Filippo Gentiloni

Encicliche usa e getta

il manifesto 22 gennaio 2006

 

I mass media esaltano, ancora prima di averla letta, la prima enciclica di Benedetto XVI, attribuendole una importanza al di là del tempo e delle vicende storiche. Forse è bene ridimensionare. Come è noto, i media esaltano ma dimenticano presto. Lo conferma una occhiata alle encicliche precedenti: tutta quella serie, ad esempio, che va sotto il nome di «encicliche sociali», ieri citatissime, oggi quasi dimenticate. La serie era stata iniziata dalla famosa Rerum novarum di Leone XIII (1891). Fu accolta come una novità sconvolgente: la chiesa diceva di no al socialismo, ma affrontava per la prima volta la questione operaia. Metteva i piedi per terra. Poi è venuta tutta una serie di documenti: il Vaticano confermava e precisava. Fra le altre vennero la Quadragesimo anno di Pio XI, radiomessaggi e altre encicliche, fino alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II. Una serie che, a suo tempo, sembrava destinata ad orientare tutto l'impegno cattolico. Una via intermedia, fra il socialismo-comunismo, più o meno anticlericale ed ateo, e il capitalismo, almeno quello «sfrenato», come si era soliti dire in Vaticano. Su questa linea, stimolati dalle encicliche vaticane, si sono mossi per decenni i vari partiti «democratico cristiani» in Europa e anche in America Latina. Oggi non più: oggi quelle encicliche sono un ricordo storico. Come mai? Che cosa è successo? Molte cose, dal crollo dei muri al crollo dell'Urss. Spariva la via intermedia, proprio quella delle encicliche sociali. Non restava che il capitalismo abbracciato più o meno da tutti , mentre il papa di Roma rischiava di apparire come il cappellano della Casa Bianca.

Il Vaticano non aveva più una «sua» dottrina sociale: predicava o un amore spirituale, disincarnato, o un amore che avrebbe il suo luogo soltanto nella famiglia regolare. Una oscillazione della cui ambiguità sembra che risenta anche la nuova enciclica di Benedetto XVI.