Domenico Jervolino

“Quistione vaticana”

Liberazione 19 gennaio 2008

 

“Ci sono più cose fra cielo e terra che non nella vostra filosofia!” dice Amleto all’amico Orazio nella grande tragedia di Shakespeare. Per ora in uno spazio a dire il vero assai più vicino alla terra che al cielo mi pare che ci sia soprattutto molta confusione: tra “atei devoti”, politici imbarazzati, crociati improvvisati,  miscredenti che si scoprono paladini del Vaticano,   che a sua volta, nonostante sia una istituzione ricca e potente ha buon gioco e migliore stampa per presentarsi come vittima e perseguitata (il che suona enorme rispetto a un mondo un cui di vittime e perseguitati veri ce ne sono tanti, anche fra i cristiani sparsi nei più lontani paesi dove non ci sono concordati ,  prebende e otto per mille e in generale fra tutti coloro, di qualsiasi  fede o convinzione, che devono fare i conti in tante  situazioni drammatiche – talora cruente - con vecchi e nuovi fanatismi).

In questa confusione, la cosa che a me preoccupa è che rischiamo sempre di vedere gli alberi (spesso sgraziati e sgradevoli alla vista ) e non la foresta, proprio noi che avremmo una grande eredità da valorizzare: quella di Gramsci, che aveva posto alla coscienza della sinistra due grandi questioni nazionali: quella meridionale e quella cattolica. Il caso (o meglio la storia) vuole che le due questioni siano esplose insieme in forme paradossali e spesso deprimenti (tra il rifiuti campani e le telenovele pseudo-sapienziali, per la sola gioia del salotto telematico di Vespa). E in tutto ciò, che orientamento siamo in grado di dare ai giovani, a quelli che non hanno vissuto né il ’68 né gli anni del Concilio? (due vicende che nelle biografie di qualcuno o di qualcuna di noi si sono intrecciate! ) 

Ormai nessuno può chiudere gli occhi di fronte al fatto che sia riemerso in modo addirittura virulento nella vita  politica italiana un dato  che appartiene  ai tempi lunghi della  storia  del nostro paese, vale a dire quel complesso di problemi  che con una formula appunto di sapore gramsciano (che per la filologia parlava di “quistione vaticana”) si riassumono nel termine  di  “questione cattolica”. Questa riemersione, in termini almeno in parte inediti, è incominciata a profilarsi  paradossalmente nello stesso tempo in cui entrava in crisi l’assetto materiale della Costituzione repubblicana, assetto che era stato caratterizzato per quasi un cinquantennio dalla presenza maggioritaria del partito di ispirazione cattolica. E’ accaduto come se la centralità politica della Dc avesse per un lungo periodo oscurato o neutralizzato un vasto retroterra cattolico che è venuto poi allo scoperto allorché non ha avuto più una mediazione politica che in qualche modo funzionava anche da filtro. Fatto è che si sono registrati negli anni  della cosiddetta seconda repubblica interventi sempre più diretti delle gerarchie ecclesiastiche nella vita pubblica e un ricompattamento del variegato mondo cattolico sotto la guida non solo pastorale ma anche politica della Conferenza episcopale.

 Si è consolidata la posizione di privilegio dell’istituzione ecclesiastica, anche per effetto del nuovo concordato (craxiano) e del finanziamento dell’otto per mille gestito in modo fortemente centralizzato dalla Cei, rendendo meno autonomi vescovi e parroci di periferia. E pur con una diversità di accenti si sono manifestate forme fino a poco fa impensabili di riproposizione di culture e comportamenti propri al cattolicesimo più convenzionale, spesso molto lontani – per quel che riesco a vedere io - dallo spirito evangelico e dalla sensibilità di tanti  credenti educati allo spirito del Vaticano secondo. Tutto ciò evidentenente è stato rafforzato dai venti di restaurazione anticonciliare che soffiano sempre più impetuosi.

Questi dati vanno poi ineriti in un contesto globale che registra   una nuova, in parte inedita,  rilevanza del fenomeno religioso nella società contemporanea e una particolare virulenza dei diversi integralismi e fanatismi che incidono nella vita quotidiana e nella società civile e hanno avuto un impatto politico forte,  fino al punto di suggerire l’idea di uno scontro di civiltà o di nuove guerre di religione.

 Anche se si rigetta e anzi si contrasta questo tipo di teorizzazione, come è giusto fare, non si può non rilevare a) che occorre comunque fare i conti col ruolo delle ideologie e del simbolico nel mondo d’oggi b) che il solo fatto che il tema di un conflitto fra culture e religioni venga agitato da forze consistenti dà corpo comunque a questa prospettiva e le conferisce una risonanza  sotto molti aspetti paradossale  (come quella di spettri in se stessi inconsistenti, ma che diventano fattori reali di paure e di comportamenti socialmente e storicamente rilevanti).

Questione cattolica (in Italia ma con riflessi e interazioni globali, se non altro per il ruolo mondiale della Chiesa cattolica e del papato) e questione religiosa (a livello più generale) non coincidono ma hanno sicuramente molti punti di contatto e interrelazioni.

Bisogna riconoscere che sotto molti aspetti la cultura laica e di sinistra si è rivelata  sprovveduta di fronte a tale complessa problematica (questione cattolica, questione religiosa, ruolo del simbolico).

 Inoltre pesa nel nostro paese (e non solo in esso) una diffusa ignoranza in materia religiosa e teologica, che sotto molti aspetti è stata alimentata dalla stessa istituzione ecclesiastica, che ha rivendicato per sé il monopolio di tale cultura e ha sempre preferito fedeli obbedienti piuttosto che dotti. In fondo la quasi identificazione fra cristiano, cattolico, uomo di fede o di religione, finisce per essere assunta come un dato scontato per i più, laddove invece  già il fenomeno cattolico, preso da solo, contiene una pluralità di esperienze e sfaccettature, di cui pochi sono consapevoli. A maggior ragione se si parla  di cristianesimo, di religione e di religioni  e infine di fede.

Tale situazione  ha significato soprattutto  subalternità e conformismo, rispetto alla forma  prevalente del cattolicesimo convenzionale, dall’altra ha provocato come fenomeno di reazione la ripresa di forme di anticlericalismo che sembravano appartenere al passato e che in effetti – come tutti i fenomeni di reazione – servono ben poco per trasformare la realtà e spesso finiscono per portare acqua al mulino della controparte.

Vedo con preoccupazione ed amarezza mettere  in questione e anche dissipare un patrimonio prezioso che si era configurato soprattutto a partire dal Concilio e dal 68-69, vale a dire il dato  della militanza a pieno titolo di  credenti nella sinistra e nel  movimento operaio come  compagni fra compagni, non semplicemente    come alleati o compagni occasionali di viaggio ma come soggetti che avevano scelto  di giocare e di verificare   la propria identità e la propria “differenza credente” al vaglio del  conflitto di classe    e dell’impegno politico. La critica dell’alienazione religiosa e della commistione fra chiese-istituzioni  e potere, che si è sviluppata nel corso dei decenni proprio in questi ambienti – talora nell’indifferenza della sinistra  e con la prevedibile ostilità delle gerarchie-  può aprire  la strada verso  una fede non alienante (per chi è interessato a questo discorso) e ( per tutti) verso  una nuova laicità. Vale a dire verso   un rapporto diverso, egualitario e di reciproco riconoscimento fra credenti e non credenti, e fra  tutti quelli che potrebbero essere chiamati i  “diversamente credenti” formulazione  che può significare molte cose: le minoranze religiose, il cristianesimo di base, ma anche quel contenuto di fede vera nell’umano e nei suoi valori che va riconosciuto al di là delle etichette ideologiche e che  papa Giovanni aveva espresso parlando agli  “uomini  di buona volontà”  e interrogandosi sui “segni dei tempi”.  Uno di questi segni era la liberazione della donna così come un altro era il nuovo protagonismo dei popoli del Terzo mondo e tutto confluiva in una nuova  cultura  della “pace sulla terra”.

Questo patrimonio sta per molti aspetti alle nostre spalle, in parte è anche  datato,  ma l’esperienza dei movimenti degli ultimi anni  per la pace e altermondialisti dovrebbe  indurci  piuttosto a rivisitarlo che a cancellarlo.      

 Chi propone oggi una rifondazione della sinistra  dovrebbe contribuire a una riflessione in tal senso. Altrimenti dovremo rassegnarci a lotte difensive o puramente reattive, che alla fine lasciano troppi spazi  a chi invece sogna per l’istituzione Chiesa cattolica il ritorno di quelli che furono definiti i “giorni dell’onnipotenza” (l’epoca preconciliare di Pio XII). Poco importa loro che  le dure repliche della storia abbiano  più volte illustrato che si tratta di onnipotenza effimera,  almeno sul piano dei valori evangelici, che sono i soli che dovrebbero veramente contare in quel contesto.