don Vitaliano Della Sala

Libera Chiesa in libero Stato 

Aprile online 18 maggio 2006

 

Dopo l'intervento del presidente della Camera Bertinotti, ospite televisivo a ''Porta a Porta'' scoppia la rivolta ecclesiastica sui Pacs

 

Scandalo! Il presidente della Camera dei Deputati, Fausto Bertinotti, ospite ieri di Bruno Vespa, nel salotto buono italiano "Porta a porta", ha avuto l’ardire di criticare il Papa e, scandalo degli scandali, si è permesso di difendere le unioni civili. Il quotidiano della Conferenza episcopale italiana Avvenire, ha dedicato alla vicenda un editoriale, apparso in prima pagina firmato da Marina Corradi e, nelle pagine interne, un articolo titolato: ‘Pacs, a sorpresa Bertinotti va già fuori dai binari’. Inoltre, il Servizio Informazione Religiosa della Chiesa Italiana – l’agenzia di stampa della Chiesa - ricorda che “i tentativi di dare un improprio e non necessario riconoscimento giuridico a forme di unione che sono radicalmente diverse dalla famiglia, oscurano il suo ruolo sociale e contribuiscono a destabilizzarla, con gravissimi costi sociali, oggi e in prospettiva futura. Un futuro da costruire non con le lenti dell'ideologia, ma con la speranza e la concretezza della vita realmente vissuta. Proprio all’indomani dell'equilibrato messaggio di insediamento del presidente della Repubblica, ecco le dichiarazioni del presidente della Camera. Colpisce, in un esponente di punta della sinistra, approdato ad un alto incarico istituzionale, il fatto che piuttosto che usare la tribuna televisiva per dire ‘qualcosa di sinistra’, come forse si attendono i suoi elettori, nel Parlamento e nel Paese, finisca con l’oscurare proprio la famiglia, che in Italia, come ha sottolineato con forza lo stesso Napolitano, è una delle istituzioni più care, anche al popolo di sinistra".

Non so se gli autorevoli organi di stampa cattolici sono più scandalizzati per le affermazioni del Presidente della Camera o perché si sentono traditi dal politico dell’ultrasinistra che, da dopo la morte di Giovanni Paolo II, in diverse occasioni aveva smussato le posizioni da comunista nei confronti della Chiesa, lasciando sperare in una sua mezza conversione: il lupo perde il pelo ma non il vizio, avranno pensato i mezzi di informazione cattolici!

Ai media della Cei qualcuno dovrebbe ricordare le parole di Voltaire “non condivido la tua opinione ma sono pronto a dare la vita perché tu possa esprimerla”, ma anche quelle del Vangelo sul rispetto degli altri, delle idee e delle libertà altrui. Certo la Chiesa deve poter parlare liberamente, e nessuno può affermare che nel nostro Paese non ci sia questa libertà, viste le continue prese di posizione e intromissioni nella politica italiana, ad esempio, del cardinal Camillo Ruini. Semmai ci sarebbe da chiedersi se la Chiesa, al proprio interno rispetti la stessa libertà di pensiero e di parola: spesso chi dissente nella Chiesa viene zittito e represso senza appello, nel silenzio generale. Emblematica è la storia personale di tanti, troppi, che la Gerarchia cattolica italiana, in questi ultimi anni, ha ridotto al silenzio o buttato fuori. Quando, alcuni mesi fa, a Siena il cardinal Ruini fu contestato a suon di pacifici “fischi e pernacchie”, proprio per le sue posizioni di chiusura rispetto ai Pacs, le reazioni ufficiali dei politici italiani al reato di “lesa cardinalità”, non si fecero attendere e, come al solito, furono prone, esagerate, interessate, antidemocratiche; chi le pronunciò fece finta di dimenticare, che le contestazioni e il dissenso sono l’anima della democrazia: in Arabia Saudita e in Egitto il re o il presidente non si possono contestare; in Iraq e in Afghanistan non si poteva protestare contro Saddam o contro i Talebani (e dubito che lo si possa fare oggi, nonostante la cosiddetta liberazione!); e anche in Vaticano la libertà di espressione lascia molto a desiderare. Ma l’Italia non è una dittatura, né uno Stato confessionale, e dovrebbero saperlo bene i media dei vescovi.

Esiste - e tutti lo sanno bene perché è visibile, forse troppo visibile - la Gerarchia “trionfante” della Chiesa cattolica italiana, quella eternamente “costantiniana” dell’in hoc signo vinces, sempre pronta a pretendere privilegi e a fare compromessi con i potenti, potente essa stessa. Una gerarchia che sa solo pronunciare i suoi eternamente ”no” di fronte a qualsiasi richiesta di apertura che viene dalla base, senza preoccuparsi in alcun modo delle sofferenze che quei “no” provocano; una Chiesa che appare formata esclusivamente dalla gerarchia e da questa è esclusivamente rappresentata, senza aver ricevuto delega alcuna da parte della base. Di partecipazione dei fedeli laici alle decisioni, neanche a parlarne, come pure di democrazia interna e di diritto-dovere al dissenso.

Ma, oltre questa Chiesa gerarchica, dentro di essa, un’altra Chiesa, la Chiesa-altra, non è solo possibile ma è già realtà. Una Chiesa-altra che ha imparato ad usare “il potere dei segni, anziché i segni del potere”, come diceva il compianto don Tonino Bello, presidente di Pax Christi. Una Chiesa-altra viva, fatta di vescovi e preti coraggiosi, di fedeli laici impegnati, anche se costretta a vivere “nelle catacombe” della paura di essere “inquisita”, punita, processata. È la nuova Chiesa del silenzio che, però, prende sempre più coraggio e emerge dall’oscurità nella quale è stata ricacciata o nella quale si è autorelegata. Una Chiesa-altra che “scopre” sempre più i mezzi di informazione e comincia ad usarli come i “tetti” del nostro tempo, dai quali Gesù ci invita a gridare il suo messaggio di liberazione (cfr. Matteo 10,27) e, a sua volta, è “scoperta” dai mass media.

Chiesa-altra che non si vergogna di pronunciare il nome di Gesù Cristo, non arrossisce del Vangelo, ma da esso parte per riflettere sul mondo e sulla società, senza mai condannare, né escludere o emarginare nessuno. Chiesa-altra sempre più indispensabile alla Chiesa universale, perché questa si presenti all’umanità nella sua pienezza “tutta bella, senza macchia, né ruga”.

C’è una breve parabola nel Vangelo che parla del granello di senape, il più piccolo tra tutti i semi, che diventa un albero frondoso, «e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra» (Luca 13, 18-19): paradigma della Chiesa-altra che in molti sogniamo. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, “una Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione” (mons. Jacques Gaillot), capace di accogliere, di portare tutti maternamente in seno. Le recenti prese di posizione sulle unioni di fatto, sull’uso dei profilattici anti-HIV e su altre problematiche calde, da parte dell’episcopato spagnolo, del cardinale Carlo Maria Martini, di quello belga Godfried Danneels, e dello svizzero George Cottier, ex Teologo della Casa Pontificia durante il pontificato di Giovanni Paolo II, fanno ben sperare in una Chiesa cattolica che, pur testimoniando e proponendo i propri valori, non si sogni nemmeno di imporli ad una società laica che deve essere, invece, ascoltata e compresa.

Se la Chiesa ha il diritto-dovere di difendere l’istituto del matrimonio tra uomo e donna e di “imporlo” ai credenti, non può imporlo a tutti gli altri; soprattutto deve apprezzare uno Stato laico che propone i Pacs, badando bene a non confonderli con il matrimonio tradizionale. Come cattolico posso accettare che una legislazione civile determini condizioni di coabitazione e diritti per le coppie omosessuali, ma non posso accettare che lo si chiami matrimonio. Non bisogna confondere le cose: i concetti e le parole devono restare univoci. Bisogna fare una distinzione tra giudizio etico e le leggi che regolano la vita nella società.

C’è da chiedersi con onestà e senza timore se la Chiesa cattolica si sia realmente liberata dalla necessità di emarginare, di escludere e di inquisire coloro che, anche tra i suoi membri, dissentono dalla maggioranza e non pensano secondo il “pensiero unico” imposto dai vertici. Certamente la violenza fisica non esiste più – spero non solo perché il braccio secolare non è più disposto ad esercitarla in nome e per conto della Chiesa - ma quella morale ed interiore è completamente scomparsa dagli interventi pubblici, dalle prese di posizioni e dalle condanne ufficiali della gerarchia cattolica? La Chiesa che chiede perdono per l’Inquisizione del passato e che riabilita e fa santi gli eretici messi al rogo, è una Chiesa che veramente ha smesso di inquisire e di escludere i suoi figli e, peggio ancora, i “figli” di altre religioni o di altre culture?

Penso che, purtroppo, il modello inquisitorio sia sempre latente nella Chiesa gerarchica, come in ogni società forte: ciò che fa la differenza è il dissenso accolti come ricchezze. L’accoglienza o meno delle differenze e del dissenso rivelano il livello inquisitoriale di ogni chiesa e di ogni società.

Finché la gerarchia cattolica non risolverà questa contraddizione per cui pretende il rispetto delle proprie regole anche da chi cattolico non è, non potrà dirsi veramente superato il tempo buio dell’Inquisizione.

Avvenire e Sir hanno giustamente affermato che “la Chiesa annuncia ciò che ritiene essere il bene di tutti correndo - se serve - il rischio di apparire testarda pur di salvare il futuro della persona e della società. Anche guardando oltre lo sguardo talora corto della politica. Libera Chiesa in libero Stato, disse la rivoluzione liberale. Libero Stato, ma libera anche la Chiesa di insegnare, senza le bacchettate e le correzioni di linea di autorevoli ma improvvisati maestri”. È decisamente vero, nella misura in cui sia vero anche il contrario.