXVII Incontro nazionale delle Cdb italiane

Formia 1-3 novembre 2002

In questa sezione sono raccolte la scheda predisposta dal Collegamento nazionale per il Forum iniziale e  le schede elaborate dalla Cdb responsabili dei laboratori

A) Scheda Forum

1) la Bibbia come liberazione o come origine dei fondamentalismi?

                                   (Viottoli-Pinerolo);

2) Conformità e ricerca critica nell’ambito delle ‘religioni del Libro’ (San Paolo-Roma);

                                  3)  Donne e fondamentalismo (Comunità di Oregina  Genova                                 

4) Le religioni fra pace e guerra (Isolotto-Firenze);

                                    5) Laicità oltre il Laicismo (Controinformazione ecclesiale, Roma);

                                    6) Giovani (Redazione di Oltre)

 

A)                 Scheda Forum

Nell’economia dell’Incontro il Forum costituisce lo spazio per collocare la nostra riflessione sui fondamentalismi nel quadro dei processi reali e nel vivo del dibattito che li rappresenta.

 

A tale scopo è stata sottolineata l’opportunità di aprire il Forum  ai contributi e alle testimonianze esterne alla realtà delle CdB.

Tali testimonianze devono essere chieste a personalità  che vivono intensamente, seppure criticamente, le loro esperienze religiose e di fede, e i loro orientamenti ideali e culturali, e non rifiutano l’identità che ne deriva, ma sono critici verso il fondamentalismo anche nelle forme che assume all’interno della cultura nella quale si riconoscono. Ci si muove ovviamente nell’ipotesi: a) che il fondamentalismo non sia presente solo nelle esperienze/istituzioni religiose, ma anche negli orientamenti culturali e nelle organizzazioni che se ne dichiarano estranei, b) che in tutte le forme da esso assunte siano presenti i pregiudizi della cultura patriarcale. Nelle culture e negli orientamenti oggi prevalenti sono ancora irrilevanti i tentativi di ripensarli alla luce del valore della differenza di genere proposto negli ultimi decenni dal movimento delle donne.

 

Dal Forum dovrebbe emergere, senza facili irenismi o sincretismi di facciata e sulla base di concrete esperienze (piuttosto che di astratte enunciazioni teologico-filosofiche) se è pensabile che una collaborazione, certamente dialettica, tra i diversi orientamenti culturali e religiosi possa contribuire e in quali forme

-        a ridurre le intolleranze e i conflitti prodotti dai fondamentalismi nelle loro diverse forme

-        a promuovere un generalizzato confronto con la differenza di genere

-        ad evitare l’uso “politico” delle religioni e la mistificazione ideologica dei conflitti d’interessi in una prospettiva di secolarizzazione e di democrazia

-        a favorire la convivenza pacifica, la contaminazione delle culture e l’integrazione dei popoli e delle etnie

-        a promuovere la ricerca di forme non violente per sanare o “congelare” i conflitti inevitabili

-        a costruire un’etica condivisa fondata sulla responsabilità verso la specie umana che ormai la planetarizzazione e gli sviluppi tecnologici condannano all’estinzione se gli inevitabili conflitti continueranno ad essere risolti con la guerra e se la legittima espansione della qualità della vita non si misura con la quantità delle risorse ambientali disponibili.

Agli invitati si chiederà che non si limitino a un’esposizione del loro pensiero ma  siano disponibili a interloquire (ordinatamente!!) attingendo prevalentemente alle loro esperienze e incalzati dal moderatore sulla base di questi interrogativi.

I Fondamentalismi 

L’origine storicamente definita del termine e l’uso indiscriminato che se ne fa (si parla di fondamentalismi,  animalista, ambientalista ….del mercato) lo rendono equivoco? E’ legittimo confonderlo con l’integrismo, l’integralismo, il tradizionalismo, il conservatorismo …?

Il F. minaccia tutte le religioni o il F. è intrinseco a tutte le religioni ? – I F. religiosi generatori o conseguenze di problemi economici – I F. religiosi e le diverse condizioni di genere –

La responsabilità dei cristiani e della Chiesa Cattolica – I F. “laici” sono  e perché diversi da quelli religiosi (meno dogmatici, non hanno lunga vita, ecc)? – F. e secolarizzazione, diritto al dissenso e all’eresia. - Cosa vuol dire essere eretico oggi?

Etica Planetaria o della responsabilità?

Accezione negativa del primo termine termine (omologazione, globalizzazione avanzata) – Bisogna parlare di bisogni o di valori ? – Si può parlare di etiche compatibili? – Gli irrinunciabili: ci sono, ci devono essere, quali ? – Quali rapporto tra valori e diritti. - Quali sono i minimi sui quali costruire i diritti (sul piano istituzionale) – Rivendicazione dei diritti di genere - Chi gestisce la rivendicazione dei diritti ? (rapporto violenza – non violenza) - Chi ne garantisce l’agibilità – Scontri di civiltà) - Quale responsabilità hanno gruppi, donne/uomini (di fede)?

 

 

B) Materiali per i laboratori
 

 

1) Laboratorio

 

La Bibbia come liberazione o come origine di fondamentalismi?

Comunità cristiana di base di Pinerolo

 

Riflessione introduttiva: “Per una lettura  biblica oltre i fondamentalismi

 

Siamo consapevoli che il primo fondamentalismo con cui oggi ci troviamo a fare i conti è il “fondamentalismo imperiale” (Tariq Alì, Lo scontro dei fondamentalismi, Rizzoli) del pensiero unico: “Fuori del mercato non c’è salvezza” (Concilium 2/2000, Fuori dal mercato non c’è salvezza, Queriniana.)

 

La storia del fondamentalismo che dal protestantesimo di fine ‘800 ha invaso il cattolicesimo e l’ortodossia registra un passaggio ed una estensione dal piano biblico alla dimensione dogmatica. Sono preziose le ricostruzioni storiche di Enzo Pace – Piero Stefani (Il fondamentalismo religioso contemporaneo, Queriniana), di Enzo Pace – Renzo Gualo (I fondamentalismi, Edizioni Laterza), di Basssam Tibi (Il fondamentalismo religioso, Bollati Boringhieri).

 

Nel ricostruire la storia del fondamentalismo religioso rimane centrale l’attenzione al dato culturale e politico: il fondamentalismo come reazione alla modernità in tutte le sue dimensioni. Significativa l’organizzazione e l’articolazione sociale del neofondamentalismo (La Maggioranza  Morale e la Christian Coalition).

 

 

“Il fondamentalismo nasce nel mondo protestante, come corrente teologica che prende forma alla fine dell’ottocento negli Stati Uniti d’America, in opposizione alle tendenze della teologia liberale già manifestatesi in Europa. Il dibattito teologico si incentrava sul modo di interpretare la Bibbia: mentre i teologi liberali pensavano che fosse necessario utilizzare tutti gli strumenti critici delle moderne scienze umane per purificare il testo sacro dalle mitologie e dai condizionamenti storici che in esso si erano venuti sedimentando, i teologi conservatori si opponevano con forza a questa tendenza perché ritenevano che l’apporto della scienza moderna avrebbe finito per alterare l’integrità della verità depositata nel libro sacro.

 

Se il conflitto fosse rimasto nel ristretto ambito teologico, probabilmente non avremmo assistito alla nascita di veri e propri movimenti sociali organizzati su basi religiose. In realtà la discussione fra teologi ebbe subito una vasta eco nel mondo dei credenti delle chiese evangeliche e gli effetti sociali della disputa astratta divennero presto materia concreta di conflitto sociale ed ideologico.

 

I teologi conservatori statunitensi, infatti, presero ufficialmente posizione contro le nuove mode interpretative del testo biblico in una conferenza che si tenne nel 1985 a Niagara Falls. Alla fine dell’incontro essi redassero un documento che costituisce l’atto di nascita del fondamentalismo protestante. I punti nodali che vennero solennemente ribaditi furono i seguenti:

a)             assoluta inerranza del testo sacro;

b)             la riaffermazione della divinità di Cristo;

c)             il fatto che Cristo sia nato da una vergine;

d)             la redenzione universale garantita dalla morte e resurrezione di Cristo;

e)             la resurrezione della carne e la certezza della seconda venuta di Cristo.

 

Come si può notare il primo punto costituisce in verità il criterio supremo – la grande norma ermeneutica – che consente di distinguere l’atteggiamento religioso di tipo fondamentalista rispetto ad altri più aperti all’uso del metodo storico-critico nell’esegesi della Bibbia. L’applicazione del metodo storico-critico, secondo la linea sostenuta dai teologi fondamentalisti del manifesto di Niagara Falls, comportava gravi rischi teologici: metteva in discussione verità consolidate e, nel tentativo di comparare la rivelazione cristiana con altre religioni coeve o antiche, ridimensionava o peggio revocava in dubbio dogmi centrali, come per esempio la verginità di Maria, o, infine, finiva per presentare in forme troppe umane la figura divina di Cristo.

 

Per avere un termine di confronto in campo cattolico basterà ricordare che la tendenza liberale e modernista si farà strada nell’ottocento anche fra teologi cattolici. Nel 1907 il modernismo verrà, infatti, condannato da Pio X nell’enciclica Pascendi.

 

La dichiarazione dell’inerranza integrale del testo sacro, inoltre, veniva a significare per il mondo protestante l’affermazione dell’esistenza di una autorità incontrovertibile: la Bibbia. Il libro sacro veniva in tal modo a configurarsi non più come un libro aperto rispetto al quale il credente si dispone a comprendere la rilevanza della Parola “qui ed ora”, concedendo perciò a chi la interpella il diritto ad interpretarla alla luce della storia che muta, ma come una istituzione perenne, un corpo di dottrine immutabili che l’essere umano non può interpretare senza porsi costantemente il problema del rispetto della verità incontrovertibile contenuta nello stesso testo sacro.

 

Infine, è opportuno soffermarsi sull’ultimo punto del manifesto di Niagara Falls: il richiamo alla certezza della seconda venuta di Cristo. Si tratta di un motivo teologico che diventa ricorrente agli inizi dell’ottocento nel mondo protestante, grazie ai movimenti di risveglio evangelico tanto in Inghilterra che negli USA. Stiamo parlando del millenarismo.” (Enzo Pace – Piero Stefani, Il fondamentalismo religioso contemporaneo, Queriniana - pag. 25-28).

 

 

Il fondamentalismo è ”imparentato” ma non perfettamente coincidente con “evangelical”, integrismo, integralismo, conservatorismo, tradizionalismo, letteralismo. La  stessa lettura della Dichiarazione di Ligonier (1973), di Chicago del 1978 e di Chicago del 1982 su autorità, ispirazione e inerranza  della  Scrittura mettono in luce non solo il significato del vocabolo “fondamentalismo”, ma anche l’animus profondo che attraversa e caratterizza il movimento che, comunque, rimane variegato.

 

Molti studi (già dal classico “dialogo” Peterson-Ruggieri edito dalla Queriniana nel 1983) mettono in crisi la vecchia affermazione secondo la quale i fondamentalismi  troverebbero il loro terreno di cultura solo nelle religioni monoteistiche. Anche la storia recente dell’induismo e del sikhismo (etnofondamentalismo)  sembra orientare oltre le religioni monoteistiche e allargare il quadro.

 

Possiamo continuare a ripetere che il cristianesimo è una “religione del Libro”? La Bibbia o la Sacra Bibbia? Non si tratta di spaccare il capello in due, ma di cogliere alcune possibili implicanze e accentuazioni.

 

Il fondamentalismo sia biblico che dogmatico esercitano un fascino: “E’ scritto così”, “la Bibbia dice”, “tu ti vuoi aggiustare la Bibbia a piacimento”, “la Bibbia deve essere letta  con semplicità”, o “a forza di interpretare si stravolge e si vanifica la Parola di Dio”…

 

Come dialogare con le esperienze e le persone di cultura fondamentalista?

Attenzioni, conoscenze, valorizzazione delle loro preoccupazioni….

Come documentare la necessità dei processi ermeneutica?

 

E’ possibile privare il messaggio cristiano della esclusività? Come leggere oggi i linguaggi esclusivisti della Bibbia?

Come rileggere alla luce della cultura del dialogo interreligioso la teologia e la pratica pastorale delle “missioni”? Come valorizzare la “svolta ermeneutica” della teologia? Come utilizzare recenti studi (Claude Jeffré, Credere e interpretare, Queriniana – François Vouga, Il cristianesimo delle origini, Claudiana)?

 

In una stagione ecclesiale in cui il fondamentalismo si coniuga spesso con ambigui “ritorni del sacro”, con il fanatismo, con il marialesimo e la papolatria, può essere utile distinguere accuratamente tra radicalità cristiana e fondamentalismo.

 

Organizzazione del laboratorio

 

Venerdì

Ø      Illustrazione della “riflessione introduttiva”, presentazione dei testi biblici su cui verrà condotta l’analisi: Marco 16, 4-18; Atti 4, 1-12; Matteo 21,33-46

Ø      suddivisione in sottogruppi e confronto sui testi

Ø      breve plenaria del laboratorio

 

Sabato

Ø      presentazione dei testi biblici su cui verrà condotta l’analisi: Giovanni 11, 1-44; Efesini 5,21 - 6,9

Ø      suddivisione in sottogruppi e confronto sui testi

Ø      analisi e confronto di tutti i partecipanti al laboratorio sulle esperienze e modalità di lettura biblica nei singoli gruppi e realtà comunitarie di provenienza

 

ALLEGATO: Scheda introduttiva alla tematica dei fondamentalismi da cui siamo partiti/e nella nostra ricerca in occasione della due giorni comunitaria di spiritualità del 31 agosto e 1 settembre scorsi

 

 

Intanto esiste sul termine fondamentalismo una controversia non irrilevante. Sovente si corre il rischio di usare il termine come un’etichetta apposta in modo non appropriato su realtà differenti e in contesti diversi (integrismo, integralismo, tradizionalismo, conservatorismo …)

La prima avvertenza da seguire è di parlarne al plurale, consapevoli che ogni analisi va poi compiuta al singolare, cioè dentro un particolare contesto.

 

Le diverse teorie sul fenomeno “fondamentalismo”:

-       il Fondamentalismo  come reazione alla modernità;

-       il Fondamentalismo  come espressione della crisi della modernità;

-       il Fondamentalismo  come ripresa dell’utopia dello Stato etico;

-       il Fondamentalismo  come rivincita di Dio.

 

Origini storiche del fondamentalismo in ambiente protestante e suoi sviluppi nel neofondamentalismo contemporaneo.

Il “progetto educativo” del neofondamentalismo.

Esiste un’istanza positiva dentro i vari fondamentalismi? Quale? Dove avviene la “svolta patologica”?

 

La “globalizzazione” del mercato è una nuova forma di pensiero unico che abbraccia tutti gli ambiti dell’esistenza e tutti gli “spazi” geografici. Globalizzazione come fondamentalismo laico che si riveste di sacralità (la difesa dei valori, della civiltà, …)

Globalizzazione  - ideologia  - fondamentalismo - idolatria.

Parentele tra patriarcato e fondamentalismi. La cultura della guerra.

 

I fondamentalismi delle tre religioni sorelle: ebraismo, cristianesimo, islam. Dalla religione dell’amore alla “religione del Libro” e del dogma.

 

Occorre un’attenta analisi del fondamentalismo cattolico (sue basi, sue maschere, i movimenti cattolici tra fondamentalismo biblico e cultura del mercato, dell’azienda). Fondamentalismo e dogmatismo nel “Catechismo della chiesa cattolica”. Tradizione e tradizionalismo. Tradizione come antidoto al fondamentalismo.

 

Il fondamentalismo nelle religioni dell’India contemporanea (Hinduismo, Sikhismo …). Esiste un fondamentalismo buddhista? Il fascino dei fondamentalismi.

 

 

 

2) Laboratorio

Conformità e ricerca critica nell’ambito delle ‘religioni del Libro’

Comunità di San Paolo                                                                            

Scheda di presentazione

 

L’idea del tema di questo laboratorio è nata nelle riunioni di comunità in cui si è discusso l’argomento che si andava delineando per l’Incontro nazionale: i “fondamentalismi” religiosi e la contrapposta ricerca, se non proprio di un’etica universale, almeno di “frammenti di valori” che si possano condividere e che possano portare un barlume di speranza per il futuro dell’umanità.

Per quanto ci riguarda,  tenendo conto del nostro percorso dal Concilio Vaticano II ai giorni nostri, ci siamo soffermati sulla esigenza di ricercare se esista qualche esperienza simile alla nostra nelle altre religioni del libro: nelle chiese cristiane dunque, sia quelle orientali ortodosse che quelle nate dalla Riforma,  nel mondo ebraico, nell’Islam.

Consapevoli di come sia improprio applicare il nostro concetto di dissenso ad altre realtà religiose che non hanno, come la Chiesa cattolica, una struttura unica e centralizzata la quale rivendichi per sé il diritto all'interpretazione autentica del "Libro",  abbiamo  esplicitato meglio il senso della nostra ricerca: esaminare se esistano, nelle religioni che si ispirano ad un "Libro rivelato", movimenti, espressioni, persone che all’interno della propria fede, del proprio mondo religioso, esprimano idee, tendenze critiche nei confronti delle espressioni più “fondamentaliste” delle stesse.

Idee, tendenze, persone quindi che siano animate dalla volontà di superare gli steccati che le religioni tendono a mettere intorno a sé, in certi casi forse per la necessità di preservare in situazioni difficili la propria identità, e che offrano invece prospettive di speranza di valori condivisibili al di là delle differenze religiose, culturali ed ideologiche.

Il nostro Laboratorio dunque è un laboratorio essenzialmente di ricerca e di scambio di conoscenze. Per farlo funzionare quindi ci affidiamo ad esperti che ci guidino in questo percorso: l’obiettivo finale non c’è, tenteremo di delinearlo insieme strada facendo.

Nel pomeriggio di venerdì 1 novembre ci aiuterà a condurre questa ricerca Paolo Naso, direttore della rivista ecumenica e di dibattito interreligioso “Confronti” e direttore della rubrica televisiva RAI “Protestantesimo”, curata dalle Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane.

Con lui saranno Mustafa El Ayoubi, della Comunità Islamica presente in Italia, e Giorgio Gomel Consigliere della Comunità Ebraica di Roma, rispettivamente redattore e collaboratore di “Confronti”.

 

 Allegati 1-3

 

1)

A. Cohen, “Il Talmud”, Laterza 1935 (pp. 89 – 98)

 

ISRAEL E LE NAZIONI.

 

Dopo aver considerato gli Elyonim, le creature che abitano nel cielo, passiamo ora ai Tachtonim, le creature che abitano la terra. Basandosi sulla tavola genealogica di Gen., x, i Dottori affermano che il mondo è popolato da settanta nazioni, e settanta sono le lingue che vi si parlano.

Niente di più naturale che trovare in scritti di Ebrei per gli Ebrei attribuita al popolo di Israel una importanza eccezionale. Invero, si può dire che gli abitanti del mondo vengano classificati in due categorie: Israel e gli altri popoli. È dogma fondamentale essere Israel il popolo eletto. Questa, che è dottrina biblica, viene dai Dottori elaborata e arricchita. Dovunque nel Talmud si insiste sulla intima ed unica relazione che esiste fra Dio e il Suo popolo.

Si può citare il seguente brano come tipico di questo punto di vista: “ II Santo che benedetto sia disse a Israel: Io sono Dio per tutti coloro che vengono al mondo, ma soltanto a te ho associato il Mio nome. Non sono chiamato il Dio degli idolatri, ma il Dio di Israel” (Esodo R., xxix, 4). “II Santo che benedetto sia, ha unito il Suo nome a Israel. A questo proposito si può istituire un paragone con un re che aveva la chiave di un piccolo forziere. Diceva il re: ‘Se la lascio così com’è, si perderà. Ecco, io le farò una catena, così che, se si perde, la catena indicherà dov’è’. Similmente parlava il Santo che benedetto sia: ‘Se lascio i figli d’Israel come sono, saranno inghiottiti fra le nazioni pagane. Attaccherò dunque ad essi il Mio grande nome e vivranno’” (p. Taan., 65 d).

Quest’ultima citazione suggerisce la ragione per cui questa dottrina occupa un posto così notevole nell’insegnamento rabbinico. Essa nasce quando il popolo esce da una crisi terribile: Il Tempio era stato distrutto, lo Stato abbattuto, il popolo disperso in paesi stranieri. Nella loro sventura, molti devono aver sentito che il loro Dio li aveva abbandonati. Per questo, nelle scuole e nelle Sinagoghe venne predicata la parola di conforto che Israel era ancora il popolo di Dio e che la Sua protezione non era cessata.

Ecco uno di questi messaggi vivificatori: “Vieni e vedi come sono amati i figli d’Israel dinanzi al Santo che benedetto sia;. perché dovunque andarono esuli, la Shechinah fu con loro. Furono esiliati in Egitto e la Shechinah fu con loro, come è detto: ‘Non mi esiliai[1] invero alla casa di tuo padre quando erano in Egitto?’ (I Samuele, n, 27). Furono esiliati in Babilonia e la Shechinah fu con loro; come è detto: ‘Per vostro amore Io fui mandato (sic) a Babilonia’ (Isaia, xliii, 14). Cosi, quando nel futuro saranno redenti, la Shechinah sarà con loro; come è detto: ‘II Signore tornerà[2] con la tua cattività’ (Deut, xxx, 3). Non è detto: ‘II Signore ricondurrà’, ma ‘tornerà con’, il che significa che il Santo, che benedetto sia, verrà indietro con loro” (Meg., 29 a).

La stessa tendenza si può rilevare nella interpretazione della cantica che Israel cantò presso il Mar Rosso: “II Signore è mia forza e canto " (Esodo, xv, 2) che voleva significare — ciò che si applica anche alle età posteriori — “Tu sei Colui che aiuta e sostiene tutti coloro che vengono al mondo, ma me ancor più. Tutti i popoli del mondo proclamano la lode del Santo che benedetto sia, ma la mia Gli è più gradita della loro. Israel dichiara: ‘Ascolta, o Israel, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno’ (Deut., vi, 4), e lo Spirito Santo grida: ‘Chi è come il Tuo popolo Israel, nazione una sulla terra?’ (I Chron., xvii, 21). Israel dice: ‘Chi è come Te fra i potenti, o Signore?’ (Esodo, xv, ii), e lo Spirito Santo proclama: ‘Te beato, o Israel, chi è come te?’ (Deut., xxxiii, 29). Israel dice: ‘Chi è come il Signore nostro Dio, tutte le volte che Lo invochiamo?’ (ibid., iv, 7) e lo Spirito Santo grida: ‘ Quale grande nazione v’è, che abbia Dio così vicino a se?’ (ibid.). Israel dice: ‘Poiché Tu sei la gloria della loro forza’ (Salmo lxxxix, 17), e lo Spirito Santo proclama: ‘Israel, in cui sarò glorificato’ (Isaia, xlix, 3)” (Mech. a xv, 2; 36 b).

Così strette sono le relazioni che intercedono fra Dio e Israel, che il trattamento usato ad Israel sulla terra, si riflette su Dio nel cielo. “Chiunque insorge contro Israel è come se insorgesse contro il Santo che benedetto sia” (Mech. a xv, 7; 39 a). “Chiunque aiuta Israel è come se aiutasse il Santo che benedetto sia” (ibid., 39 b). “Chiunque odia Israel è come chi odia Dio” (Sifrè, Num., §84;  22 b).

Se dunque Israel è il popolo eletto, non è allo scopo di ricevere da Dio speciali attestazioni di favoritismo. Lungi dall’essere in condizione più favorevole delle altre nazioni dal punto di vista materiale, come conseguenza di questa elezione, Israel porta su di sé una maggiore responsabilità ed è esposto maggiormente ai castighi. “Israel è al seguito del Re e il suo dovere è di imitare il Re” (Sifrà a xix, 2). “Poiché Dio amò Israel, moltiplicò le di lui sofferenze” (Esodo R., i, i). “Tre doni preziosi fece il Santo che benedetto sia, a Israel, e tutti glieli dette a mezzo di sofferenza; essi sono: la Torah, la terra d’Israel, e il mondo avvenire” (Ber., 5, a).

La responsabilità maggiore di Israel e la custodia della Torah, divina Rivelazione. Poiché lo scopo della creazione del mondo fu la glorificazione di Dio per mezzo della Torah, ed Israel la ricevette, ne consegue che “Israel era nel pensiero di Dio avanti la creazione dell’Universo” (Gen. R., i, 4). " II cielo e la terra non furono creati che per il merito d’Israel “(Lev. R., xxxvi, 4) e “Come il mondo non potrebbe esistere senza i venti, così è impossibile al mondo di esistere senza Israel” (Taan., 3 b). Non è questa una autoglorificazione, poiché i detti aforismi si riferiscono ad Israel solo come custode della Torah e stabiliscono quindi un fatto spirituale.

L’elezione di Israel non fu una scelta arbitraria; e per evitare a Dio l’accusa di favoritismo, una tradizione racconta che la Torah fu offerta a tutte le nazioni, ma Israel solo consentì ad accettarla. “Perché il Santo che benedetto sia, scelse Israel? Perché tutti i popoli ripudiarono la Torah e rifiutarono di riceverla; ma Israel consentì, e scelse il Santo che benedetto sia e la sua Torah” (Num. R., xiv, 10).

Questa idea viene elaborata nella leggenda che: “Quando l’Onnipresente si rivelò per dare la Torah ad Israel, non a lui solo si manifestò, ma a tutte le nazioni. Si recò dapprima presso i figli di Esaù e disse loro: ‘Volete accettare la Torah?’. Domandarono essi che cosa vi era scritto e Dio rispose loro: ‘Non uccidere’, ed essi replicarono: ‘Sovrano dell’Universo! La natura stessa dei nostri avi era sanguinaria; come è detto: “Le mani sono le mani di Esaù” (Gen., xxvii, 22) ragione per cui suo padre gli predisse: “Sulla tua spada vivrai” (ibid., 40). Andò allora Iddio presso i figli di Ammon e Moab e disse loro: ‘Volete accettare la Torah?’. Domandarono che cosa c’era scritto ed Egli rispose: ‘Non commettere adulterio ’, ed essi replicarono: ‘Sovrano dell’Universo! L’esistenza stessa di questa gente sorge da un atto di impudicizia’[3]. Egli andò e trovò i figli di Ishmael e disse loro: ‘Volete accettare la Torah?’. Domandarono che cosa c’era scritto ed Egli rispose: ‘Non rubare’, ed essi replicarono: ‘Sovrano dell’Universo! La vita stessa dei nostri avi dipendeva dal furto, come è detto: “Egli sarà come un asino selvatico fra gli uomini, la sua mano si rivolgerà contro tutti” (ibid., xvi, 12)’. Non vi fu una sola nazione presso la quale Egli non si recasse ad offrire la Torah; perciò è detto: ‘Tutti i re della terra Ti renderanno grazie, o Signore, perché hanno udito le parole della Tua bocca’ (Salmo cxxxviii, 4). I figli di Noah non furono neppure capaci di conservare i sette precetti che avevano accettato[4], ma se ne spogliarono e li dettero ad Israel” (Sifré Deut., §343; 142 b).

Se nessuna nazione avesse accettato la Rivelazione, lo scopo della Creazione sarebbe venuto meno e l’intera popolazione del mondo sarebbe stata annientata, poiché la Torah è la sua ragione d’essere. Si narra a questo proposito la “Parabola di un re che possedeva un orto piantato a filari di fichi, viti, melograni e meli. Lo affidò ad un giardiniere e si allontanò. Dopo qualche tempo, il re venne a ispezionare l’orto e a verificare ciò che il giardiniere aveva fatto. Lo trovò pieno di pruni e di spini; così incaricò dei sarchiatori di tagliarli via. Però vide fra quei pruni una bella rosa, che colse: la odorò e si deliziò della sua fragranza. Disse il re: ‘Per amore di questa rosa, tutto l’orto sarà salvato’. Similmente l’intero Universo fu creato soltanto per amore della Torah. Dopo ventisei generazioni, il Santo che benedetto sia ispezionò il mondo per vedere ciò che era divenuto e lo trovò pieno di acqua, per la quale le generazioni perverse erano perite. Incaricò dei tagliatori di distruggere il mondo, come è detto: ‘II Signore sedeva al diluvio’ (Salmo xxix, 10), ma scorse una rosa, cioè Israel, che prese e odorò quando gli dette il Decalogo e se ne deliziò. Quando Israel esclamò: ‘Noi faremo e udiremo ‘ (Esodo, xxiv, 7), il Santo che benedetto sia, disse: ‘Per amore di questa rosa sarà risparmiato l’orto, per merito della Torah e di Israel sarà salvato il mondo’” (Lev. R., xxiii, 3).

Israel, dopo l’esodo dall’Egitto, sarebbe perito se avesse rifiutato la Rivelazione. “II Santo che benedetto sia, capovolse su di loro il monte Sinai come un enorme vaso e dichiarò: ‘Se accettate la Torah, benissimo; se no, qui sarà il vostro sepolcro’” (Shab., 88 a). È quindi evidente, che, nell’opinione dei Dottori, il popolo non era dotato di una superiorità eccezionale in lui innata, per cui meritasse la distinzione concessagli da Dio, e, coll’abbandono della Torah, lo stato di privilegio sarebbe cessato immediatamente. Inoltre, non considerava come suo possesso esclusivo, la Torah, che, al contrario, era destinata a tutto il genere umano. Felice il giorno in cui tutte le nazioni l’accettassero.

Da questa speranza derivano testi siffatti: “Ogni frase uscita dalla bocca dell’Onnipotente si divideva in settanta lingue” (Shab., 88 b); “Mosè espose la Torah in settanta lingue” (Gen. R., xlix, 2). La migliore espressione di questo stesso pensiero si trova nella spiegazione del verso: “Voi dunque osserverete i Miei statuti e le Mie leggi, che se un uomo li metterà in pratica, vivrà per essi” (Lev., xviii, 5): “Donde si deduce che perfino un pagano che osserva la Torah è uguale al sommo Sacerdote? dalle parole: ‘che se un uomo li metterà in pratica, vivrà per essi’. Similmente è detto: ‘Questa è la legge del genere umano, o Signore Iddio’ (II. Sam., vii, 19). Non dice: ‘Questa è la legge dei Sacerdoti, o dei Leviti, o di Israel’, ma ‘la legge del genere umano’. Cosi non è detto: ‘Aprite le porte, che entrino i Sacerdoti, i Leviti o Israel’, ma ‘aprite le porte, che entri un pagano[5] giusto che osserva la fedeltà’ (Isaia, xxvi, 2). Altrove, non è detto: ‘Questa è la porta del Signore, per essa entreranno i Sacerdoti, o i Leviti, o Israel’, ma ‘per essa entreranno i giusti’ (Salmo cxviii, 20).

Similmente, non è detto: ‘Rallegratevi nel Signore, voi Sacerdoti, o Leviti, o Israel’, ma ‘Rallegratevi nel Signore, voi giusti’ (Salmo xxxiii, 1). E neppure è detto: ‘Benefica, o Signore, i Sacerdoti o i Leviti o Israel’, ma ‘i buoni’ (Salmo cxxv, 4). Perciò, anche un pagano che osserva la Torah è uguale al Sommo Sacerdote” (Sifrà a xviii, 5).

La portata universale di questa dottrina è degna della maggiore attenzione, perché contraddice l’opinione corrente che il Giudaismo rabbinico sia strettamente particolaristico ed etnico. Anche i sacrifizi nel Tempio si facevano per l’intera umanità. “L’ottavo giorno della Festa dei Tabernacoli, si offrivano settanta giovenchi in favore delle settanta nazioni. Guai ai popoli del mondo che hanno perduto e non sanno che cosa hanno perduto! Perché, fino che esisteva il Tempio, l’altare espiava per essi, ma ora chi espia per loro?” (Suk., 55 b).

D’altra parte dobbiamo ammettere che si incontrano anche affermazioni ispirate a tutt’altro spirito. Eccone dei tipici esempi: “Un pagano che si occupa dello studio della Torah, è degno di morte, perché è detto: ‘Mosè ci comandò la Torah, eredità dell’assemblea di Israel’ (Deut., xxxiii, 4), cioè l’eredità è per noi, non per altri” (‘Sanh., 59 a). “Mosè chiese che la Shechinah rimanesse sopra Israel, ed Egli lo concesse; come è detto: ‘Non è vero che Tu cammini con noi?’ (Esodo, xxxiii, 16). Domandò che la Shechinah non posasse sugli altri popoli del mondo, e Dio acconsentì; come è detto: ‘Si che noi siamo distinti, Io e il Tuo popolo’ (ibid.)” (Ber., 7 a). Secondo ogni probabilità, dichiarazioni di questo genere furono provocate dal sorgere della Chiesa cristiana, i cui membri studiavano anch’essi le Scritture e sostenevano che la Grazia Divina posava su di loro.

L’ideale religioso dei Dottori era l’estensione del Regno di Dio a tutti i popoli del mondo, e per ricordarlo costantemente gli Ebrei avevano la regola che “una benedizione che non faccia menzione del Regno di Dio non ‘è benedizione” (Ber., 40 b). Ciò significa che la benedizione deve cominciare con la formula: “Benedetto Tu sia, o Signore nostro Dio, Re dell’Universo”. Ne risultava che non si poteva chiudere la porta in faccia ai pagani che desideravano essere ammessi per motivi puri.

I convertiti sinceri erano benvenuti e molto stimati. “I proseliti sono cari (a Dio) perché sono descritti negli stessi termini degli Israeliti. I figli d’Israel sono chiamati ‘servi’ come è detto: ‘Poiché a Me i figli d’Israel sono servi’ (Lev., xxv, 55), e i proseliti sono chiamati ‘servi’, come è detto: ‘Per amare il nome del Signore, per essere Suoi servi’ (Isaia, lvi, 6). Gli Israeliti sono chiamati ‘ministri’, come è detto: ‘Sarete chiamati i sacerdoti del Signore, gli uomini vi chiameranno ministri del nostro Dio’ (ibid., lxi, 6), e i proseliti sono chiamati ‘ministri’, come è detto: ‘Gli stranieri che si uniscono al Signore, per essergli ministri’ (ibid., lvi, 6). I figli d’Israel sono chiamati ‘amici’, come è detto: ‘La stirpe di Abraham, Mio amico’ (ibid., xii, 8), e i proseliti sono chiamati ‘amici’, come è detto: ‘(Dio è) amico del proselito’ (Deut., x, 18). La parola ‘patto’ viene usata per Israele, come è detto: ‘II Mio patto sarà nella vostra carne’ (Gen., xvii, 13), ed anche per i proseliti, come è detto: ‘Che si tengono fermi nel Mio patto’ (Isaia, lvi, 6). La parola ‘gradimento’ viene usata per Israel, come è detto: ‘Che essi possano essere graditi dinanzi al Signore’ (Esodo, xxviii, 38) e per i proseliti, come è detto: ‘I loro olocausti e i loro sacrifizi saranno graditi sul Mio altare ‘(Isaia, lvi, 7)” (Mech. a xxii, 20; 950). Si trovano ancora altri sviluppi di questa idea, tendenti a dimostrare che l’Israelita e il convertito sono posti esattamente allo stesso livello.

Sul verso: “E le anime che avevano acquistato[6] in Haran” (Gen., xii, 5), vien detto: “Abraham faceva proseliti fra gli uomini, e Sarah fra le donne. Chiunque porta un pagano vicino (a Dio) e lo converte, è come se lo avesse creato” (Gen. R., xxxìx, 14). Un Dottore arrivò a dichiarare che “II Santo che benedetto sia, non esiliò Israel fra le nazioni per nessun’altra ragione se non perché a lui si aggiungessero dei proseliti” (Pes., 87 b).

Una opinione contraria si trova esposta nel passo: “I proseliti sono dannosi a Israel come la scabbia” (Jeb., 47 b); ma l’origine di essa è da cercarsi nell’esperienza fatta in un’epoca in cui i convertiti si erano comportati in modo da essere fonte di dolori e di pericolo per la comunità. Si pose allora gran cura nell’esaminare chi desiderava convertirsi e furono rigorosamente vagliati i motivi determinanti. La cerimonia dell’ammissione viene in tal modo descritta: “Quando un proselita viene in questi tempi per essere accettato come proselita, gli si chiede: ‘Qual’è il tuo scopo nel venire a convertirti? Non sai che Israel è ora afflitto, perseguitato, umiliato, angariato e soffre castighi?’. Se risponde: ‘Lo so, e sono indegno (di dividerne le pene)’ viene accettato ed istruito in alcuni dei minori e dei maggiori precetti, come pure nelle pene che sono connesse alla trasgressione di essi. Gli si dice: ‘Sappi che prima di fare questo passo potevi mangiare grasso proibito, profanare il Shabbath, senza incorrere in alcuna pena; ma se d’ora in avanti farai queste cose, terribili pene cadranno su di te’. Nello stesso modo in cui viene informato delle pene connesse ai precetti, si informa pure delle ricompense. Gli si dice: ‘Sappi che il Mondo Avvenire è riservato ai giusti e che Israel oggi non può avere abbondanza di bene o abbondanza di pena’. Essi, dunque, non devono essere respinti con eccessivo rigore. Se il proselita accetta tutto questo, viene circonciso subito. Quando è guarito, si sottopone alla immersione[7] senza indugio, e due discepoli dei Saggi più stanno dappresso e gli fanno conoscere alcuni dei precetti più e meno importanti. Dopo che si è immerso nel bagno ed è uscito dall’acqua, è Israelita a tutti gli effetti” (Jeb., 47 a, b).

II più autorevole difensore, dei proseliti fu Hillel, la cui massima era: “Sii dei discepoli di Aaron, amante della pace e cercatore della pace, amante delle creature tue simili e loro avvicinatore alla Torah “ (Aboth, i, 12).

Si racconta il fatto di un pagano che si recò da Shammai a chiedergli di essere accettato come convertito a condizione che gli si insegnasse l’intera Torah mentre egli si reggeva su un solo piede. Il Dottore lo cacciò col bastone che teneva in mano. Egli allora andò da Hillel con la medesima richiesta; e questi gli disse: “Ciò che non desideri per te, non fare al tuo prossimo. Questo è tutta la Torah e il resto è solo commento. Va, imparalo” (Shab., 31 a).

Ai pagani che non erano preparati a entrare nel gregge del Giudaismo, si offriva un codice morale, conosciuto sotto il nome di sette precetti dei figli di Noah. Essi erano: “Pratica dell’equità, proibizione di bestemmiare il Nome, dell’idolatria, dell’immoralità, dello spargimento di sangue, del furto e del mangiare un membro tolto da un animale vivo” (Sanh., 56 a). Con una condotta giusta, basata cioè su queste leggi fondamentali, meriterebbero l’approvazione divina. Il testo: “La giustizia esalta una nazione, ma il peccato è un’onta per i popoli” (Prov., xiv, 34), era applicato a Israel nella sua prima parte, ai pagani nella seconda. Poiché la parola che vale “onta” (chésed), significa pure “pietà”, fu data al testo suddetto l’interpretazione che anche le azioni pie dei pagani sono un peccato per loro, poiché i motivi che le hanno ispirate erano impuri. Questa interpretazione fu respinta da R. Jochanan b. Zakkai, il quale dichiarava: “Come il sacrifizio per il peccato espia per Israel, così la giustizia espia per i popoli della terra” (B.B., 10 b). E Dio è così giusto nel suo giudizio che “giudica i pagani secondo il migliore fra essi” (p. R. H., 57 a).

Le dure parole con cui talvolta il Talmud si riferisce ai non ebrei, derivano dalla convinzione che “i pagani sono dediti alla sregolatezza” (Jeb., 98 a). I Dottori erano disgustati dal basso livello della condotta morale che veniva praticata attorno a loro, mentre erano grati per gli ideali più alti che la religione offriva loro. Una preghiera, composta per essere pronunziata uscendo dalla Casa di Studio, cosi si esprime: “Io rendo grazie a Te, o Signore mio Dio e Dio dei miei padri, che hai posto la mia parte fra coloro che siedono nella Casa di Studio e nella Sinagoga, e non hai posto la mia parte fra coloro che frequentano i teatri e i circhi; perché, mentre io lavoro per ereditare il Paradiso, essi lavorano per l’abisso della distruzione” (p. Ber., 7 d).

Alcune delle parole più amare scaturirono da labbra addolorate da una estrema provocazione. Fra queste, l’espressione più criticata è: “Uccidi il migliore dei pagani, schiaccia la testa del migliore fra i serpenti!” (Mech. a xiv, 7; 27 a). Ma si dovrebbe ricordare che ne è autore R. Shimon b. Jochai, che viveva durante le terribili persecuzioni di Adriano, aveva veduto il suo amato maestro, R. Akiba, subire diaboliche crudeltà per mano dei Romani, ed era stato costretto a nascondersi per tredici anni in una caverna con suo figlio, per sfuggire ai tiranni del suo popolo. Le sue parole non esprimono che sentimenti personali, e sarebbe grave ingiustizia citarle come saggio dell’etica talmudica.

Dal testo seguente risulta chiaramente come l’opposizione ai pagani fosse di origine etica piuttosto che etnica: “R. Eliezer diceva: ‘Nessun pagano avrà parte nel mondo avvenire; come è detto: “I malvagi torneranno al mondo infero, come tutte le nazioni che dimenticano Dio” (Salmo ix, 17); “I malvagi” si riferisce ai malvagi in Israele’. R. Jeoshua gli replicò: ‘Se il verso dicesse: “I malvagi torneranno al mondo infero, come tutte le nazioni”, e si fosse fermato lì, sarei d’accordo con te. Ma poiché il testo aggiunge: “che dimenticano Dio”, ecco, vi devono essere fra le nazioni, dei giusti, che avranno parte nel mondo avvenire’” (Tosiftà Sanh., xiii, 2). La dottrina accettata dal Giudaismo rabbinico, è che i giusti di tutti i popoli erediteranno la felicità dell’al di là.

 

[1] In una vasca apposita per scopi rituali
2)

LA GUERRA SANTA

Da: buhari  Raccolta di “Hadit” - UTET

II ğihād, che i nostri padri, guardando più alla pratica che alla grammatica, resero con “guerra santa”, suona tradotto letteralmente lo sforzocui si deve sottintendere aggiuntosulla via di Dio”. MAO, 254.

La definizione di un dottore dell’Islam è la seguente: il combattere che fa il Musulmano contro l’infedele, col quale non abbia alcun patto (perciò non col dimmi, finché rimane fedele al patto), allo scopo di esaltare la parola di Dio Altissimo “, cioè la fede musulmana riassunta nelle parole della professione di fede:Non ve altro dio che Iddio e Maometto è l’inviato di Dio”; non quindi alla scopo di mostrare il proprio valore o di fare bottino al quale, secondo alcuni, non deve partecipare se nel combattere ha avuto questo scopo. HAL, I, 385.

E necessario tenere presente che il diritto musulmano prende in considerazione il mondo come diviso in due parti: Dar al-Islàm o dimora dell’Islame, in contrapposto. Dar al-Harb o “dimora della guerra “, che per legge è da conquistare a poco a poco e da assoggettare all’Islam. ISL, 424.

Per quanto riguarda i nemici contro i quali si deve combattere. il diritto musulmano stabilisce la distinzione tra ipoliteistie la gente del Libro“, cioè quelli che professano religioni rivelate come Cristiani ed Ebrei. Ai primi bisogna intimare, prima che dalla parola si passi alle armi, l’alternativa fra l’Islam e la spada; per i secondi la scelta è fra l’Islam e il sottomettersi pacificamente, mediante un patto diprotezione“, ai Musulmani, in cambio del pagamento d’un tributo. ISL, 425 (si veda l’Introduzione al Libro LVIII).

Il ğihād, dicono i dottori dell’Islamè obbligatorio per ogni Musulmano, libero, maschio, tenuto agli obblighi religiosi e che abbia la forza per sostenere le fatiche HAL, I, 386), ma non rientra nei cinque «pilastri” dell’Islam, obblighi fondamentali per il Musulmano, che sono:

1. la professione di fedenon ve altro dio che Iddio e Maometto è l’inviato di Dio(pronunciar la quale, per esempio, è sufficiente per trasformare un non-Musulmano in Musulmano);

2. la preghiera (si veda il Libro VIII):

3. la decima (si veda il Libro XXIV);

4. il digiuno (si veda il Libro XXX);

5. il pellegrinaggio alla Mecca (si veda il libro XXV).

Sono assimilate al ğihād le buone azioni:chi si da’ da fare per una vedova o per un povero è come chi parte per il ğihād “ (si veda la nota 2 al Libro LXIX).

Sergio Noia.


Iddio sa meglio di tutti che cosa avrebbero fatto.

(BUHARI. Raccolta di “Hadit” – UTET)

Narrò il figlio di ‘Abbàs - sia soddisfatto Iddio di ambedue -che il Profeta - Iddio lo benedica e gli dia eterna salute - interrogato sulla sorte dei figli dei politeisti, aveva detto:

“Iddio sa meglio di tutti che cosa avrebbero fatto”.

Narrò Abù Hurayrah che il Profeta - Iddio lo benedica e gli dia eterna salute - aveva detto:

“Ogni persona che nasce viene al mondo nello stato di natura; sono i genitori che lo fanno Giudeo o Cristiano,

 come voi allevate gli animali[8]. Forse che ne trovate di mutilati finché non li avete mutilati voi stessi?”

Domandarono allora:

“O Inviato di Dio, qual è la sorte di quelli che muoiono nell’infanzia?”

Rispose:

“Iddio sa meglio di tutti che cosa avrebbero fatto.”

.

3)

Documentazione: Tolleranza e guerra santa nell’Islam,

Biancamaria Scarcia Amaretti, Sansoni 1974

 

 

L’internazionalismo islamico

 

Affidiamo di nuovo a un testo il compito di spiegare e definire i termini sui quali abbiamo impostato la nostra analisi. Il brano che segue è tratto dalla First Conference of the Academy of Islamic Research, al-Azhar, Cairo, 1964, pp. 206-210. Siamo in piena epoca “nasseriana” (e avanti il 1967) e tale testo è l’espressione dell’universalità religiosa per eccellenza del mondo islamico. Una trattazione di questo genere non può avere altro scopo che quello di fornire elementi per un incontro tra la teoria dello stato nasseriano e la teoria religiosa islamica, nella prospettiva di un cammino comune. In questo senso i principi enucleati per spiegare il ğihād e per sostenere lo spirito “internazionalista” dell’Islam sono sia analisi storica volta al passato, sia programma politico proposto per il presente.

 

Parlando di necessità di combattere, Ibn Taymiyya [giurista siriano morto nel 1328] si domanda se questa viene determinata dall’aggressione degli infedeli a danno dell’Islam e dal conseguente desiderio di respingerla, o dall’infedeltà stessa degli infedeli. Egli ammette la diversità di opinioni sull’argomento, e accanto alla scuola più seguita, tutta nel primo senso, menziona un’altra scuola che si rifà all’autorità di Shāfi’ī e che propende per la seconda motivazione, in modo da garantire il consolidamento della “novella “ islamica, secondo la parola di Dio per cui è missione di ogni musulmano chiamare all’Islam.

Ibn Taymiyya si esprime a favore del primo punto di vista, accettato dalla maggioranza e confermato dal Corano e dall’esempio offerto dal Profeta e dai suoi Compagni. “Combattete sulla via di Dio contro chi vi combatte, ma non iniziate per primi le ostilità” dice il Corano. E. ancora: “Combattete finché non ci sia più persecuzione, e il culto sia reso a Dio. Ma se desistono, che non ci sia più ostilità se non contro i malfattori... Se volete punire, punite nella misura in cui siete stati offesi. Ma se sopportate, in verità è meglio per chi è paziente”

Passando in rassegna le tradizioni che risalgono al Profeta, si vede che questi fece guerra in due casi soltanto:

1)    attacco contro i musulmani, o aspettativa di un attacco, per sicura notizia di preparativi fatti in previsione di assalire la comunità islamica. Perché il Profeta, nella sua saggezza, non poteva attendere che il suo popolo venisse attaccato;

2)    il caso in cui i sovrani, come quelli bizantini, costituissero un ostacolo tra lui e la sua missione, e quindi perseguitassero i musulmani per costringerli ad abbandonare la loro fede.

Noi non abbiamo dubbi nel sostenere la posizione di Ibn Taymiyya, ma ci si pone il problema di chi, leggendo i capitoli dedicati alla guerra e alle spedizioni militari nei trattati di diritto, dovesse giungere alla conclusione che i giuristi sono inclini a considerare lo stato di guerra, e non quello di pace, come base delle relazioni tra i popoli. Ora, come potrebbe un’autorità quale Ibn Taymiyya avere citato in modo erroneo i dati elaborati dai giuristi, e come questi potrebbero aver mal interpretato il Corano e la tradizione profetica? Tanto più che proprio i giuristi parlano di “territorio di guerra” (dar al-harb) e che tale definizione non può che passare attraverso un’altra definizione, quella cioè di aggressore e di aggredito, perché, nel caso in cui tale distinzione non fosse possibile, significherebbe che si è addivenuti a una convenzione e che il territorio in questione è diventato “territorio d’accordo”. D’altra parte, non bisogna trascurare il fatto che i giuristi hanno formulato le loro definizioni al tempo in cui la libera ricerca giuridica deduttiva era ancora possibile...

Insomma, i musulmani hanno sempre offerto tre alternative ai loro vicini: 1) un trattato che li garantisse dall’aggressione; 2) la conversione; 3) la guerra. Se i vicini non si convertono, e non accettano un accordo che garantisca i musulmani dall’aggressione e permetta loro di continuare la loro missione, ne deriva che essi sono oggettivamente in uno stato intenzionalmente aggressivo, per cui non è possibile alla comunità dei credenti di attendere che l’aggressione si compia.

Un grande combattente musulmano quale Ali ibn abl Talib ha detto: “Nessun popolo che accetti l’invasione della propria terra trova scampo dall’umiliazione”. Si potrebbe arguire proprio dalle definizioni dei giuristi che le relazioni dei musulmani con gli altri popoli siano relazioni di guerra fino a quando non sia conclusa la pace. Si può anche credere che le relazioni internazionali dell’Islam siano rette da dati fattuali piuttosto che da nobili ideali religiosi, e siano quindi simili alle attuali relazioni, che giustificano oggi gli uomini di governo nelle loro aggressioni. In risposta vogliamo dire che i giuristi hanno adottato i dati fattuali come denominazione di causa, invece di usare la legge islamica come denominazione assoluta, senza per questo abbandonare i principi ideali dell’Islam, quali la difesa dei valori, delle libertà e della giustizia. D’altro canto i giuristi, nel loro momento storico, non potevano chiamare i fatti con nome diverso da quello che avevano, cioè era un dato di fatto che la guerra fosse in espansione e che il territorio degli aggressori fosse territorio di guerra, in mancanza di una convenzione o di un trattato di pace.

La scelta di una denominazione piuttosto che di un’altra non impedisce però che le relazioni tra i musulmani e gli altri siano basate sulla giustizia, la libertà e la virtù; e in questo senso i dotti e gli esperti non hanno mai parlato di uno stato islamico in cui la sovranità potesse, essere garantita dalla conquista, piuttosto che basata sulla virtù, sulla giustizia e sul timor di Dio. E non vi sono stati nell’Islam padrone e schiavo, o vincitore e vinto, ma solo giustizia ed equità.

 

 

Giuseppe Barbaglio: “Dio Violento” pp. 87-89,  Cittadella (?) 1991

 

…Così si comportò Giosuè e così doveva comportarsi, un vero modello della guerra come la legge di Dt 20 stabiliva secondo la concezione dei suddetti circoli deuteronomistici. Ecco gli articoli della normativa:

 

1.    I combattenti non devono temere i nemici “perché il Signore vostro Dio cammina con voi per combattere per voi contro i vostri nemici” (20,1-4).

2.    “Quando ti avvicinerai a una città per attaccarla, le offrirai prima la pace”; in pratica è la richiesta di sottomissione (20,10).

3.    Se essa accetta, niente guerra ma assoggettamento pacifico (20,11).

4.    Se invece rifiuta, sarà la guerra (20,12).

5.    Per una città straniera conquistata il trattamento sarà il seguente: “ne colpirai a fil di spada tutti i maschi”, mentre il resto sarà bottino (20,13-14).

6.    Lo sterminio (in ebraico herem) invece sarà totale per una città cananaica: “non lascerai in vita alcun essere che respiri, ma li voterai allo sterminio” (20,16-17).

 

Una prassi sconvolgente per la sua violenta ferocia, ma parte integrante di una precisa ideologia sacrale di timbro religioso-politico, che ha elaborato la tesi di un diritto divino del popolo israelitico alla terra cananaica. Fondato sulla tradizione antica della promessa patriarcale, esso legittima le tribù a rivendicarla scacciandone gli abitanti o addirittura annientandoli. E il rilievo che si tratta di un’ideologia elaborata nella mente delle persone più che di una concreta prassi di condotta - infatti come abbiamo visto l’insediamento storicamente non è avvenuto in linea ne con questa normativa di Dt 20 ne con i racconti stereotipati del libro di Giosuè - , nulla toglie alla gravita del problema teologico che investe in primo luogo le credenze e le concezioni religiose. Scandalosa è appunto l’immagine di Dio di questi circoli deuteronomistici che hanno dato un’impronta indelebile all’articolo di fede centrale della fede ebraica: Dio ci ha dato il possesso della terra, un possesso ottenuto - dicono – “a fil di spada” e votando allo sterminio coloro che nativamente possedevano il paese, e ciò in ottemperanza al volere di Jahvè e per il suo intervento bellico. Mai come in questo filone di pensiero della bibbia ebraica la più spietata violenza umana si coniuga con una pari violenza divina: il divino guerriero al centro di guerrieri umani, anzi un Dio bellicoso che forgia a sua immagine un popolo bellicoso.

Il massimo della violenza dell’uno e dell’altro è la legge dello sterminio (herem), che nelle guerre dell’antico Israele non costituiva un elemento fisso, essendo praticato solo per un voto (cf.Num 21,2; Gdc 21,5) o per una disposizione speciale del comandante (cf.Gs 6,17) o per una richiesta del profeta (cf.l Sam 15,3), e poteva riguardare il bottino in natura. Invece nel racconto deuteronomistico dell’insediamento diventa una legge generale voluta da Dio e concerne particolarmente le persone, comunque tutti i viventi”23.

Mai più ferrea legittimazione ideologico-teologica della violenza è stata elaborata. Si veda la valutazione pertinente di N. Lohfink: “È stato così stabilito uno stretto legame tra categorie del diritto e categorie della violenza. Il diritto viene imposto con la violenza, e dietro ogni cosa sta la divinità”24. Da parte nostra rileviamo che si è trattato di uno sviluppo negativo della fede tradizionale dell’antico Israele, secondo la quale Jahvè ha promesso solennemente ai padri e poi ha dato in possesso ai loro discendenti la terra di Canaan, senza che fosse compresa la specificazione di una conquista a mano armata, aggiunta appunto dai suddetti circoli deuteronomistici in maniera ideologica a sostegno della corona25. Come negativamente si deve giudicare la riduzione della fede in Jahvè a coraggio e determinazione di battersi per l’annientamento degli abitanti del luogo; si veda per esempio Dt 1,29-32: “Non spaventatevi e non abbiate paura di loro. Il Signore stesso vostro Dio, che vi precede, combatterà per voi... Nonostante questo, non aveste fede nel Signore vostro Dio”. Ma già la corrente sacerdotale ha emesso un giudizio negativo, sostituendovi un’interpretazione della fede tradizionale in chiave non violenta e pacifista, come vedremo subito.

 

2.2- Rilettura non violenta

Se la ricostruzione storica porta a ritenere che l’insediamento delle tribù israelitiche nella terra non è avvenuto senza violenza militare, dovendo esse impossessarsi di un territorio occupato da altri, come fa notare giustamente Perlitt26, e se il racconto dei circoli deuteronomistici di Deuteronomio-Giosuè lo ha inserito di forza dentro le maglie ferree della loro ideologia bellico-sacrale, bisogna però dire che la bibbia ebraica conosce anche un’altra e ben diversa interpretazione, appunto in chiave assolutamente pacifista, e questo per merito della tradizione sacerdotale, che ha inteso correggere la storiografia precedente sostituendovi la sua versione.

_________________

23 Sullo sterminio (herem) vedi N. Lohfink alla voce in «Theologi-sches Woerterbuch zum Alten Testament”, III, Stuttgart 1982, 192-213 e dal punto di vista religionistico l’articolo di D. Merli, Le «guerre di sterminio” nell’antichità orientale e biblica, in «Bibbia e Oriente” 9 (1967) 53-68, che mostra come dei popoli dell’area culturale del medio oriente antico solo Israele e Moab (stele di Mesha) l’abbiano praticato.

24 // Dio della Bibbia e la violenza. 82.

25 In proposito appare illuminante l’analisi che N. Lohfink ha fatto del verbo jarash, usato spessissimo nel nostro racconto deuteronomistico dell’insediamento in forma causativa o hiphil per indicare l’azione violenta con cui Jahvè fa subentrare Israele nel possesso della terra che era nelle mani dei Cananei. Dio è concepito come un re signore di ogni territorio; il cambio di proprietà si effettua mediante il suo atto giuridi co che si chiama «dare”; così jarash viene ad assumere il significato di prendere possesso in forza di una conquista e dell’annientamento dell’attuale possessore. Cf. la voce in «Theologisches Woerterbuch zum Al-ten Testament”, III, Stuttgart 1982, 953-985.

26 Israel und die Voelker, 19. Ecco poi come lo stesso studioso descrive l’insediamento, il periodo dei giudici e il tempo della prima monarchia in Israele; «Insediamento nel territorio, ampliamento del territorio e rafforzamento del territorio... non sono immaginabili senza una certa misura di guerra... Insediamento nel territorio significò nelle intenzioni (e in buona parte anche nella pratica) conquista. Ampliamento del territorio significò sottomissione più o meno violenta delle città cananee fortificate, accanto alle quali in tutti i casi le tribù prima o poi non sarebbero potute più vivere senza contatti con esse e in maniera pacifica. Rafforzamento del territorio significò ben presto, dopo l’insediamento e l’ampliamento, la difesa da successive tribù di nomadi, che minacciavano pericolosamente i primi coloni, nonché guerra di liberazione contro i filistei” (Art. cit., 20).

 

 

 

 

 

 

 

 

3) Laboratorio

   Donne e fondamentalismi

  Comunità di Oregina

 

A partire dall’età del bronzo ( 4000 a. C. ) e dall’instaurazione di una società esplicitamente patriarcale , assistiamo ad un graduale declino della presenza femminile nelle attività economiche e nell’esercizio di tecniche e di saperi socialmente rilevanti.

Gli uomini si appropriano di quasi tutti gli aspetti della vita comunitaria e le donne vengono chiuse nel ruolo di mogli e madri , nel lavoro di trattamento artigianale dei prodotti animali secondari e dei vegetali ma del tutto  escluse da ogni ruolo pubblico.

I ruoli sociali si differenziarono sempre di più finché , nel VII secolo a. C.  ( età del ferro ) ,  il processo di instaurazione di una società solidamente patriarcale si può considerare non solo compiuto ma anche culturalmente radicato.

Prenderemo in considerazione in queste tracce di riflessione soltanto le tre grandi religioni dette del “Libro” , perché di esse possiamo parlare a partire da un minimo di esperienza condivisa , non escludendo che nel laboratorio possa esserci lo stimolo a confrontarsi anche con altre religioni come il buddismo , l’induismo ( o induismi ? ) .

E’ chiaro che le tre grandi religioni abramitiche , monoteistiche si formano e si consolidano in contesti che , seppure differenti per fasi storiche  per ambienti geografici e per condizioni socioeconomiche , sono pervasi dal dominio maschilista e patriarcale , manifesto anche nelle forme di organizzazione religiose sia cultuali che culturali.

 

A questo punto si pongono alcune problematiche, alcuni interrogativi :

·        Quale ruolo svolgono i miti e le narrazioni sacre nel sancire l’inferiorità delle donne in nome di un Dio ?

·        Quale rapporto c’è stato tra il messaggio di Mosè , di Gesù , di Maometto e il contesto patriarcale in cui esso è stato annunciato?

·        E’ possibile leggere nel messaggio di questi tre “profeti” il tarlo del fondamentalismo e/o dell’integralismo  di genere che accompagnerà nei secoli le religioni che dicono di rifarsi al loro annuncio?

·        Quali sono stati  i meccanismi che nella costruzione dei “Libri sacri” hanno permesso di soffocare se non  di eliminare la presenza delle donne ?

·        Una volta costituitesi come “religioni” , cioè come organizzazioni gerarchicamente strutturate  , quale riconoscimento hanno avuto le donne in queste organizzazioni?

 

Al fine di offrire ai partecipanti al laboratorio, e non solo, uno stimolo alla riflessione, abbiamo pensato di costruire una scheda comparativa ma schematica che presenta aspetti comuni e differenti delle tre religioni monoteistiche viste soprattutto nella loro dimensione “ufficiale” “ortodossa” : una scheda che non ha pretese di “scientificità” e di “completezza”.

 

Oltre ai testi già consigliati dalle Comunità dell’Isolotto e di Pinerolo , ci siamo riferiti per le parti relative al fondamentalismo di genere,  anche ai seguenti testi:

·        L’Islam laico a cura di Olivier Carré     ( ed. Il Mulino )

·        L’Islam  a cura di Jolanda Gaurdi        ( ed. Xenia )

·        Storia delle donne  Ottocento e Novecento  ( pagine relative all’ebraismo , al cattolicesimo e al protestantesimo ) a cura di G. Duby e M. Pierrot ( ed. Laterza )

·        Le donne delle minoranze  a cura di Claire E. Honess e Verina R. Jones ( Claudiana Torino)

·        Donne e fondamentalismi  Risoluzione del Parlamento Europeo  del 13 marzo 2002, prima firmataria Maria Izquierdo Rojo ( su Adista 1.4.2002)

 

TABELLA

 

EBRAISMO

(inizio 2000 anni ante E.V.)

CRISTIANESIMO

(inizio 38 dopo Cristo)

ISLAMISMO

(inizio 622 d.C.)

 

 

 

Definizione di Dio

Il nome di  Dio, non viene pronunciato (D-o)  ma egli è sicuramente pensato e descritto unico e con attributi maschili , inoltre viene definito come padre , come sposo

Unico, il Padre proveniente dalla tradizione ebraica, tutti gli aggettivi di Dio sono al maschile.

Unico, maschile, è Allah proveniente dalla stessa tradizione ebraico-cristiana

 

Presenza divina femminile

Inesistente

 

Inesistente ( esiste la Madre di Dio, per dogma , riconosciuta nella Madonna)

Inesistente ( esiste la Madre del libro un archetipo celeste del Corano)

 

Definizione trinitaria

Inesistente anzi viene ribadita più volte l’unicità di Dio

Padre, Figlio, Spirito Santo; la definizione trinitaria si forma in fase ellenistica

Inesistente

 

Tipo di religione

del libro ( la Torah)

 del libro ( la Bibbia)

 del libro ( il Corano)

 

Visione della creazione

Dio creatore, uomo prima della donna, uomo dominatore natura (animali e vegetali)

Riferimenti storici alla Bibbia-Genesi

Dio creatore, uomo prima della donna, uomo dominatore natura (animali e vegetali), riferimento Bibbia – Genesi

 

Dio creatore, uomo prima della donna, uomo

 dominatore natura (animali e vegetali)

Riferimento Corano - Sura II

 

Rapporto uomo-donna

Prevalenza dell’uomo sulla donna in ogni funzione importante, superiorità nei ruoli

Principio di uguaglianza nella diversità,  accettazione e conferma  storica della sottomissione della donna all’uomo

Superiorità maschile sancita dal Corano ( Sura IV )

 

Comandamenti e precetti

Dieci (Mosè) + 613 precetti irrinunciabili

 

 Dieci (Mosè ) + catechismo

Molte  regole che formano  il Codice islamico (Sura 17)

 

 

Segni o sacramenti d’appartenenza

si ( circoncisione per i maschi, ) l’essere ebreo o ebrea deriva dalla discendenza da madre ebrea, oppure per scelta da adulto

si, battesimo sia per le donne che per gli uomini

 La professione di fede come fondamentale segno (cinque pilastri dell’Islam preghiera, elemosina, testimonianza di fede, pellegrinaggio rituale,obbedienza al corano)

 

Trasmissione  appartenenza religiosa

Per via matrilineare

Per via comunitaria e sociale (il battesimo come rito sociale)

Per via patrilineare

 

Presenza del demonio

si

 

 Si, descritto  come tentatore di Cristo

si

 

 

Presenza  del peccato originale

si ad opera di una donna

 si ad opera di una donna ( il battesimo  è anche eliminazione  del peccato originale )

si ad opera di una donna

 

Comunità dei credenti

si – forte senso di appartenenza al Popolo eletto di D-o

si – formazione di Chiese strutturalmente molto organizzate dai battezzati

sì – forte senso di appartenenza alla Umma , la casa di tutti i musulmani

 

Impurità femminile

Malattia, sangue mestruale femminile,

superamento dei concetti d’impurità legati al mestruo femminile

Donna mestruata inavvicinabile

 

Visione della sessualità

storicamente l’eterosessualità è stata considerata con libertà  e non solo dentro il   legame coniugale, ma sono proibiti tuttavia i rapporti sessuali prematrimoniali in quanto in contrasto con la concezione del matrimonio; l’omosessualità non è riconosciuta

in genere si è affermata una visione della libera sessualità come  peccaminosa;  la sessualità viene esclusivamente legata alla riproduzione nell’ambito del matrimonio eterosessuale; l’ omosessualità è considerata devianza

attiene alla sfera privata ma non è in genere

considerata  peccaminosa; l’ omosessualità non è tollerata

una delle regole:”non abbandonarti alla lussuria”

 

Concezione matrimonio e famiglia

Il matrimonio è un patto: in genere è monogamico e la famiglia-tipo patriarcale.

Il matrimonio è un sacramento: è assolutamente  monogamico e la famiglia  storicamente patriarcale

 

Il matrimonio è un contratto:è ammessa la poligamia e la famiglia è patriarcale ,

si rileva una evoluzione moderna verso la monogamia e in alcuni paesi anche verso una maggiore autonomia delle donne

 

Adulterio

Grave colpa femminile

Peccato

Reato ,

 

Divorzio e matrimonio misto

Ammesso il divorzio

Non ammesso il matrimonio misto

Non ammesso il divorzio

Ammesso matrimonio misto

Ammesso  ripudio-divorzio

Ammesso matrimonio misto

 

Metodi contraccettivi

Anticoncezionali femminili ammessi  se presi all’insaputa del marito, quelli maschili non sono ammessi

 Ammessi solo quelli naturali che sono legati alla gestione controllata del ciclo femminile e del periodo di fecondità, non ammessi tutti gli altri metodi

Non sono in genere vietati , ci sono state  evoluzioni sociali  in diversi periodi storici

 

Aborto

Ammesso solo quello terapeutico

Considerato un grave peccato

Non ammesso

 

Rapporto con lo straniero

Accoglienza

 Accoglienza e tolleranza religiosa

 Accoglienza

 

Eredità femminile

Contemplata  nell’ambito della stessa famiglia

 

Riconosciuta solo in  tempi  recenti (evoluzione storica e sociale)

 non riconosciuta ( evoluzioni moderne)

 

Rapporto con la società

 separatezza formale ma forti condizionamenti

Pervasione  ai fini della formazione di una società cristiana ( evoluzione negli ultimi tempi )

Piena coincidenza tra religione e società nei paesi a totale presenza islamica ( rapporto problematico nei paesi senza religione di Stato ).

 

Rapporto con la legge dello Stato

 separatezza

 

 separatezza formale  ma condizionamento culturale

 Rapporto conflittuale ove c’è distinzione tra la Sharia e legge civile

 

Rapporto con la politica

regole comportamentali diffuse che condizionano la politica ( presenza di partiti politici ebraici nello Stato d’Israele )

attribuzione cristiana  a partiti politici, evoluzione di dottrina sociale

Formazione di partiti “religiosi” dove lo Stato si presenta almeno formalmente “laico”

 

Abiti e costumi

modernizzazione con alcuni segni distintivi (kipa maschile e copricapo femminile)

totale modernizzazione alcuni abiti e segni di riconoscimento per clero e conventuali

 presenza di segni distintivi e

abiti imposti ( burca, velo, turbante,  )

 

Preghiere

rituali, regolari, giornaliera con  vasta formulazione espressiva personale ( osservanza di un calendario liturgico)

rituali, regolari, giornaliere sia  liturgiche che  personali  e con formulazione espressiva personale ( osservanza di un calendario liturgico)

rituali, regolari, giornaliere  e imposte,

 limitata espressione personale ( osservanza di un calendario liturgico)

 

Rappresentazione iconografica

assente

 

Eccezionale sviluppo dell’arte sacra, diffusa specialmente nel cattolicesimo e nell’ortodossia ,  a carattere didattico

 vietata qualsiasi antropomorfica

 rappresentazione divina

 

Luogo  di culto

sinagoga

 

basilica , tempio

moschea

 

Tipo di culto

collettivo e sacrificale

 

collettivo e memoriale

 collettivo e peregrinante

 

Ministro del culto

Non vi sono preti; ma chi presiede il culto è maschio anzi  più maschi insieme, sono ammesse le donne in casi estremi in assenza dei maschi.

Il rabbino è un interprete della Torah, un insegnante, un saggio, non necessariamente un ministro del culto, i rabbini sono sposati

Preti maschi nella chiesa cattolica e ortodossa.Pastori , maschi e femmine , nella maggioranza delle chiese protestanti.

I preti cattolici di rito occidentale  devono essere celibi, i /le pastori/e di altre chiese cristiane possono essere sposati/e

 esclusivamente maschio ma come per l’ebraismo non è un sacerdote, bensì un saggio che interpreta il Corano ( sono detti ) ulama o mullas  e sono sposati.

 

Presenze femminili

Nella storia biblica  matriarche, profetesse; in epoca moderna nessuna in particolare

Maria Madre di Gesù, definita Madre di Dio, Apostole e discepole, numerose sante,

Le donne dell’Islam c oranico sono pochissime: Maria, Fatima

Ancora oggi non possono guidare il culto

 

 

 

Presenza fondamentalismi

sì – ebrei ultraortodossi

origine protestante del concetto  di fondamentalismo, ancora oggi vi sono correnti fondamentaliste  –nell’ambito del cattolicesimo dogmatico si usa  parlare  di movimenti o posizioni  integraliste.

Gli storici  musulmani non accettano il concetto occidentale di fondamentalismo , ma è forte la somiglianza del fondamentalismo di origine ebraico-cristiano con quello presente in movimenti di origine islamica

 

Presenza di movimenti femministi

Si, solo in epoca recente a partire dalla fine dell’ottocento

Si,  con collegamenti con il movimento femminista in generale (significativo sviluppo della teologia femminista)

Si,  con forte affermazione della peculiarità islamica fin dall’inizio del novecento

 

Uso religioso della Guerra

Nella storia del popolo ebraico molte sono state le guerre giustificate per volontà di D-o

Nella storia delle società cristiane molte guerre sono state giustificate con l’appoggio della  religione.

La guerra santa è legittimata dal Corano come lotta contro gli infedeli

 

 

4) Laboratorio

 "Le religioni tra pace e guerra"

Comunità dell’Isolotto

 

- Schematica presentazione

- Spunti di discussione

Schematica presentazione

 

Il fondamentalismo sorge nei periodi di crisi quando è forte la paura di perdere l’identità e quando ci si sente minacciati?

Oppure è la religione, la quale nella sua realtà storica è stata sempre molto aggressiva, ad essere per sua natura fondamentalista, perché l’uomo avrebbe proiettato su Dio la propria aggressività?

E’ possibile una religione nonviolenta? E’ realmente possibile liberare le religioni dalla violenza iscritta, come dice qualcuno, nel loro codice genetico? Sono possibili un cristianesimo, un islamismo, un ebraismo radicalmente nonviolenti, è possibile un buddismo non distrattivo e non consolatorio?

Il compito di liberare le religioni dalle radici della violenza è solo di chi sta “dentro” le religioni stesse? Insomma i laici possono continuare a chiamarsi fuori dai problemi religiosi, ecclesiali e perfino teologici?

Proponiamo il seguente itinerario di lavoro:

venerdì 1 novembre pomeriggio: confronto a partire dagli spunti allegati di seguito;

sabato mattina: socializzazione di esperienze concrete ( saranno presenti Luigi Ontanetti dell’Agesci e Lisa Clark dei Beati Costruttori di pace);

sabato pomeriggio: tentativo di sintesi del lavoro svolto.

Tenteremo di usare anche strumenti di comunicazione non verbali.

Per approfondire alcuni aspetti del tema del laboratorio segnaliamo:

 

Karen ARMSTRONG, In nome di Dio – Il fondamentalismo per ebrei, cristiani e musulmani, Il Saggiatore, Milano 2002.

Ernesto BALDUCCI, La rivoluzione non violenta, Testimonianze n° 328, 9/1990.

AA:VV. Il fondamentalismo come sfida ecumenica, Concilium, 3/1992.

 

Spunti di discussione

Premessa:

Il fondamentalismo intollerante e violento è una degenerazione o è invece costitutivo delle istituzioni religiose?

Il presidente Ciampi ha di recente sostenuto (a Bratislava il 9 luglio scorso – così ci dicono i giornali) l’idea di inserire nella nuova Costituzione europea un esplicito riferimento alla comune matrice religiosa cristiana. Posizione ribadita da Giuliano Amato (vicepresidente della Convenzione europea incaricata di scrivere il testo comune), il quale, col plauso di Gianfranco Fini, ha detto che “la Carta dovrà contenere anche i valori identitari della società e tra questi la religione, potente fattore di difesa dei principi di tolleranza tipici della società europea. … Le religioni hanno una forza straordinaria, non vedo ostacoli a inserirle nella Costituzione europea”.

Tralasciamo il problema specifico della Costituzione europea, che merita altre competenze e altri spazi. Invitiamo invece a porsi la domanda, che hanno evitato di porsi Ciampi, Amato e Fini, se è vero, o meglio se è totalmente vero, che le religioni, e più in particolare la religione cristiana nelle sue diverse connotazioni confessionali, sono un “potente fattore di difesa dei principi di tolleranza”. Se lo sono state in passato e se lo sono adesso. Se il fondamentalismo intollerante e violento è una degenerazione o se è invece costitutivo delle istituzioni religiose, dei loro impianti ideologici e simbolici, e in questo caso se è costitutivo di tutte o solo di alcune religioni.

C’è chi sostiene che le religioni sono radicalmente intolleranti e fonte di intolleranza. Il fondamentalismo non sarebbe una degenerazione ma un connotato costitutivo di tutte le religioni. Condividiamo una tale analisi? Ci rassegniamo a consegnare alle strumentalizzazioni del potere, che esistono e sono forti, una immensa risorsa di valori e di esperienze positive e creative quali sono le religioni. Il problema esiste e resiste.

 

Dio-Assoluto o Dio-relazione e quindi re-lativo?

La nostra tesi, o meglio la nostra esperienza, è che le religioni sono un potente fattore di tolleranza, ma soltanto per una specie di codice genetico impresso nel profondo dalle esperienze che le hanno generate. Non lo sono invece per gli assetti ideologici e istituzionali che le religioni hanno assunto nella loro storia di connubio col potere. Le religioni sono un potente fattore di tolleranza nella misura in cui i “credenti” hanno il coraggio e la forza di ritrovare e rivitalizzare e portare a pienezza epoca per epoca quel codice genetico. Non lo sono nella misura in cui i “credenti” si assoggettano, si rassegnano, si adattano agli assetti ideologici e istituzionali della codificazione violenta. Non sono fattore di tolleranza se i “credenti”, che magari si impegnano per condannare e contrastare l’intolleranza, la violenza e la guerra nella società laica, economica e politica, non esprimono uguale impegno nel ricercare e contrastare le radici di intolleranza, di violenza e dei guerra che si annidano negli ordinamenti ideologici, dogmatici e simbolici della loro stessa fede.

Prendiamo spunto dal film di Pam Nalin Samsara. In prima istanza è il protagonista, un giovane lama, che critica l’assolutismo radicalmente violento e intollerante della rinuncia come unica via al nirvana. La sua non è una critica di sole parole. Esce dal monastero, si innamora, si sposa e ha un figlio. Poi però dopo varie esperienze sente di nuovo l’attrazione del monastero e come Budda abbandona moglie e figlio per tornare alla vita della rinuncia radicale. Infine è la moglie di lui che accusa il buddismo di essere una esperienza di maschi per maschi. Intollerante verso la donna. Incapace di capire e valorizzare il contributo femminile alla illuminazione. Che illuminazione è quella del Budda, il maschio che abbandona la moglie e il figlio? E’ una illuminazione a metà, è una illuminazione escludente e intollerante. “Buon viaggio” dice la moglie al marito che l’ha abbandonata e che dopo un drammatico colloquio sarebbe anche disposto a tornare a lei e al figlio. E così lo lascia ai suoi tormenti di maschio, eterno bambino, “credente” ma di una esperienza spirituale e in qualche modo religiosa che promette miracolose illuminazioni ma rende incapaci di relazioni piene. L’illuminazione è relazione sconfinata.

In termini diversi, la critica contenuta in Samsara si può applicare sostanzialmente anche alle altre religioni. Più a fondo conosciamo la religione cristiana e cattolica e su questa ci diffonderemo. Come l’illuminazione buddista, anche la salvezza cristiana dovrebbe tendere a trovare il suo fondamento primo nelle relazioni attualizzando epoca per epoca l’esperienza da cui sono scaturiti i Vangeli. Il Vangelo è essenzialmente primato assoluto delle relazioni: ama Dio e ama il prossimo. Il resto, tutto il resto viene dopo. E dovrebbero venire dopo, nel cristianesimo, la verità, il sacramento, la rivelazione, il potere di sciogliere e di legare, il dogma , la legge. E dovrebbe venire dopo anche l’ovile, cioè la Chiesa come appartenenza. Prima è la relazione in quanto relazione aperta, costantemente alla ricerca di un “oltre”, protesa al superamento di tutti i confini e di tutte le appartenenze. Si direbbe che prima è l’amore critico e creativo. Dio stesso, il Dio del Vangelo, è relazione. Dio non è l’Essere perfettissimo, l’Assoluto, l’Onnipotente, l’Unico. Questa concezione di Dio come onnipotenza, unicità, assolutezza è la proiezione umana del senso del dominio e del potere. Ci torneremo dopo. Il Dio dei Vangeli non è onnipotenza ma paternità, è Padre. Sorvoliamo sul fatto che anche Dio-Padre può essere visto come proiezione del potere patriarcale. Anche in Dio-Padre c’è una radice di violenza. Qui c’interessa però il primato della relazione introdotto nel concepire Dio dai partecipi alla esperienza da cui nascono i Vangeli. Dio è padre è figlio è spirito. Non è monoteista. Il monoteismo non viene dai Vangeli ma dal connubio successivo dei poteri ecclesiastici col potere imperiale. E’ il potere imperiale romano che per essere onnipotente deve essere unico ed ha bisogno di specchiarsi in una divinità monoteista. E nel momento in cui il cristianesimo accetta di piegarsi a coprire e sostenere l’unicità e l’onnipotenza del dominio romano sul mondo allora conosciuto, in quel momento modifica il suo Dna, diviene monoteista e viene costituzionalmente inserito nel sistema di guerra. Dio unico e onnipotente, non è più che di nome il Dio del Vangelo, in realtà è il dio della guerra.

 

 

La violenza insita nel monoteismo

Per affrontare questo aspetto è d’obbligo riferirsi a uno studio fondamentale di

Erik Peterson: Il monoteismo come problema politico, Queriniana, Brescia, 1983. Il libro esce in Germania nel 1935 da un dotto teologo tedesco che prima era stato protestante e poi si era convertito al cattolicesimo in polemica con l’accondiscendenza ai poteri politici delle dirigenze ecclesiastiche protestanti. Peterson è un oppositore del nazismo e scrive il libro proprio in funzione antiregime. Egli mostra e dimostra che il cristianesimo all’origine non è monoteista. Il dio del Vangelo è essenzialmente relazione e in qualche modo pluralismo: è un Dio trinitario, è un Dio amore in quanto relazione fra persone diverse. E’ da Costantino che il cristianesimo diventa fede monoteista, cioè adorazione di un Dio unico, Padre onnipotente, creatore e signore del cielo e della terra, in funzione di giustificazione e sostegno all’assetto imperiale universale del potere romano. E all’inizio lo fa per contrastare l’accusa che veniva fatta ai cristiani di essere nemici dell’impero e negatori della divinità dell’imperatore. Sono i Padri della Chiesa che dicono in sostanza: guardate che i veri difensori della sacralità dell’impero siamo proprio noi. La nostra religione è superiore alle altre proprio perché noi crediamo in un solo Dio in cielo dal quale deriva la verticalità del potere anche sulla terra. E’ il politeismo la causa delle guerre fra popoli e delle ribellioni. Perché ognuno ha il proprio Dio e tutti questi dèi sono in lotta perenne fra loro. Solo la fede in un dio unico può portare a un unico dominio, quello dell’imperatore romano, e alla pace stabile se non eterna fra le nazioni e i popoli.

Tale problema esisteva ancor prima di Costantino. Sembra che gli imperatori romani precedenti avessero già tentato di incoraggiare e diffondere il culto a un dio generico, universale, un dio supremo e celeste in cui tutti gli altri culti e religioni e anche i cristiani stessi potessero riconoscere qualche tratto del proprio dio: e questo dio universale era stato individuato nel “dio sole”. Sembra che Costantino nella battaglia del ponte Milvio contro Massenzio non avesse sui labari l’insegna di Cristo ma proprio quella del dio sole. Solo in un secondo momento, diventato unico imperatore, avrebbe assunto la religione cristiana come strumento di sacralizzazione della sua autorità unica e cemento dell’unità dell’impero.

E lo fa col consenso del potere ecclesiastico ormai saldamente in mano ai vescovi. I quali si appoggiano nel governo della Chiesa a intellettuali influenti e convincenti che vengono chiamati “Padri della Chiesa” in quanto davvero hanno generato la ideologia cristiana detta tradizione ecclesiastica, cioè il dogma, la morale, l’etica dell’ordinamento liturgico e canonico, la visione complessiva della realtà. Orbene, i Padri della Chiesa da Costantino in poi, seguono tutti la stessa linea ideologica: uno l’impero, uno il potere, uno Dio, uno il Salvatore universale Cristo Gesù.

- A cominciare da Eusebio, il primo storico ecclesiastico vissuto in Palestina dal 265 al 340 circa e divenuto vescovo di Cesarea di Palestina nel 313. Grande amico di Costantino, suo biografo e da lui ricoperto di onori e ricchezze.

Esiste un profondo legame in Eusebio– scrive Peterson – fra la fine degli stati nazionali e la fine del politeismo, fra la monarchia di Augusto e la venuta di Cristo, fra la pax romana e la pace portata dal “principe della pace”.

“Chi potrebbe non meravigliarsi – sono parole di Eusebio – se pensa tra sé e riflette che non può essere opera di uomini, che soltanto a partire dai tempi di Gesù e non prima, la maggior parte delle nazioni dell’ecumene siano giunte sotto l’unico dominio dei romani e che contemporaneamente all’inaspettata venuta di Cristo fra gli uomini, lo stato romano abbia cominciato a fiorire? Augusto diventò unico sovrano sulla maggior parte delle nazioni … che ciò non coincidesse casualmente con l’insegnamento del nostro salvatore, chi non lo vorrebbe ammettere, se si pensa che per i suoi discepoli non sarebbe stato facile muoversi in tutte le direzioni se le nazioni fossero state isolate fra loro … avendo ciascun popolo la sua sovranità? Dio che è sopra di tutti aveva davvero preparato loro la via e, attraverso il timore nei confronti dell’impero, aveva fatto cessare le esplosioni di ribellione da parte dei superstiziosi del politeismo … ma quando apparve il Signore e Salvatore e contemporaneamente al suo avvento, Augusto, primo tra i romani, diventò sovrano fra le nazioni, si dileguò il frazionamento pluralista della sovranità nelle singole nazioni e la pace avvolse tutta la terra … sotto il nuovo nome di Cristo, innumerevoli popoli e nazioni hanno abbandonato i loro dèi tradizionali e il loro vecchio superstizioso errore politeistico richiamati a colui il quale è Dio unico … per questo viene ora donata ad essi la pace più profonda poiché non esiste più una sovranità pluralistica e una regalità locale, al contrario ognuno si riposa dal suo lavoro agricolo all’ombra di una vite o di un fico poiché niente più lo spaventa”

Per cui, secondo Eusebio - commenta Peterson –, il monoteismo è iniziato in linea di principio con la monarchia di Augusto e con la fine delle nazionalità. E’ Augusto che inaugura il monoteismo. Ciò che però ha avuto inizio con Augusto diventa realtà piena con Costantino. All’unico re sulla terra corrisponde l’unico re in cielo e l’unica religione sovrana quella di Cristo.

- Le idee di Eusebio hanno avuto un’enorme influenza storica. Le ritroviamo ovunque nella letteratura dei padri della Chiesa.

Prudenzio poeta cristiano spagnolo, latino, del terzo secolo scrive:

“Vuoi che ti dica, romano, qual è la causa del così grande successo dei tuoi sforzi, il sostegno che ha permesso alla tua gloria di accrescersi al punto da imporre al mondo il freno del tuo dominio? I popoli avevano lingue differenti, i regni civiltà discordanti, Dio volle riunirli sottomettendo a un solo impero tutto ciò che era civilizzato … affinché l’amore della religione tenesse uniti i cuori degli uomini; infatti non c’è unione degna di Cristo se uno spirito unico non associa intimamente le nazioni – infatti che posto potrebbe esserci per Dio in un mondo violento e nel cuore degli uomini in disaccordo e che difendono in diversi modi i loro diritti, come fu una volta?”.

S. Ambrogio, vescovo di Milano, del VI sec.: “Tutti gli uomini hanno imparato, vivendo sotto un unico impero universale, a proclamare col linguaggio della fede l’impero dell’Onnipotente”.

S. Girolamo, filosofo e biblista latino, del VI sec,: “Dopo che si giunse alla sovranità di Cristo, Roma ottenne di essere governata da un unico potere, e la terra divenne accessibile al cammino degli apostoli, e furono loro aperte le porte delle città ed il comando di uno solo fu consolidato dalla predicazione di un solo Dio”.

E via di questo passo…..

Peterson conclude criticando il monoteismo come degenerazione pericolosa anche per il suo tempo, il tempo della dittatura nazista. Rovesciando il ragionamento di Eusebio, secondo cui come si è visto sarebbe soltanto dal monoteismo in cielo e dal governo di uno solo sulla terra che verrebbe la vera pace, Peterson sostiene invece che proprio nel monoteismo si annida la radice della dittatura, della violenza e della guerra. Insomma la pax romana esaltata dai padri della Chiesa non è vera pace, anzi è guerra infida, ancor più pericolosa e distruttiva della guerra dichiarata. E’ sistema di guerra che si ammanta di pace e così riesce ad abbassare le difese etiche e psicologiche e a farsi accettare come bene supremo. E’ una guerra vinta nelle coscienze prima ancora di essere combattuta.

Egli rivendica piuttosto il ruolo teologico e politico del dogma cristiano della Trinità di Dio in opposizione al dogma del Dio unico o monoteismo. Va riconosciuto a Peterson il valore della sua analisi storica sulle origini del monoteismo e apprezzato il suo sforzo nell’individuare nel monoteismo stesso radici della cultura del dominio violento. Ma risulta debole quando trova la soluzione nella Trinità intesa in senso dogmatico, personalizzato e totalmente trascendente. Questo modo di intendere la Trinità è riduttivo. Un Dio relazione trinitaria, ma relazione chiusa in se stessa in quanto astratta dal mondo, relazione autosufficiente, relazione che crea e governa dall’alto tutte le relazioni umane, in che si differenzia dal Dio unico? Forse occorre andare oltre il dogma e oltre la trascendenza separata dal mondo e dalla vita.

 

Già il Dio della Bibbia, Javhè, non nasce monoteista, lo diventa come proiezione del potere monarchico. Il re David aveva preceduto Costantino.

Studiosi, storici e teologi, ci dicono che il problema della esclusività del culto di Dio per il popolo d’Israele, sancito dal primo comandamento (Non avere altro Dio fuori di me, o tradotto in modo più appropriato: Non avere altro Dio al mio cospetto – Esodo, cap.5, 7), non ha nulla a che fare col monoteismo, il quale sarebbe invece un approdo molto posteriore alla codificazione del decalogo. Sembra che il decalogo biblico, le famose tavole della legge, si radichi in antiche esperienze di vita nomade e che prima della immigrazione in Palestina non esistesse un "popolo d'Israele” schiavo in Egitto, ma solo tribù e gruppi tribali senza legame fra loro. Erano le tribù del nomadismo povero senza diritti, diverse dai beduini i quali erano proprietari di cammelli e potevano avanzare diritti su un certo territorio. Vivevano pacificamente nella steppa ai margini meridionali della terra palestinese coltivata, dove l’estate dopo il raccolto trovavano pascolo per il proprio bestiame minuto. E’ forse da questa esperienza di sradicamento che nasce in tali tribù il culto verso una divinità anch’essa sradicata, non legata ad alcuna località, ma accessibile solo attraverso un patto di reciproca elezione fra tribù e Dio, patto simboleggiato dalla tenda. E sarà questa religione della tenda che le tribù del nomadismo povero si porteranno con sé quando in determinate circostanze storiche riusciranno a insediarsi nella terra coltivata non più solo per una stagione ma per tempi via via più lunghi. Il primo comandamento è una disposizione legata al culto non dogmatica né ideologica: quando prestate culto a me spogliatevi degli altri dèi. Essa trae significato da uno sfondo che lo storico delle religioni definisce politeistico, infatti è proprio perché gli ebrei convivevano pacificamente con più divinità che nel momento del culto collettivo a Jahvè sentono il dovere e il bisogno di dedicarsi a lui solo (Gerhard Von Rad, Teologia dell’Antico Testamento, Paideia, Brescia, 1975, vol I pag. 244).

Ma la storia d’Israele non finisce con la immigrazione dal nomadismo alla terra coltivata della Palestina. Il processo successivo è la conquista della terra e poi la nascita dello stato monarchico.

Con la unificazione politica operata dalla monarchia, anche Jahvè viene centralizzato e diventa il dio unico.

E Jahvè cammina e precisa la propria identità col precisarsi della identità del suo popolo. E’ così che con la conquista, con la unificazione di tutte le tribù, con la nascita dello stato, col consolidasi della monarchia, con l’affermarsi del dominio di Israele sugli altri popoli della Palestina, anche Jahvè acquista potere e s’impone. E quando David trasporta a Gerusalemme l’arca e quando Salomone costruisce il tempio, il Dio nato errante e sradicato diviene oggetto di un culto di stato in un luogo istituzionale. E’ a cominciare da questo periodo storico di unificazione e di relativa potenza che inizia il processo di riflessione su Dio che condurrà all’esclusivismo di Jahvè non più solo nei momenti del culto ma come principio ideologico. E’ qui insomma che nasce il monoteismo. Si sviluppa nei circoli di corte, in un clima culturale che oggi definiremmo di secolarizzazione, quando gli ambiti della vita e quelli del culto si differenziano e si separano. Il monoteismo è un prodotto della mente che si emancipa dalla natura. La nascita di Dio come entità assoluta ed escludente, la cui identità è definita dagli intellettuali di corte ed è imposta a tutti come elemento politicamente unificante, coincide con la morte di Dio del deserto, anima del mondo, fermento della vita, della morte, delle relazioni, amore che unifica e libera dal di dentro, forza da cui emanano direttamente e di volta in volta i carismi capaci di condurre il popolo anche nelle azioni belliche. Ora anche la guerra non è più un evento di popolo, legato alla lotta per la sopravvivenza, ma un affare di stato e un sistema di potere. Il legame fra il trono di Jahvè e il trono di David diviene indissolubile. E così nel Dna del Dio della Bibbia si è inserito il gene del sistema di guerra. Contro quel gene si sono opposti molti profeti, alla radice di quel gene ha posto la scure l’esperienza di Gesù di Nazareth.

 

Dal Dio-relazione-amore dei Vangeli a Dio “cifra assoluta della aggressività umana”.

Nel cristianesimo avviene lo stesso processo di trasformazione di Dio che si è verificato nella tradizione ebraica. Possiamo dire con Peterson, citato, che il Dio dei Vangeli è relazione trinitaria. Precisando però, cosa che non fa il ricercatore tedesco antinazista, che tale relazione trinitaria è anima della rete infinita delle relazioni umane e cosmiche, e non dominio trascendente-separato. Senza questa precisazione sostanziale, anche la relazione trinitaria diventa imperiale e fonte d’imperialismo. Quindi Dio é relazione a sua volta compresa, realizzata creativamente da tutte le relazioni umane e cosmiche. Non basta dire Dio Trinità. Forse bisogna dire Dio-relazione incompiuta, Dio-relativo, imperfetto e bisognoso, Dio-speranza, Dio-futuro.

Ci sono pagine di Ernesto Balducci che esprimono con rigore e radicalità una tale trapasso storico compiuto nel cristianesimo.

In un Convegno delle comunità di base, a Firenze, nel salone dei 500, nel 1987, egli affermò:

 

"Io sono convinto che non ci può essere cultura della pace se non con la eliminazione del sacro: la fine del sacro è la fine della cultura di guerra...quando è avvenuto l'inserimento delle comunità cristiane negli spazi del potere, c'è stata la sacralizzazione della Chiesa ... il Cristianesimo si è inserito nei quadri della cultura sacrale ed ha assolto la funzione di religione della società; e la religione di una società ha il compito di portare i sigilli alla violenza della società. …Il cristianesimo è lacerato al suo interno in maniera irrimediabile da questa doppia polarità. Da una parte il cristianesimo pretende di essere la religione della società, chiede spazi, concordati, riconoscimenti. Allora esso è inevitabilmente funzionale alla logica della violenza, senza rimedio. Ma il cristianesimo in quanto fede profetico-messianica è un annuncio e una esperienza di liberazione dell’uomo da ogni forma di alienazione, da ogni forma di sudditanza alla forza, e quindi è di per sé una profezia e una esperienza di pace. Le comunità di base sono comunità di pace nel senso forte e ricco della parola. Esse mirano ad esorcizzare la violenza che attraverso la stessa pedagogia della fede abbiamo introiettato, la violenza che si annida anche nei nostri riti, per inventare una forma di mediazione del messaggio evangelico del tutto libera dalle categorie sacrali. ". (Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma, 2002 – sezione a cura di Sergio Gomiti).

Poi Balducci spiega che il “sacro” è una realtà complessa. Non va identificato, egli dice, con uno spazio determinato. Il sacro non va reificato. Il sacro è la percezione del relativo, il bisogno di trascendere il relativo in cui siamo immersi. Il sacro quindi è la funzione critica della società. Esso richiede una gestione profetica, una consapevolezza che parta dal basso, dal terreno della vita. Un sacro così inteso e vissuto è il sogno del figlio di un minatore dell’Amiata, che approdato a Firenze e condotto in un primo tempo a intrecciare rapporti con i salotti della élite intellettuale e con le stanze del potere, aveva poi sperimentato il suo “esodo” (Diario dell’esodo è il titolo di uno dei suoi libri più significativi) come ritorno alle radici della sua origine popolare. Ciò che va eliminato - spiega ancora Balducci - è il sacro reificato, sequestrato dal potere, separato dalla vita, collocato in spazi e luoghi e gesti e riti determinati, gestito da persone sacralizzate. E’ il sacro che dalla rivoluzione del neolitico in poi ha assolto la funzione di integrare la forza dentro le regole della ragione. Non di eliminare la forza ma di sacralizzarne e regolarne l’uso come cultura: cultura di guerra, momento dirimente dei conflitti sia interni che esterni alla città. Va eliminata la sacralità come funzione del potere, del dominio e della espropriazione dell’uomo. E’ proprio questa eliminazione del sacro reificato l’esperienza che fecero le comunità del primo annuncio del Vangelo.

Sono affermazioni forti. E soprattutto sono centrali nella elaborazione dello scolopio, figlio di un minatore dell’Amiata, rimasto fedele alla cultura popolare delle proprie origini. Purtroppo sono per lo più ignorate dai biografi di lui o annegate nel mare di temi meno compromettenti per la sua futura santificazione.

 

In una conferenza del 1988 e in una successiva conferenza sulla Rivoluzione della nonviolenza fu ancora più esplicito:

 

"Le religioni, nate come sono in questa cultura di guerra, sono sempre religioni di guerra, nonostante che esse magari esortino alla pace, invochino la pace. Esse legittimano il costume di guerra, le categorie mentali della guerra....Per vivere, esse devono morire".

 

“Il rapporto decisivo, sia per valore simbolico sia per una sua fondamentalità metafisica, è quello uomo-Dio, che è servito da schermo e da sigillo ideologico della cultura della violenza. Si tratta dell’asse antropologico in cui le mie esperienze conflittuali sono più frequenti, quotidiane e quindi mi perdonerete se vi insisto.

Le cose che devo dire sono certamente le più scandalose perché non appena tocchiamo i centri nevralgici della nostra violenta sistemazione culturale la reazione si fa più forte. Abbiamo esaltato all'infinito, sacralizzandoli, i nostri istinti di aggressività nell'idea di Dio. Dio è la cifra assoluta della aggressività umana. L'uomo ha scritto che Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza. La verità è l'opposto: l'uomo ha fatto Dio a propria immagine e somiglianza. Il Dio a cui siamo stati assuefatti è un Dio aggressivo, discriminante, implacabile, giusto nel modo con cui noi pensiamo che si debba essere giusti, capace di mantenere in totale estraneità da sé i cattivi per tutti i secoli dei secoli. All'interno di un Dio così pensato abbiamo collocato il Vangelo di Gesù Cristo”. Teologicamente è avvenuto questo (i testi di teologia studiati per secoli dai preti sono lì a dimostrarlo): prima si è dimostrato, in forza di ragione, come se la ragione fosse un metro allo stato puro, conservato in edenica purezza, che Dio c'è e che cosa è Dio. Poi abbiamo detto che questo Dio ideologicamente definito si è incarnato in Gesù Cristo il quale ha fondato una Chiesa la quale ha tutti i poteri. ... Il cerchio si chiude! L’aggressività passata attraverso Dio, sacralizzata ai vertici, scende su di noi. La teocrazia fu la sistemazione teorica massima di questa aggressività con la teologia sacrificale, secondo la quale Dio non perdona l'uomo finché l'uomo non ha fatto una espiazione pari al peccato, cioè infinita; non essendo questa espiazione possibile all'uomo, che è finito, era necessario che ci fosse un uomo-Dio per cui l'espiazione fosse dell'uomo - e perciò del soggetto peccatore - ma anche di Dio - e perciò infinita. Ed ecco Gesù Cristo uomo-Dio! Questo è il cerchio della teologia aggressiva.

Noi riscopriamo che il Dio di Gesù Cristo non è questo Dio. Noi che siamo i promotori di una rivoluzione nonviolenta, all'interno della Chiesa, dobbiamo compiere questa rivoluzione e scoprire il Dio di Gesù Cristo. Il Dio di Gesù Cristo non è scoperto dalla ragione umana che è sotto sospetto, ma è manifestato dall'uomo Gesù di Nazareth. …. Dio si manifesta nel mondo come servo sofferente, non come padrone dominante. … Soltanto i miti conoscono Dio … Dio si conosce con la mitezza interiore, cioè col superamento della violenza, l'abbandono di ogni atteggiamento di violenza, anche conoscitiva. … Dobbiamo allora liberarci dalla cultura della violenza perfino nella nostra vita di fede. Non è cosa da poco” (Testimonianze 328/1990, pagg 26-27).

 

Lavori in corso

Balducci, da buon intellettuale, usava l’indicazione “dobbiamo”: “dobbiamo liberarsi dalla cultura della violenza perfino nella nostra vita di fede”. Noi da gente della strada abbiamo un’altra indicazione: “lavori in corso”. Stiamo parlando della esperienza delle comunità di base e di altre simili. E’ davanti a noi il discorso di liberazione di Gesù a Nazareth e i segni profetici delle guarigioni inviati dallo stesso Gesù a Giovanni Battista. Lavoriamo per liberarsi e liberare per sanarsi e sanare. E non lavoriamo solo nelle regioni della consapevolezza. Lavoriamo anche oltre le frontiere delle consapevolezze e perfino oltre i limiti del sogno, ai confini dei grandi silenzi, silenzi nostri e soprattutto della gente umile, della gente da sempre repressa, da sempre inginocchiata a chiedere la salvezza dall’onnipotenza, incapace perfino di sognare, ai confini del silenzio di donne e uomini dove l’inconscio si apre all’ignoto. Ai confini di quel silenzio che in noi, come in un utero pregno, cova nascite di mondi nuovi. Ai confini di quei silenzi che dotti e maestri e sacri pastori ignorano per cieca fiducia nella loro rumorosa, onnipotente razionalità necrofila, “verità vera”, razionalità senza mistero. Lavoriamo per far emergere e sanare traumi spirituali e morali che la mente e tutto il corpo hanno patito perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come blocco della speranza, spavento senza parola, vuoto dell’anima (tutto questo è in straordinaria consonanza con le nuove frontiere della psicanalisi  - cfr. Patrizia Cupelloni La ferita dello sguardo, Angeli 2002, in Corriere della sera 22 maggio 2002 p. 37). Lavoriamo per passare dalla perdita inconsapevole e dall’angoscia talvolta senza nome alla ricerca di senso e di speranza: questo vuol dire per noi comunità, primato delle relazioni senza confini, cristianesimo dei segni dei tempi, religione dell’amore critico e creativo. Anche da qui, da questa rivoluzione delle e nelle religioni passa l’anima sociale e solidale del processo di globalizzazione.

 

Le nostre esperienze e riflessioni hanno individuato nel Dio-Assoluto-Onnipotente una delle radici principali della violenza e del sistema di guerra.

Intrecciate con questa e forse sue derivazioni altre radici s’insinuano in ogni piega degli assetti religiosi sia del cristianesimo sia delle altre religioni istituite.

Solo a titolo di esempio, presentiamo alcuni aspetti:

 

- Lo stretto legame fra sofferenza, morte e peccato-ribellione.

Dio-Bontà e Perfezione assoluta non ha creato il dolore del mondo e nemmeno la morte, li ha solo previsti nella sua onniscienza. Ha creato esseri liberi. E’ dalla libertà che nasce la ribellione al progetto di Dio, cioè il peccato, il male assoluto. E’ dal peccato-ribellione-male assoluto che vengono la sofferenza e la morte. Il peccato-ribellione-male assoluto è il nemico radicale della felicità. Per questo non ci sono limiti alla lotta contro il peccato. La violenza e la guerra sono in radice necessarie. Anzi sono connaturate alla funzione delle religioni come fulcro della lotta divina e umana contro il peccato. Contingenze storiche possono consigliare più misericordia e meno violenza e possono addirittura escludere la violenza e condannare in certi casi la guerra. Mai però si può escludere la lotta contro il peccato.

 

- Lo stretto legame fra peccato e sacrificio, stabilito da Dio-Assoluta Giustizia.

Per vincere la morte eterna Dio ha bisogno di vite infrante su questa terra, ha bisogno di sangue versato. L’innocente stesso non può non essere sacrificato. Perché mai, se lui è un essere così docile e buono? La risposta della teologia dominante non solo nel cristianesimo ma, in forme diverse, in tutte e tre le cosiddette religioni del libro è questa: Abele, prototipo dell’innocente, non può non essere sacrificato perché in realtà anche lui non è innocente.

Anche il martire, prima di essere assunto da Dio come testimone, è al fondo come tutti peccatore e in quanto tale destinato alla morte eterna e al supplizio senza fine. Di fronte al peccato di origine con cui Adamo ed Eva hanno inquinato tutta l’umanità per tutti secoli dei secoli non c’è bontà che tenga. La giustizia infinita di Dio non può transigere di fronte all’offesa infinita appunto perché è una giustizia infinita e perfetta. Per salvare il genere umano peccatore e quindi per salvare anche il martire ha bisogno di sangue versato. Caino e tutti i massacratori della storia sono al fondo strumenti della giustizia divina, perversi quanto si vuole, liberamente perversi, ma sempre strumenti, previsti e messi nel conto dalla onniscienza di Dio.

La cosa poi nel cristianesimo si complica ulteriormente perché tutto il sangue dei martiri e tutte le sofferenze e tutte le morti non sarebbero affatto sufficienti. Il peccato di origine ha prodotto un’offesa “infinita”, perché è ribellione a un Dio infinito, e quindi ci vuole una riparazione anch’essa di valore infinito. Ecco il martirio di Dio fatto uomo, Gesù. Solo lui, assumendo un corpo umano ma restando Dio, con la morte di croce apre la salvezza al mondo intero. La croce è la sofferenza e la morte di un uomo ma ha un valore infinito perché quell’uomo è Dio. E così Dio dimostra il suo grande infinito amore. La giustizia infinita è placata ma è soddisfatto anche l’amore infinito. Così stanno insieme giustizia infinita e amore infinito.

Ma allora, se Cristo da solo è sufficiente, perché i martiri? Non se ne poteva fare a meno? Non bastava il sangue e la morte dell’uomo-Dio? No, perché i credenti in lui, i salvati, i buoni, sono la continuazione nel tempo del suo corpo e quindi non possono non passare attraverso la partecipazione alla sofferenza e alla morte di lui. Per risuscitare con lui alla vita e alla felicità eterna non possono non essere crocifissi in  qualche modo con lui e con lui sepolti nella morte terrena. La felicità eterna ha bisogno di sofferenza terrena; la risurrezione ha bisogno di morte. Ogni sofferenza e ogni morte è in qualche modo un martirio attraverso cui si può accedere, se Dio lo vuole, alla vita eterna.

 

- La trasformazione della eucaristia in sacrificio perenne. L’eucaristia, come viene concepita e vissuta, è la codificazione del legame inscindibile fra peccato e sacrificio e il sanzionamento della perennità della violenza nel mondo.

Nel Vangelo non sembra che sia così. Tradotto in termini espliciti, e quindi riduttivi, il messaggio che emana dalla simbologia evangelica dell’ultima cena potrebbe essere questo: la via della salvezza non passa attraverso il sacrificio rituale, che è solo consolatorio, anzi è un imbroglio mascherato di sacro (il Tempio ridotto a spelonca di ladri). La via della salvezza sta nella condivisione degli elementi offerti dalla natura e dal lavoro dell’uomo, essenziali alla vita, simboleggiati dal pane e dal vino. E il sacrificio? E’ scomparso? No, non è affatto scomparso. E’ anzi inserito, con un significato però rovesciato, come elemento essenziale nella profondità del significato della condivisione. La condivisione eucaristica del pane e del vino non è una qualsiasi spartizione contrattuale: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. La eucaristia è una condivisione esistenziale che non è mai appagata dai livelli di giustizia raggiunti storicamente dalle spartizioni contrattuali. Cerca e vuole livelli sempre più alti di giustizia e quindi tende di continuo a un “oltre” che sfugge a ogni possesso. Perché il corpo e il sangue, la vita umana, non si possono esaurire mai in un contratto o in un programma politico. Il corpo e il sangue sono l’anima della trasformazione continua della storia. Sono il motore intimo della lotta inesausta per la giustizia.

E’ sottile e profondo questo significato della eucaristia nel Vangelo.

Condividere il pane e il vino è salvifico, produce salvezza, perché è condividere corpo e sangue, è condividere la vita.

E condividere la vita, ecco un ulteriore passaggio, è accettare che la vita sia limitata e mortale. E quindi in qualche modo è anche vincere la morte. E’ un vincere pieno di drammaticità ma anche di positività: è gestire e superare l’angoscia della morte. Tant’è vero che il Gesù dei Vangeli affronta la conflittualità, con cui i dominatori del Tempio tentano di contenere e reprimere il carattere destabilizzante di quella condivisione, affronta lo scontro mettendo in gioco il proprio corpo e il proprio sangue. E così poi faranno i primi cristiani che affronteranno col martirio la conflittualità con la cultura e il potere dell’Impero, che vuole dominio sulla spartizione e non condivisione.

L’eucaristia è l’anima della ricerca inesausta e anche della lotta pacifica per la giustizia. Non si può condividere pane e vino, i simboli della eucaristia, senza condividere corpo e sangue.

E venne la transustanziazione a devitalizzare l’eucaristia.

Quando è avvenuto l'inserimento delle comunità cristiane negli spazi del potere c'è stata la sacralizzazione della Chiesa. E' cominciata l'avventura della fede dentro le categorie del sacro. Il cristianesimo-potere ha rovesciato il senso di questa simbologia insita nell’ultima cena. E’ stata sancita la transustanziazione. Il pane eucaristico non è più condivisione perché non è più pane ma è il corpo di Cristo. Il pane è annullato per rendere perenne la necessità del sacrificio. Il pane e il corpo sono stati di nuovo contrapposti. La vita, la natura e il sacro sono stati di nuovo separati. E all’ansia di giustizia e alla lotta pacifica per la giustizia è stata tolta una parte dell’anima. E l’eucaristia è stata devitalizzata. E al posto della giustizia e del diritto si è insediata la “carità cristiana”.

 

Le radici della violenza e del sistema di guerra nelle religioni è un tema che non può essere escluso dai nuovi traguardi per una globalizzazione sociale.

Il problema intriga da vicino anche l’attuale movimento “New global”.. La fase che si sta aprendo con Seattle, con gli incontri di Genova 2002, col Forum sociale europeo di Firenze richiede una particolare attenzione al rapporto col fenomeno religioso. La globalizzazione non è solo economica e politica. La dimensione religiosa e culturale della globalizzazione è altrettanto importante. Anche i centri del dominio globale di oggi hanno bisogno, come Costantino, di specchiarsi in un dio unico e onnipotente. Il monoteismo è moderno. Anzi è post-moderno perché s’intreccia con la religione del mercato e del danaro: un solo dio in terra, cioè il danaro, valore assoluto, un solo dio in cielo, cioè l’Assoluto.

“Dopo l’11 settembre occorre prendere le distanze dal fondamentalismo economico, politico e religioso” ha detto Naomi Klein nella videointervista all’affollato incontro padovano del Sherwod Festival 2002. Ma si doveva aspettare il crollo delle torri gemelle per rendersene conto? Ancora una volta a rimorchio?

Un mondo diverso ha bisogno di religioni diverse. Religioni diverse non solo nella forma o nelle parole, ma nella sostanza. Diverse perché capaci di diversa fedeltà al loro codice genetico generativo.

Per essere onesti però dobbiamo riconoscere che non sono affatto chiari né l’obbiettivo né il percorso. Che significa l’impegno di Balducci, “aiutare le religioni a morire”? Che significa il motto buddista “essere pace e non soltanto operare per la pace”? D’altra parte, di fronte a queste domande sta un altro interrogativo che è un po’ anche una risposta: chi l’ha detto che per incamminarsi verso un mondo diverso bisogna avere chiari obbiettivi e percorsi? Sono forse chiari gli obbiettivi e i percorsi di una economia solidale? Insomma se si aspetta di aver chiari obbiettivi e percorsi si resta fermi, come il millepiedi che pretendeva aver chiaro il meccanismo e la successione del movimento di tutte le sue zampine. Immaginare e tendere a costruire un mondo diverso significa scommettere e rischiare. Anche a livello degli orizzonti simbolici-religiosi.

C’è qui un ulteriore passaggio fondamentale. Aiutare le religioni a morire, con tutta la incertezza e il rischio che comporta, e con tutta la saggezza che richiede, non può essere ancora una volta un impegno religioso e per soli religiosi. Ha ragione il sociologo Franco Ferrarotti nel sostenere che la fame di sacro e il bisogno di religione vanno sottratti all'abbraccio mortifero della religione-di-chiesa, burocratica e gerarchicamente autoritaria, ma aggiunge che ciò va fatto con una lotta su più fronti, "dentro ma anche fuori della chiesa".

Insomma i laici non possono più continuare a chiamarsi fuori dai problemi religiosi, ecclesiali e perfino teologici.

Le frontiere della laicità non si possono più disegnare in base al muffito metro del credere/non credere. C'è bisogno di consapevolezze nuove e di percorsi inediti.

Ci si scalda quando gli interventi ecclesiastici ci toccano negli interessi diretti e immediati: contraccettivi, aborto, omosessualità, ingerenza politica, scuola cattolica, violenza psicologica sui bambini a base di colpevolizzazioni. Ci si esalta e giustamente quando i prelati o i preti condannano la guerra o denunciano la ingiustizia o vivono da eroi fra i poveri. Il resto è considerato questione interna alla religione. Questo giocar di rimessa con le religioni è una caratteristica congenita del laicismo. Cent'anni fa, quando era "certo" che la religione, considerata residuo dell'età infantile dell'umanità, sarebbe stata superata dal progresso, poteva apparire razionale lasciar sopravvivere la teocrazia come gioco da riserva indiana. Oggi tale atteggiamento è chiaramente distruttivo. Perché il liberismo sta cavalcando la ripresa delle religioni a livello mondiale con una capacità di penetrazione i cui effetti si vedranno a lunga scadenza. Il sistema di dominio globale se ne fa un baffo delle condanne ecclesiastiche. Le mette nel conto come pedaggio. A lui serve che l’abbraccio materno delle religioni, contribuendo a rassicurare e consolare, stabilizzi il potere.

Scrive Rita Levi Montalcini: “Come affermato da A. Koestler (1969): ‘una delle caratteristiche principali della condizione umana è questa suprema esigenza e bisogno di identificarsi con un gruppo sociale e/o con un sistema di credenze che è indifferente alla ragione, indifferente all’interesse dell’individuo e anche all’istinto di conservazione … Siamo così portati alla conclusione, che contrasta con quella dominante, che il problema della nostra specie non deriva da un eccesso di aggressività per autodifesa ma da un eccesso di devozione trascendentale’ …I sistemi etico-sociali ai quali l’individuo è stato esposto sin dall’infanzia …dettano la condotta del giovane e dell’adulto … I messaggi recepiti negli anni nei quali il cervello è immaturo, dall’infanzia all’adolescenza, periodo nel quale esso gode della massima plasticità neuronale, assume un valore fondamentale nel comportamento dell’individuo adulto” (La Repubblica, 7 maggio 2002). Le stesse cose che dice la scienziata del cervello le aveva dette lo studioso della psiche, Eric Fromm, nel suo studio sulla Anatomia della distruttività umana (1973). Insomma ci portiamo dentro a nostra insaputa, e si porta dentro la intera società, la violenza insita nei grandi sistemi etico-sociali e quindi nelle religioni. E’ su questo “eccesso di devozione trascendentale” che il sistema di dominio mondiale fonda la propria stabilità, oltre che sugli strumenti di condizionamento economico e sul sistema di guerra. Ed è su questa radice profonda della violenza che bisogna lavorare.

 

E’ veramente possibile liberare le religioni dal gene della violenza e della guerra?

La ripresa delle religioni è moderna perché moderna è l'esigenza da cui scaturisce. La specie umana sta scoprendo la propria mortalità, come più volte è avvenuto nella storia in altri contesti, ma oggi in maniera altamente drammatica, e si scontra con le sfide che ne derivano: la sfida del senso, dell'identità, della solidarietà. Tutti siamo dentro tali sfide. Ignorarle pensando che siano questioni da risolvere con scelte individuali è un regalo che si fa allo stesso sistema di dominio globale. Ignorarle significa lasciare campo libero al bisogno forte di esorcizzare la finitezza della specie stringendosi nell'abbraccio materno degli assoluti e dei leaders religiosi o laici che sembrano incarnarli. Il quale abbraccio però tanto è amorevole e allettante quanto ambiguo e capace di generare mostri di distruttività e violenza anche quando a parole li esorcizza. E comunque è un abbraccio che fa parte della morsa con cui il globalismo liberista sta stringendo il mondo.

Si pone qui la domanda cruciale: è realmente possibile liberare le religioni dalla violenza iscritta, come dice Balducci, nel loro codice genetico? Sono possibili un cristianesimo, un islamismo, un ebraismo non-religiosi, è possibile un buddismo non distrattivo e non consolatorio? E’ realmente praticabile la convergenza auspicata da Ferrarotti fra il “dentro” e il “fuori” o meglio un superamento di tale confine ormai anacronistico?

Val la pena di tentare?

 

 

5) Laboratorio

Laicità oltre il laicismo: laico, laicismo, laicità,

Gruppo Controinformazione ecclesiale

 

1) Scheda

2) Allegato

                                                             1) Scheda

 

Il termine laico, originariamente proprio del linguaggio ecclesiastico per distinguere i fedeli dal clero, nel tempo ha assunto nuovi significati. Usato - nei paesi dove si è affermato il cattolicesimo -  in opposizione a religioso, dogmatico, confessionale, fondamentalista …., ha configurato un modo di pensare e caratterizzato un orientamento culturale che, evolvendosi, sono diventati parte integrante dell’elaborazione della cultura europea. I termini laico, laicismo, laicità possono quindi essere considerati elementi preziosi del patrimonio culturale “dell’occidente” da valorizzare per individuare soluzioni valide ai problemi posti dall’ormai irreversibile convivenza tra culture diverse.

Una riflessione che ne approfondisca l’attuale significato e valore deve perciò muoversi tra passato e presente a partire dalla ricognizione di casi concreti in cui si evidenzia che nell’uso comune il termine laico è ricco di ambiguità e viene usato con significati diversi rischiando di non averne più uno veramente significativo, tanto da essere considerato da alcuni insignificante:

 

·       I diversi tentativi/rifiuti di attribuire alle diverse forme di conflitto in cui sia implicato l’Islam il carattere di guerra di religione, o di identificare la civiltà occidentale con il cristianesimo, indicano la difficoltà a cogliere l’autonomia del profano dal sacro.

·       In sede di elaborazione della Costituzione europea si discute non tanto sul valore delle “radici cristiane” dell’Europa quanto sulla necessità di sancirlo formalmente nella Carta dell’Unione europea, dando vita da un lato a schieramenti contrapposti dall’altro a “distinguo” infiniti.

·       Per anni in Italia si sono chiamati “laici” i partiti centristi non democristiani e “laici” sono chiamati  membri non “togati” del Consiglio superiore della magistratura, eletti dal Parlamento

·       Il ritorno delle polemiche sul crocefisso nelle scuole italiane evidenzia la mancanza di consapevolezza comune del confine tra confessionale e laico nella scuola e nelle pubbliche istituzioni

·       Le frequenti manifestazioni d’intolleranza tra singoli e gruppi di diversa religione e/o ideologia rivelano la difficoltà di individuare il fondamento dell’accettazione reciproca.

·       Alcuni film di recente produzione cinematografica come Magdalene, Banchiere di Dio, L’ora di religione, Amen, proponendo i temi del rapporto tra religione, cultura e costume, e del contrasto Chiesa Stato, hanno suscitato polemiche.

 

Dalla riflessione su questi casi può scaturire un discorso che, insieme a una ricognizione storica della questione consenta di rispondere agli interrogativi che nascono oggi  dai molteplici significati attribuiti ai termini in questione: laico, laicismo, laicità.

·       Si può parlare di un “pensiero laico”, di una “cultura laica? in riferimento alla religione, alle ideologie, ai rapporti stato/chiesa? Sono laici sia il liberalismo sia il marxismo? e allo stesso modo? A partire da quanto emerso nel Forum si può parlare di fondamentalismo anche per il laicismo?

·       Che cosa intendono per laicità quanti la distinguono dal laicismo pensando che possa essere conciliabile con l’idea di possedere la verità assoluta? con una prassi autenticamente evangelica?

·       La laicità è proponibile alle culture “altre”, maturate fuori dei principi e dei valori elaborati  dall’illuminismo europeo, per favorire il dialogo, la convivenza, l’integrazione senza che sia un’imposizione?

 

2) Allegato

 

Alcune riflessioni emerse nella fase preparatoria

 

1)

Una prima condizione per rispondere a questi interrogativi  sta nel riconoscimento dell’assoluta storicità della condizione umana

La storia del pensiero umano c’insegna che ogni generazione paga alla storia il pedaggio inevitabile di un cono d’ombra, che vela le sue conquiste intellettuali ed etiche: saranno le generazioni successive ad acquisire la lucidità necessaria per comprendere la natura e la qualità dell’offuscamento. Si cita, a titolo d’esempio, l’età di Platone e la piena integrazione dell’idea della schiavitù in un sistema filosofico che prevedeva un’altissima concezione della dignità umana.

Siamo ben consapevoli dei ritardi culturali delle società che negano parità di diritti alle donne e di quelle che disprezzano le civiltà altre.

 Forse, anche quando parliamo di laicità come di criterio per misurare la pienezza del rispetto dei valori di cui l’altro è portatore, non ci ricordiamo che in qualche modo noi stessi abbiamo gli occhi velati: da quale nebbia, non abbiamo la ventura di saperlo.

La fiducia che guida la nostra ricerca è la fede nell’evangelo, nel suo invito a considerare il fratello per quello che è, consapevoli di essere più annebbiati di lui mentre gli proponiamo la nostra verità; e che solo il confronto con quella che lui ci porge può contribuire a diradare un po’ la nebbia.

 Ma la certezza… quella siamo destinati a non averla mai. I nostri passi muovono dietro al breve chiarore della lucerna di dantesca memoria.

 

2)

Una specie di purificazione della memoria e del linguaggio potrebbe scaturire da un quadro di  acquisizioni che  derivano da diversi filoni di ricerca: educazione alla pace; elaborazione femminista; incontro con religioni/culture non europee; confronto tra spiritualità orientale ed occidentale; il dato negativo come parallelo a quello positivo, con cui capita di convivere, delimitandone tuttavia ambiti ed incidenza, senza che si adottino – nel medio tempo – soluzioni drastiche (cfr. parabola della zizzania).

In fondo, nella storia, chi è più debole si è distinto per la capacità di durare e di resistere piuttosto che per le strategie e tattiche di eliminazione; mentre ancora, anche nella cultura di sinistra, sembra talora prevalere la subalternità a prospettive/linguaggi di tipo padronale e la presunzione di poter annientare l’avversario.

Lo si può ricavare anche affrontando altre tematiche scottanti, quali immigrazione, giustizia, ecc.

Lo stesso termine democrazia, pure così centrale, oggi può aver bisogno di essere rivisitato

 

3)

Il Manifesto del 3/09/02 presentava nell’ultima pagina un articolo assai interessante, sebbene la notizia che riportava non fosse nuova: “A scuola con le pillole”, a firma di M. D’Eramo. Vi si commentava la dipendenza da psicofarmaci  riscontrata in bambini statunitensi d’età scolare, curati - o meglio, alimentati - dai genitori con Ritalin o Prozac, allo scopo di ridurre in loro gli effetti di una sindrome, clinicamente definita come ”disordine di disattenzione per iperattività”  (ADHD: Attention Deficith Hyperactivity Disorder).

Già dall’anno scorso la stampa agitava, specialmente nei paesi dell’Europa centrale, il fantasma di questo nuovo disturbo mentale che in forma quasi epidemica colpiva la popolazione scolastica dei paesi ricchi. E c’è da riflettere sull’efficacia del linguaggio simbolico nelle malattie mentali delle nuove generazioni: dopo la fuga dalla responsabilità nella droga, l’anoressia/bulimia: fuga e ossessione da cibo, con le nevrosi da alimentazione biologica; bullismo e indifferenza sessuale, accattonaggio, rifiuto di crescere…

La notizia riportata dal Manifesto perciò, oltre a non essere nuova, calata nel contesto delle altre informazioni che riguardano la nevrosi educativa di genitori stressati da una competizione permanente, sembrerebbe non superare il normale standard di “curiosità” da quotidiano estivo in crisi di informazione seria.

Tuttavia, nel suo carattere paradossale, mi è sembrata molto pertinente al nostro tema.  Forse, perso l’interesse ad una partecipazione fattiva al divenire politico, la più forte spinta identificativa - dopo un’attività professionale vincente - è la genitorialità premiata dal successo ad ogni costo?

Anche i figli debbono dimostrare di poter vincere la corsa, e l’adeguamento agli standard è il minimo concesso all’individualità del futuro concorrente?

Un simile precipizio è quello su cui si avventa ogni “pensiero forte”, e la storia è ricca di esempi (segregazione razziale, discriminazione economica, proselitismo e odi religiosi fanno testo).

Quale può essere il criterio da contrapporre a questa deriva?

Forse un continuo confronto tra il fine: la liberazione dai dogmatismi, e il mezzo: l’esperienza storica dei valori contingenti nella società cui si appartiene, misurata con quella di chi condivide nel tempo e nel pianeta la medesima stagione valoriale, alla luce del diritto di ciascuno alla vita, alla salute, all’istruzione, al lavoro, alla felicità?

Una saggezza corretta da un costante esercizio di equilibrio comparativo tra sistemi di valori pregressi e nuove esigenze sociali, che interrogano ancor prima che maturino le condizioni culturali per le risposte…?

 

4)

 Ironia della sorte: la giuria della prima  Mostra di Venezia  riformata dal governo di destra ha premiato il film Magdalene del regista Peter Mullan.

Il film intreccia le storie di quattro ragazze irlandesi costrette dai genitori a vivere e a lavorare in un convento trasformato in una grande lavanderia. L’isolamento totale dal mondo esterno rende la vita della comunità ancor più claustrofobica ed ossessiva. A fatica si costruisce la solidarietà tra le giovani donne vittime delle proprie insicurezze ed attanagliate dal senso di colpa. L’esito dei singoli percorsi esistenziali sarà tale che tutte sconteranno il peso della prematura esperienza di esclusione.

La stampa cattolica (Avvenire e L’Osservatore) ed alcuni esponenti della gerarchia hanno bollato il film come “infame” ,  “un falso, una calunnia” (Baget Bozzo).  Ma queste definizioni di per sé non sarebbero sufficienti ad attirare l’attenzione sul film se questo non contenesse una verità “urlata” dalla prima all’ultima sequenza: del corpo delle donne si fa scempio in ogni società patriarcale. Troppo facile attribuire alla sola Chiesa cattolica la responsabilità di quanto avviene nei conventi Magdalene nell’Irlanda degli anni ’60. Di fatto sono i padri, il clan familiare che decidono che la ragazza-madre, l’adolescente consapevole del proprio fascino, addirittura la ragazza stuprata dal cugino debbano sparire dalla società ed espiare in convento la colpa di avere un corpo femminile. Le madri di queste giovani si dimostrano complici delle decisioni paterne, o sono ridotte al silenzio per l’obbedienza dovuta alle istituzioni religiose e sociali. Il regista Peter Mullan , già interprete dei film di Ken Loach, ha scelto il registro espressivo del film-documento per dare sostanza alle testimonianze raccolte (nel film, una piccola parte è interpretata proprio da una donna che ha vissuto questo dramma) visto che l’ultimo convento è stato chiuso nel 1996. Qualcuno, maliziosamente, aggiunge che l’organizzazione sia stata smantellata per la diffusione delle lavatrici.

E’ un film da vedere perché aggiunge ancora qualche elemento di riflessione critica sul  rapporto tra istituzioni religiose e società. Ma non sarà un caso che negli ultimi mesi  siano usciti nelle sale cinematografiche film come Il banchiere di Dio (vicenda Calvi/ Ior/ Marcinkus), Amen (Pio XII e le persecuzioni razziali) e L’ora di religione di Marco Bellocchio (conformismo religioso/ laicità). Molte volte il cinema fa emergere e porta a maturazione idee che altrimenti avrebbero un percorso  più tortuoso e difficile.

 

6) Laboratorio

 

PREPARANDO L'INCONTRO DELLE CdB

Redazione di Oltre

 

Se il tuo Signore volesse, tutti coloro che sono sulla terra crederebbero.

 

Sta a te costringerli ad essere credenti?

 

 Nessuno può credere, se Allah non lo permette.

 

Egli destina all'abominio coloro che non ragionano.

 

Corano, decima sura (YÛNUS), versetti 99 e 100:

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] II verbo ebraico galah significa tanto "rivelare"  quanto "essere esiliato

[2] II verbo ebraico è intransitivo, per cui la particella eth è usata nel senso della preposizione “ con “ e non come segno del complemento oggetto.

[3] Vedi Gen., xix. 36 e sg

[4] V. p.6

[5] La parola ebraica goi significa tanto “pagano” quanto “nazione”.

 

[6] In ebraico alla lettera “fatto”

 

[8] Il trovatello (abbandonato o esposto) è il bambino, appartenente alla specie umana, di cui si ignorano i genitori e la condizione (se è libero o schiavo). Allevarlo è un dovere incombente a tutti e da cui vanno esenti gli altri quando uno l’ha compiuto. Si presume libero fino a prova contraria e Musulmano se raccolto da un Musulmano in un luogo abitato da Musulmani, perché l’Islam è la religione originaria cui appartiene ogni neonato. SAN, I, 306