1)
Luciana Perkovich 2)
Patrizia Farronato 3)
Letizia Tomassone 1)
Da Luciana Perkovich Care
amiche di Trento, vi
scrivo pochi giorni dopo il nostro incontro perché ho sentito il
bisogno di dirvi con parole più chiare qualcosa che mi sembrava rimasto
inespresso domenica
mattina, quando sono stata presa un po’ in contropiede dalla sorpresa
e dall’emozione della celebrazione con le Donne in Cerchio, in quel
luogo. Lì
infatti è avvenuta una “riappropriazione”: ed è proprio dal
significato che ha assunto ai miei occhi quel luogo che
voglio cominciare. Molte di noi si sono riappropriate, già da
qualche tempo, della parola, ma non altrettanto di una “pratica del
sacro”, della facoltà di “in-scenare e agire” una ritualità
comune, aperta, pubblica e inequivocabilmente femminile, magari anche -
come in questo caso - in luoghi finora soltanto “consacrati a Dio
Padre”. Non
eravamo in un luogo qualsiasi in nessun senso. Le fondamenta del
santuario della Madonna delle Laste (parola che, come spiegava la
piccola guida sulla storia del santuario che stava esposta in una
bacheca del primo piano, è una storpiatura dialettale della parola
“lastre di pietra” che lì si trovavano da tempi remoti) sono le
pietre del paleolitico e/o del neolitico. Lì
poste come spesso succedeva nei punti di valico, luoghi di passaggio da
una valle all’altra, per con-sacrarli (riconoscerli e indicarli come
sacri dalla volontà condivisa di più persone – la condivisione del
simbolico esiste all’inizio di ogni cultura) alle energie femminili
della trasformazione e del passaggio e renderle benevole ai viandanti.
La ianua coeli , metafora
della soglia che si apre su un altrove, è sopravvissuta come attributo
femminile fino alle giaculatorie alla Madonna cristiana. Su
questo strato (il primo strato), quasi non misurabile nella sua
estensione dal nostro tempo crono-logico
così breve e veloce e pertanto immemore, fu costruito assai più tardi
un’edicola – probabilmente da un certo punto in poi dedicata a Ecate,
dea dei trivi e dei passaggi, che fu identificata, dopo la
cristianizzazione, con la Madonna finché nel 1600 fu costruita prima
una cappella, poi la chiesa/santuario attuale e il convento (ed è solo
questi ultimi passaggi che la storia breve del patriarcato ricorda con
enfasi e dovizia di particolari). L’intera
salita (penso che l’abbiate notato anche voi) che porta al santuario
è segnata dalle edicole della via crucis, che segnalano fino al presente la non irrilevanza del
luogo intero. Anche questa
sottolineatura del percorso per arrivarci è propria dei luoghi sacri ed
energicamente potenti fin dall’antichità più remota. E
noi ci siamo ri-trovate a celebrare il nostro incontro di compagne di
strada alla ricerca di nuovi punti di osservazione sul paesaggio che ci
circonda, e spesso ci assedia e ci soffoca, nello strato costruito per
ultimo, il più alto, la cappella dei frati carmelitani scalzi (e
immagino che conosciate meglio di me la storia un po’ particolare di
questo ordine comunque “minore”). Ci
siamo quindi mosse su uno spessore di strati di cui avere la
consapevolezza non è indifferente. Lì
in quella cappella abbiamo (re-)suscitato energie e forme di attivazione
del “divino” sepolte da tempo, che abbiamo trovato e risvegliato
semplicemente guardando dentro di noi e grazie al lavoro su di sé/fatto
insieme dalla Donne in Cerchio. Abbiamo ri-contattato quelle energie ma
la forza che avremmo potuto trarne sarebbe (stata) ben più decisa se
fossimo (state) completamente consapevoli dello spessore del luogo. Collegato
a questo pensiero che mi si è distillato nella mente dopo i saluti e la
partenza, vorrei tornare brevemente sul mio insistere sul presente e
sulla necessità di portare a termine il lavoro soltanto cominciato con
la presa di coscienza collettiva nel femminismo. Si
tratta, credo di aver detto, di abbandonare le esitazioni, di non
spegnere le nostre energie nel dolore per le sciagure e le sofferenze
inevitabili in un momento di trasformazione accelerata come quello
presente, e di rilanciare con chiarezza (Marinella Perroni ha usato
l’aggettivo “trasparente”) il nostro pro-getto, il nostro sogno.
Quello di un mondo nuovo, basato su un’inaudita relazione tra gli
umani, che non può che trovare il suo piano d’appoggio su una diversa
relazione tra i sessi. Per
fare ciò la conoscenza del passato, delle radici che ci collegano sotterraneamente
sono fondamentali: guardando
nel passato e arrivando fino a oggi, possiamo vedere come a un’età
della madre (rimossa, rifiutata, negata, ridicolizzata perché
suscitatrice di una dipendenza insostenibile) sia succeduta un’età
del padre (insostenibile per la violenza del dominio e della morte che
ha imposto ovunque). Questa
storia non la possiamo ignorare né rimuovere perché è una parte di
noi, ma al contrario la dobbiamo fare nostra affinché ci insegni
qualcosa di più su di noi e su come vogliamo essere nel presente e sul
nostro futuro. Forse ora è il momento di immaginare un’età
delle/degli amanti, delle sorelle e dei fratelli. Gli
aborigeni australiani sapevano che il principio generatore della realtà
nel cosmo è il Sogno. Martin Luther King aveva avuto un Sogno, ogni
rivoluzione ha consegnato a chi è venuto dopo un Sogno da realizzare
nel quotidiano. Il sogno è il lievito della creazione. Tessiamo il
nostro sogno e la nostra visione per non arrestare la creazione. Il
nostro Futuro Arcaico, come lo chiama Mary Daly, forse sta proprio nella
nostra capacità di vedere contemporaneamente nel passato e nel futuro
per orientare il presente, col desiderio di riannodare fili brutalmente
interrotti e di ricollegarci alle nostre sorelle del passato, la cui
memoria che ritorna alla luce ha su di noi l’effetto di un balsamo di
latte e miele, che mitiga le tante ferite che hanno conosciuto sia i
nostri corpi che le nostre menti e stimola la nostra capacità
divina-toria. Un
forte abbraccio Luciana 2)
Da Patrizia Farronato
Carissime,
dopo l'incontro di Trento ed aver letto
le riflessioni di alcune di voi in merito, mi pare giusto far presenti
riflessioni anche di un altro segno, frutto di molti di anni di
femminismo, di appassionata ricerca religiosa e di militanza politica,
nella convinzione che se l'Amore non è lettura della storia dal punto
di vista delle/gli ultimi e prassi che trasforma la realtà rischia di
diventare sentimento da anime belle.
1)
convegno nazionale delle donne delle comunità di base : mi aspettavo
(ma è la III volta che ci partecipo con analoghe delusioni) un evento
di tipo politico ( convegno nazionale) il cui centro era rappresentato
da donne che condividevano
la stessa fede cristiana nella ricerca corale di una fedeltà evangelica
oggi, che l'istituzione non permette. 2)
Tale evento politico, vista la specificità delle organizzatrici, poteva
riguardare : a) l'affrontare questioni
del nostro tempo, unendo lo sguardo femminile con la fede
cristiana ( se non c'è storia non c'è cristianesimo) ; b) questioni
ecclesiali affrontate al femminile. Esercizio d'obbligo, qui, del
magistero femminile e della sua profezia! -
L'esperienza che ho fatto ha visto la centralità di questioni teoriche
(filosofiche, culturali) dove spariva la specificità cristiana (il
riferimento alla storia, i/le poveri/e
come punto di osservazione della realtà, la Parola) diluita
all'interno di un dibattito femminista che si poteva fare anche in altri
contesti, visto che il "divino" è un aspetto della cultura
umana . Il dialogo interreligioso insegna che diluirsi nell'indistinto
non aiuta la ricerca della propria autenticità, che esige il confronto
tra diverse. -
Storia e opzione per gli/le ultimi/e credo siano essenziali a questo specifico. A parte
l'intervento della Codrignani , mi pare mancassero entrambi. Senza
questi aspetti, mi pare si scivoli verso l'intimismo, lo spiritualismo,
l'irenismo, riproducendo
atteggiamenti che contestiamo alla chiesa del potere maschile. Tali
atteggiamenti sono assolutamente funzionali ad un patriarcalismo ben
felice di riconoscerci "il nostro specifico", anzi lo celebra
(v. ultima di Ratzinger), visto che, chiuso nel privato e contento di sé,
non mette in discussione le logiche attraverso le quali il potere
patriarcale - in tutte le sue forme - organizza
e gestisce il mondo e le donne. -
Le relazioni sono centrali nella pratica femminista; i linguaggi usati
per esprimerle li ho sentiti poco supportati da atteggiamenti di reale
ascolto e accoglienza delle differenze presenti tra noi. Nel mio gruppo
ci sono stati atteggiamenti d'intolleranza, di polemica nei confronti di
sensibilità che mettevano in discussione quello che sembrava l'humus
culturale dominante, di cui il pensiero della differenza sessuale
(targato Muraro) pareva il cardine, tanto che c'è stata chi nel mio
gruppo non ha parlato, esprimendo poi a tu per tu obiezioni e disagi. -
Parlare di divino tra noi, secondo me, non può evitare di far emergere
le nostre contraddizioni, i nostri conflitti, quel divino che pure ci
mette in discussione, perchè è Altra/o
dalla pura celebrazione di quanto di buono e positivo esprime la
nostra esperienza femminile. Sennò rischiamo la proiezione
nell'assoluto di quello che siamo. Non mi pare utile nè a svelare noi
stesse a noi stesse (la conversione io credo faccia parte integrante di
un percorso cristiano), nè a svelare questa/o
Lei/Lui che significa forza, speranza, consolazione, apertura
alla fiducia. In
questo senso mi è dispiaciuto il clima autoapologetico, lo scarso
riferimento ai testi e alla
nostra memoria storica (densa di lotte, anche nel collettivo),
ricchissima per tante di noi, vista l'avanzata età media della maggior
parte delle partecipanti. Anche nella nostra memoria, in quello che
eravamo, c'è quel divino che ci provoca, sostiene, interpella, aiuta a
leggere il presente e orientarci verso il futuro. -
Il divino, la sua dimensione di presenza/assenza, il suo mistero - a mio
parere - richiede più sobrietà nell'essere detto; non è una bandiera.
L'autoapologia mi ha infastidito anche per questo : di chi parliamo?
Stesso vizio che contestiamo alla chiesa cattolica, che sa sempre dov'è
Dio, come è, cosa pensa... e lo celebra con liturgie astratte dalla
vita degli uomini e delle donne, dalla loro storia, dai conflitti che le
abitano. Dunque,
mi aspettavo un evento politico, di donne che, a partire dal loro
specifico femminile e religioso, facevano il punto del loro esserci
nella storia del mondo e delle chiese di oggi. Non un incontro per
gratificare bisogni personali di comunicazione. Altrimenti il contesto
doveva essere altro. -
Domande : 1) non è che il politico (= fare politica insieme, nella
società e nella chiesa) è
roba da uomini e noi ci dedichiamo (nella nostra pratica e nei nostri
discorsi) alle relazioni, alla cura... ? 2)siamo
sicure che anche tra noi donne non esistono relazioni di potere e di
gerarchia, per cui alcune fanno le regole ed altre si adeguano? La
critica c'è sempre quando c'è qualcosa che sta a cuore... l'idea del
Concilio delle donne (nel senso che si può ricavare da quanto
sovraesposto) mi entusiasma... mi
piacerebbe che come donne della borghese Italia
fossimo capaci di non lasciarci intrappolare dal contesto
privilegiato che viviamo, riuscissimo a essere voce profetica di una
cristianità ormai al capolinea (i piedi delle messaggere di Isaia!),
testimoni che un'altra chiesa è possibile, punto di riferimento -
dentro questo pensiero unico dominante ( neoliberista, guerrafondaio,
liberticida) che l' Evangelo ricevuto dalle donne non è utopia di
sognatrici, ma via praticabile di trasformazione radicale. Qui e ora.
3)
Da Letizia Tomassone
cara
Patrizia, vorrei
tentare di dire cosa penso, non tanto perchè io sia stata una delle due
conduttrici del gruppo cui hai partecipato tu (e quindi chiamata in
causa dal tuo scritto - del resto già nel gruppo abbiamo discusso), ma
perchè mi interessa entrare nel merito della questione. Io
credo che ogni atto che compiamo sia politico. Credo che cresciamo
quando diventiamo autrici e consapevoli di ciò che sappiamo. Non credo
che sia politico solo ciò che riguarda li/le altre, coloro che sono
oppresse dalle nostre politiche, affamate e immiserite a causa nostra. La
politica per me, donna, non è un modo di trasferire l'etica dalle
relazioni interpersonali (che è la modalità cristiana di aver usato
l'etica nei secoli, perchè non avesse rilevanza nella società) alle
relazioni sociali. Perchè se faccio solo questo passaggio resto nelle
tentazione cristiana di cercare di essere colei che salva, colei che ha
una proposta capace di salvare il mondo (che sia la democrazia, la
politica dei diritti, la ricerca di liberazione...): una civiltà capace
di guarire il mondo! Per
me il cammino di politica delle donne mi toglie proprio da questa
"alienazione" da me. Significa
che io sono politica e che non c'è nulla che posso fare per gli/le
altre se non essere profondamente me stessa. In
questo senso ho trovato molto politico il nostro incontro. Non
c'è da fare una battaglia sul sacerdozio delle donne, ma da praticarlo,
se questo è il nostro desiderio, e questo è stato fatto. Non c'è da
lasciar condurre l'agenda del nostro "concilio delle donne"
dai termini dettati dalle chiese ufficiali, ma di partire dalla nostra
esperienza. E se la nostra esperienza di incontro autentico è povera,
bhè, allora possiamo porci la domanda su dove siamo radicate nella
nostra vita. Per
questo sono molto riconoscente a Marina, Luisa e altre donne del gruppo
di Rovereto che hanno portato con semplicità l'esperienza dello stare
di notte per le strade accanto alle prostitute: in questa pratica di
"stare lì", non c'è da salvare nessuna!, solo stare. Stessa
cosa ho conosciuto a Verona con delle donne cattoliche che
"stanno" nel campo nomadi. Semplicemente "stanno":
è una pratica inquietante per la nostra (mia) spinta all'etica come
"fare", che dalla pratica religiosa si è trasferita alla
pratica politica e sociale. Eppure risponde in maniera estremamente più
efficace ad un/a D*o che agisce nella gratuità. Mi
dispiace che nulla di tutto questo sembra essere passato nella
riflessione del gruppo, per come l'hai percepita tu. Anche
là avevo cercato di esprimerlo, non perchè "tengo per la Muraro"
- cui peraltro voglio molto bene e a cui devo moltissimo nella mia
crescita di pensiero e di pratica. Alla
fine credo che la politica sia sempre una scelta, e se il convegno ha
scelto un modo piuttosto che un altro, si tratta, io credo, di una
scelta consapevole, e non di una caduta inconsapevole nell'intimismo. In
questo senso vorrei che riuscissimo ad evitare giudizi svalorizzanti
sulle scelte "politiche" operate da altre. ti
ringrazio per l'occasione di riflettere che ci hai offerto, magari si
potrà andare avanti in questo dialogo "elettronico". Concludo segnalando un libro molto interessante appena uscito dalla Claudiana, della teologa svizzera Lytta Basset, Io non giudico nessuno. L'evangelo al di là della morale. Questo libro mi ha aiutata a vedere meglio in ciò che volevo oggi dire a te e a tutte.
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