Giovanni Franzoni 

La Chiesa all’attacco: per ritrovare l’identità perduta 

Liberazione suppl. 6 maggio 2007

 

Family Day, l’ossessione della Chiesa: Viaggio dentro la svolta oscurantista della gerarchia cattolica   Perché l’episcopato italiano ha scelto di mobilitare le masse contro i Dico

 

La difesa maniacale della cosiddetta famiglia naturale, l’omofobia, la sessuofobia non sono l’unica “pastorale” possibile: perché proprio questa ha prevalso? Dove porta la scelta di scendere direttamente in piazza con parroci e parrocchiani tagliando qualsiasi mediazione?

I competitori non sono più Marx e Che Guevara ma Rousseau, Kant, Darwin e Freud. Gli “errori” e le “incaute aperture” di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II hanno portato all’indebolimento del cattolicesimo: per i vertici della gerarchia ecclesiastica, è il tempo di approfittare del vuoto di valori che la crisi del socialismo ha lasciato e un’etica laica non sta riempiendo

    

     Davanti alla scelta dell’episcopato italiano di mobilitare le masse e scendere in piazza per manifestare contro i progetti del governo di regolamentare le situazioni di convivenza con dei dispositivi pubblici di riconoscimento delle convivenze e dei diritti, individuali e di coppia, che da queste derivano, molti si domandano quale sia l’anima di questa agitazione.

    Si tratta di fraintendimenti per i quali non ci si comprende con chiarezza sui contenuti, sugli scopi e sulla valutazione delle possibili conseguenze nella società?

    Invano, peraltro, gli estensori del progetto di legge - sui cosiddetti Dico - si sono prodigati nel proclamare che il modello di famiglia stabile e monogamica  non sarebbe stato oscurato, anzi, con opportune politiche di sostegno, sarebbe stato difeso e incentivato; invano si è detto che consentire a coppie omosessuali  di creare una possibilità di convivenza permanente e socialmente propositiva, non era una ripetitiva e goffa simulazione del matrimonio ma la sottrazione alla clandestinità, alla vergogna e alla emarginazione, di relazioni  generose e nobili che potevano essere fruttuose perfino per coloro che vivevano in forma eterosessuale, considerata ancora come prevalente e “naturale” poiché riproduttiva.

     Invano si è osservato che era scorretto ipotizzare che nuovi modelli di convivenza sarebbero stati “contagiosi” e provocanti, dal momento che le pulsioni che venivano dalla attuale forma di città-mercato-immagine in cui le nuove generazioni nascono, crescono e si adattano sono talmente forti e prepotenti da rendere risibile la paura che siano i futuri Dico a proporre e imporre nuovi modi di convivenza.

     Scartata quindi l’ipotesi che fra chiesa gerarchica e potere legislativo ci sia un malinteso, bisogna avanzare altre ipotesi.

     La prima che si può avanzare è che la chiesa gerarchica abbia bisogno dello scontro per ridarsi una identità nel mondo moderno. Guardandosi intorno alcuni vescovi, purtroppo quelli che contano, vedono una desolazione nuova. Non più l’antico spettacolo dell’umanità disobbediente e peccatrice ma quello ancora peggiore di una umanità peccatrice che per assolversi non ha più bisogno della pratica religiosa. E’ vero che molti portano ancora, fra i vari ciondoli, madonnine, crocette e padrepii ma quello che li rassicura e li assolve non è la religione ma il fatto che la loro devianza dalla retta via è maggioritaria.

     Di fronte al crescente abbandono dell’osservanza religiosa e delle regole austere della morale tradizionale, i vertici della chiesa potrebbero porsi come leader di una maggioranza morale; la Moral Majority, già sperimentata negli Usa dalle chiese protestanti fondamentaliste. Le masse di ultras negli stadi, gli innumerevoli febbricitanti del sabato sera, i distrutti dalla droga, il branco dei ragazzini dediti allo stupro, al bullismo, a fare filmetti col telefonino o a buttare sassi dai cavalcavia saranno pure maggioranza ma non hanno una idea spendibile, non hanno una morale condivisibile. La morale ce l’abbiamo noi, dicono i vescovi italiani, e anche se il nostro seguito è in minoranza numerica siamo sempre maggioranza morale. A questo punto non resta che affermare i rigidi principi tradizionali - senza sconti e negoziati - e sfidare quelle altre minoranze che hanno una idea spendibile e condivisibile: i laici. Ma laico non è forte: chiamiamoli laicisti. 

     Rileggere il Risorgimento dalla parte di Pio IX, questa fu l’idea di Cl a Rimini, dopo l’esortazione del cardinal Biffi, quando era arcivescovo di Bologna: «Adesso che abbiamo sconfitto il marxismo dobbiamo fare i conti col liberalismo e la modernità nata dall’illuminismo e dalla rivoluzione francese». I competitori non sono più Marx e Che Guevara ma Rousseau, Kant, Darwin e Freud.

     Gli errori e le incaute aperture di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II hanno portato all’indebolimento del cattolicesimo ed alla sconfitta nei referendum sul divorzio e sull’aborto. Forse, per i vertici della gerarchia ecclesiastica, è il tempo di approfittare del vuoto di valori che la crisi del socialismo ha lasciato e un’etica laica non sta riempiendo, per provocare nuovamente un referendum, magari per abrogare una legge che regolamenti le convivenze etero- o omo-sessuali che siano. Gli schieramenti che si profilano all’orizzonte del bipolarismo politico in Italia non sembrano temibili e la tensione morale che caratterizzava gli anni ’70 sembra afflosciata; tutto questo potrebbe essere una tentazione a cercare una rivincita. Non è da escludere l’ipotesi che la spinta a far quadrato intorno ai presunti  valori della morale tradizionale, non commisurati alle dinamiche talvolta ambigue ma anche positive che si sviluppano nella società, venga in Italia da una particolare premura della Santa Sede per il nostro paese. Pare che l’Italia sia destinata a costituire una sorta di area di influenza del cattolicesimo conservatore per cui quello che passa tranquillamente nell’Europa del nord, anche per un confronto positivo con l’etica dei protestanti, nel nostro paese è frenato.

     Questo lo si è chiaramente visto nel caso di Giorgio Welby sul quale i francesi ebbero a dire che da loro non ci sarebbe stato il “caso” nemmeno per i vescovi.

     Se questo è il destino dell’Italia forse è necessario che si apra il confronto, magari ecumenico e interreligioso, fra religiosi e laici sui valori etici che anche per noi non sono negoziabili. Disertare questa fatica e lasciare ai vertici della Conferenza episcopale italiana l’egemonia morale sui valori da difendere e promuovere con le nuove generazioni renderebbe poi impossibile e ridicolo il nostro lamentarci per il fatto che i vertici ecclesiastici invadano, in modo indiscreto, il campo del potere legislativo della Repubblica.

     Se la famiglia, come struttura sociale, ha ancora una validità, e sicuramente la ha, essa deve adeguarsi alle dinamiche delle nuove forme dell’organizzazione sociale e ai bisogni insorgenti nelle nuove generazioni. Non può restare immobile nelle forme della famiglia patriarcale che è fallita ed è praticamente scomparsa. Il lavoro non mancherà ed i cristiani critici e non allineati non faranno mancare il loro contributo.