XIV Incontro nazionale Gruppi donne delle CdB

 “Quel divino tra noi leggero” 

 

1)  Luciana Perkovich

2)  Patrizia Farronato

3)  Letizia Tomassone

 

 

1) Da Luciana Perkovich

 

Care amiche di Trento,

 

vi scrivo pochi giorni dopo il nostro incontro perché ho sentito il bisogno di dirvi con parole più chiare qualcosa che mi sembrava rimasto inespresso  domenica mattina, quando sono stata presa un po’ in contropiede dalla sorpresa e dall’emozione della celebrazione con le Donne in Cerchio, in quel luogo.

Lì infatti è avvenuta una “riappropriazione”: ed è proprio dal significato che ha assunto ai miei occhi quel luogo che  voglio cominciare. Molte di noi si sono riappropriate, già da qualche tempo, della parola, ma non altrettanto di una “pratica del sacro”, della facoltà di “in-scenare e agire” una ritualità comune, aperta, pubblica e inequivocabilmente femminile, magari anche - come in questo caso - in luoghi finora soltanto “consacrati a Dio Padre”.

Non eravamo in un luogo qualsiasi in nessun senso. Le fondamenta del santuario della Madonna delle Laste (parola che, come spiegava la piccola guida sulla storia del santuario che stava esposta in una bacheca del primo piano, è una storpiatura dialettale della parola “lastre di pietra” che lì si trovavano da tempi remoti) sono le pietre del paleolitico e/o del neolitico.

Lì poste come spesso succedeva nei punti di valico, luoghi di passaggio da una valle all’altra, per con-sacrarli (riconoscerli e indicarli come sacri dalla volontà condivisa di più persone – la condivisione del simbolico esiste all’inizio di ogni cultura) alle energie femminili della trasformazione e del passaggio e renderle benevole ai viandanti. La ianua coeli , metafora della soglia che si apre su un altrove, è sopravvissuta come attributo femminile fino alle giaculatorie alla Madonna cristiana.

Su questo strato (il primo strato), quasi non misurabile nella sua estensione dal nostro tempo

crono-logico così breve e veloce e pertanto immemore, fu costruito assai più tardi un’edicola – probabilmente da un certo punto in poi dedicata a Ecate, dea dei trivi e dei passaggi, che fu identificata, dopo la cristianizzazione, con la Madonna finché nel 1600 fu costruita prima una cappella, poi la chiesa/santuario attuale e il convento (ed è solo questi ultimi passaggi che la storia breve del patriarcato ricorda con enfasi e dovizia di particolari).

L’intera salita (penso che l’abbiate notato anche voi) che porta al santuario è segnata dalle edicole della via crucis, che segnalano fino al presente la non irrilevanza del luogo intero. Anche  questa sottolineatura del percorso per arrivarci è propria dei luoghi sacri ed energicamente potenti fin dall’antichità più remota.

E noi ci siamo ri-trovate a celebrare il nostro incontro di compagne di strada alla ricerca di nuovi punti di osservazione sul paesaggio che ci circonda, e spesso ci assedia e ci soffoca, nello strato costruito per ultimo, il più alto, la cappella dei frati carmelitani scalzi (e immagino che conosciate meglio di me la storia un po’ particolare di questo ordine comunque “minore”).

Ci siamo quindi mosse su uno spessore di strati di cui avere la consapevolezza non è indifferente.

Lì in quella cappella abbiamo (re-)suscitato energie e forme di attivazione del “divino” sepolte da tempo, che abbiamo trovato e risvegliato semplicemente guardando dentro di noi e grazie al lavoro su di sé/fatto insieme dalla Donne in Cerchio. Abbiamo ri-contattato quelle energie ma la forza che avremmo potuto trarne sarebbe (stata) ben più decisa se fossimo (state) completamente consapevoli dello spessore del luogo.

 

Collegato a questo pensiero che mi si è distillato nella mente dopo i saluti e la partenza, vorrei tornare brevemente sul mio insistere sul presente e sulla necessità di portare a termine il lavoro soltanto cominciato con la presa di coscienza collettiva nel femminismo.

Si tratta, credo di aver detto, di abbandonare le esitazioni, di non spegnere le nostre energie nel dolore per le sciagure e le sofferenze inevitabili in un momento di trasformazione accelerata come quello presente, e di rilanciare con chiarezza (Marinella Perroni ha usato l’aggettivo “trasparente”) il nostro pro-getto, il nostro sogno. Quello di un mondo nuovo, basato su un’inaudita relazione tra gli umani, che non può che trovare il suo piano d’appoggio su una diversa relazione tra i sessi.

Per fare ciò la conoscenza del passato, delle radici che ci collegano sotterraneamente sono fondamentali: guardando nel passato e arrivando fino a oggi, possiamo vedere come a un’età della madre (rimossa, rifiutata, negata, ridicolizzata perché suscitatrice di una dipendenza insostenibile) sia succeduta un’età del padre (insostenibile per la violenza del dominio e della morte che ha imposto ovunque).

Questa storia non la possiamo ignorare né rimuovere perché è una parte di noi, ma al contrario la dobbiamo fare nostra affinché ci insegni qualcosa di più su di noi e su come vogliamo essere nel presente e sul nostro futuro. Forse ora è il momento di immaginare un’età delle/degli amanti, delle sorelle e dei fratelli.

Gli aborigeni australiani sapevano che il principio generatore della realtà nel cosmo è il Sogno. Martin Luther King aveva avuto un Sogno, ogni rivoluzione ha consegnato a chi è venuto dopo un Sogno da realizzare nel quotidiano. Il sogno è il lievito della creazione. Tessiamo il nostro sogno e la nostra visione per non arrestare la creazione.

Il nostro Futuro Arcaico, come lo chiama Mary Daly, forse sta proprio nella nostra capacità di vedere contemporaneamente nel passato e nel futuro per orientare il presente, col desiderio di riannodare fili brutalmente interrotti e di ricollegarci alle nostre sorelle del passato, la cui memoria che ritorna alla luce ha su di noi l’effetto di un balsamo di latte e miele, che mitiga le tante ferite che hanno conosciuto sia i nostri corpi che le nostre menti e stimola la nostra capacità divina-toria.

 

Un forte abbraccio

 Luciana

 

 

2) Da Patrizia Farronato

 

Carissime,

      dopo l'incontro di Trento ed aver letto le riflessioni di alcune di voi in merito, mi pare giusto far presenti riflessioni anche di un altro segno, frutto di molti di anni di femminismo, di appassionata ricerca religiosa e di militanza politica, nella convinzione che se l'Amore non è lettura della storia dal punto di vista delle/gli ultimi e prassi che trasforma la realtà rischia di diventare sentimento da anime belle.  

1) convegno nazionale delle donne delle comunità di base : mi aspettavo (ma è la III volta che ci partecipo con analoghe delusioni) un evento di tipo politico ( convegno nazionale) il cui centro era rappresentato  da donne che  condividevano la stessa fede cristiana nella ricerca corale di una fedeltà evangelica oggi, che l'istituzione non permette.

2) Tale evento politico, vista la specificità delle organizzatrici, poteva riguardare : a) l'affrontare questioni  del nostro tempo, unendo lo sguardo femminile con la fede cristiana ( se non c'è storia non c'è cristianesimo) ; b) questioni ecclesiali affrontate al femminile. Esercizio d'obbligo, qui, del magistero femminile e della sua profezia!

 

- L'esperienza che ho fatto ha visto la centralità di questioni teoriche (filosofiche, culturali) dove spariva la specificità cristiana (il riferimento alla storia, i/le  poveri/e  come punto di osservazione della realtà, la Parola) diluita all'interno di un dibattito femminista che si poteva fare anche in altri contesti, visto che il "divino" è un aspetto della cultura umana . Il dialogo interreligioso insegna che diluirsi nell'indistinto non aiuta la ricerca della propria autenticità, che esige il confronto tra diverse.

- Storia e opzione per gli/le  ultimi/e credo siano essenziali a questo specifico. A parte l'intervento della Codrignani , mi pare mancassero entrambi. Senza questi aspetti, mi pare si scivoli verso l'intimismo, lo spiritualismo, l'irenismo,  riproducendo atteggiamenti che contestiamo alla chiesa del potere maschile. Tali atteggiamenti sono assolutamente funzionali ad un patriarcalismo ben felice di riconoscerci "il nostro specifico", anzi lo celebra (v. ultima di Ratzinger), visto che, chiuso nel privato e contento di sé, non mette in discussione le logiche attraverso le quali il potere patriarcale - in tutte le sue forme - organizza  e gestisce il mondo e le donne.

- Le relazioni sono centrali nella pratica femminista; i linguaggi usati per esprimerle li ho sentiti poco supportati da atteggiamenti di reale ascolto e accoglienza delle differenze presenti tra noi. Nel mio gruppo ci sono stati atteggiamenti d'intolleranza, di polemica nei confronti di sensibilità che mettevano in discussione quello che sembrava l'humus culturale dominante, di cui il pensiero della differenza sessuale (targato Muraro) pareva il cardine, tanto che c'è stata chi nel mio gruppo non ha parlato, esprimendo poi a tu per tu obiezioni e disagi.

- Parlare di divino tra noi, secondo me, non può evitare di far emergere le nostre contraddizioni, i nostri conflitti, quel divino che pure ci mette in discussione, perchè è Altra/o  dalla pura celebrazione di quanto di buono e positivo esprime la nostra esperienza femminile. Sennò rischiamo la proiezione nell'assoluto di quello che siamo. Non mi pare utile nè a svelare noi stesse a noi stesse (la conversione io credo faccia parte integrante di un percorso cristiano), nè a svelare questa/o  Lei/Lui che significa forza, speranza, consolazione, apertura alla fiducia.

In questo senso mi è dispiaciuto il clima autoapologetico, lo scarso riferimento ai testi e  alla nostra memoria storica (densa di lotte, anche nel collettivo), ricchissima per tante di noi, vista l'avanzata età media della maggior parte delle partecipanti. Anche nella nostra memoria, in quello che eravamo, c'è quel divino che ci provoca, sostiene, interpella, aiuta a leggere il presente e orientarci verso il futuro.

- Il divino, la sua dimensione di presenza/assenza, il suo mistero - a mio parere - richiede più sobrietà nell'essere detto; non è una bandiera. L'autoapologia mi ha infastidito anche per questo : di chi parliamo? Stesso vizio che contestiamo alla chiesa cattolica, che sa sempre dov'è Dio, come è, cosa pensa... e lo celebra con liturgie astratte dalla vita degli uomini e delle donne, dalla loro storia, dai conflitti che le abitano.

 

Dunque,  mi aspettavo un evento politico, di donne che, a partire dal loro specifico femminile e religioso, facevano il punto del loro esserci nella storia del mondo e delle chiese di oggi. Non un incontro per gratificare bisogni personali di comunicazione. Altrimenti il contesto doveva essere altro.

- Domande : 1) non è che il politico (= fare politica insieme, nella società e nella chiesa)  è roba da uomini e noi ci dedichiamo (nella nostra pratica e nei nostri discorsi) alle relazioni, alla cura... ?

2)siamo sicure che anche tra noi donne non esistono relazioni di potere e di gerarchia, per cui alcune fanno le regole ed altre si adeguano?

La critica c'è sempre quando c'è qualcosa che sta a cuore... l'idea del Concilio delle donne (nel senso che si può ricavare da quanto sovraesposto) mi entusiasma...

mi piacerebbe che come donne della borghese Italia   fossimo capaci di non lasciarci intrappolare dal contesto privilegiato che viviamo, riuscissimo a essere voce profetica di una cristianità ormai al capolinea (i piedi delle messaggere di Isaia!), testimoni che un'altra chiesa è possibile, punto di riferimento - dentro questo pensiero unico dominante ( neoliberista, guerrafondaio, liberticida) che l' Evangelo ricevuto dalle donne non è utopia di sognatrici, ma via praticabile di trasformazione radicale. Qui e ora.

                     

 

3) Da Letizia Tomassone

 

cara Patrizia,

vorrei tentare di dire cosa penso, non tanto perchè io sia stata una delle due conduttrici del gruppo cui hai partecipato tu (e quindi chiamata in causa dal tuo scritto - del resto già nel gruppo abbiamo discusso), ma perchè mi interessa entrare nel merito della questione.

Io credo che ogni atto che compiamo sia politico. Credo che cresciamo quando diventiamo autrici e consapevoli di ciò che sappiamo. Non credo che sia politico solo ciò che riguarda li/le altre, coloro che sono oppresse dalle nostre politiche, affamate e immiserite a causa nostra.

 La politica per me, donna, non è un modo di trasferire l'etica dalle relazioni interpersonali (che è la modalità cristiana di aver usato l'etica nei secoli, perchè non avesse rilevanza nella società) alle relazioni sociali. Perchè se faccio solo questo passaggio resto nelle tentazione cristiana di cercare di essere colei che salva, colei che ha una proposta capace di salvare il mondo (che sia la democrazia, la politica dei diritti, la ricerca di liberazione...): una civiltà capace di guarire il mondo!

 Per me il cammino di politica delle donne mi toglie proprio da questa "alienazione" da me.

Significa che io sono politica e che non c'è nulla che posso fare per gli/le altre se non essere profondamente me stessa.

In questo senso ho trovato molto politico il nostro incontro.

Non c'è da fare una battaglia sul sacerdozio delle donne, ma da praticarlo, se questo è il nostro desiderio, e questo è stato fatto. Non c'è da lasciar condurre l'agenda del nostro "concilio delle donne" dai termini dettati dalle chiese ufficiali, ma di partire dalla nostra esperienza. E se la nostra esperienza di incontro autentico è povera, bhè, allora possiamo porci la domanda su dove siamo radicate nella nostra vita.

 Per questo sono molto riconoscente a Marina, Luisa e altre donne del gruppo di Rovereto che hanno portato con semplicità l'esperienza dello stare di notte per le strade accanto alle prostitute: in questa pratica di "stare lì", non c'è da salvare nessuna!, solo stare.

Stessa cosa ho conosciuto a Verona con delle donne cattoliche che "stanno" nel campo nomadi. Semplicemente "stanno": è una pratica inquietante per la nostra (mia) spinta all'etica come "fare", che dalla pratica religiosa si è trasferita alla pratica politica e sociale. Eppure risponde in maniera estremamente più efficace ad un/a D*o che agisce nella gratuità.

Mi dispiace che nulla di tutto questo sembra essere passato nella riflessione del gruppo, per come l'hai percepita tu.

Anche là avevo cercato di esprimerlo, non perchè "tengo per la Muraro" - cui peraltro voglio molto bene e a cui devo moltissimo nella mia crescita di pensiero e di pratica.

 Alla fine credo che la politica sia sempre una scelta, e se il convegno ha scelto un modo piuttosto che un altro, si tratta, io credo, di una scelta consapevole, e non di una caduta inconsapevole nell'intimismo. In questo senso vorrei che riuscissimo ad evitare giudizi svalorizzanti sulle scelte "politiche" operate da altre.

ti ringrazio per l'occasione di riflettere che ci hai offerto, magari si potrà andare avanti in questo dialogo "elettronico".

 Concludo segnalando un libro molto interessante appena uscito dalla Claudiana, della teologa svizzera Lytta Basset, Io non giudico nessuno. L'evangelo al di là della morale. Questo libro mi ha aiutata a vedere meglio in ciò che volevo oggi dire a te e a tutte.