Enzo Mazzi

Ferruccio Valcareggi

Da L’unità/ Firenze 2 novembre 2005

 

Tutto si tiene. Non importa certo scomodare Budda. E’ un principio fondamentale della vita e della storia. Di cui normalmente si tiene così poco conto. L’informazione e la formazione sono tutte giocate sulla frammentazione. Disarticolare la realtà, sia ciò che accade oggi sia la memoria, vuol dire trasformare il processo storico in un insieme scoordinato di fatti separati fra loro. E così il processo di umanizzazione sociale scompare per far posto solo all’emergere dei grandi personaggi e dei grandi eventi, non di rado guerre, vittorie e sconfitte. Mentre scompaiono le formiche, cioè la grande massa delle persone, dette appunto “i senza storia”.

Il liberismo si nutre di tale disarticolazione della memoria. Perché è creatore di società-necropoli. Ha bisogno di produttori\consumatori senza identità sociale. Mentre invece il legame intimo e spesso invisibile che tiene unito il tutto è la grande forza dei “deboli” di tutti i tempi.

Il difficile è renderlo palese. Arduo è portare a consapevolezza ciò che spesso inconsapevolmente anima il senso dell’impegno e della partecipazione dei miliardi di formiche tenute in nessun conto dalla politica e dalla storia.

Muore un Ferruccio Valcareggi e tutti parlano, certo giustamente, non lo metto in dubbio, del grande evento del campionato del mondo del 1970.

Ma come si collega con la storia dell’epoca quel personaggio e l’evento che più di tutti gli altri lo ha reso grande? Che succedeva a quel tempo, a cavallo fra gli anni ’60 e ‘70? Che facevano le formiche?

Sono anni ruggenti. Si sta tentando da parte di molti, giovani e meno giovani, di tirare le fila di quella grande rivoluzione culturale che erano stati gli ani ’60. Chi li ha vissuti, come è accaduto a chi scrive, in un punto focale per quel tempo, Firenze, l’Isolotto, sa bene quale crogiolo bollente era la società di quel momento. E' il tempo del recupero e del rilancio delle identità storiche di solidarietà operaia nelle lotte di liberazione dallo sfruttamento capitalista ma anche della presa di distanza dall'ideologia del centralismo statalista. E’ il tempo della costruzione di identità nuove in tutto i campi del vivere e del convivere. La scuola, la fabbrica, la politica, la chiesa, la famiglia, i rapporti uomo/donna, perfino il tribunale e l’ospedale, specialmente quello psichiatrico, sono investiti dal vento impetuoso della trasformazione. Si può dire che tira gli ultimi respiri il medioevo. Nascono movimenti ovunque. Nel 1970 a Firenze riprendono vigore i Comitati di Quartiere, anima del coagularsi sociale e politico di tutta questa vitalità trasformatrice. E' il tempo anche della riscoperta del Popolo di Dio e della "rivoluzione copernicana" della Chiesa che pone al centro non più la gerarchia o il possesso della verità ma il Popolo di Dio stesso, rivoluzione annunciata più che realizzata dai documenti conciliari del Vaticano II.

Siamo in perenne assemblea, in stanze spesso anguste dove il fumo di sigarette, fumate nervosamente, si taglia a fette, per cui chi è sopravvissuto oggi ha l’asma. Gustiamo però il valore e il profumo della democrazia partecipativa. Formiche coscienti di fare storia. E insieme affrontiamo lo sgomento e anche la paura per l’orrido dispiegarsi della strategia della tensione. Un sensazione forte mi è rimasta per la prima strage, quella di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Celebravamo l’eucaristia all’aperto, in piazza dell’Isolotto, dopo che la gerarchia ecclesiastica l’anno avanti aveva estromesso dalla chiesa la quasi totalità della Comunità parrocchiale, la quale quindi, fuori dall’edificio ecclesiastico, si era costituita in comunità di base. La bomba la sentimmo in un certo senso esplodere lì dov’eravamo riuniti in un cerchio di molte centinaia di persone, in piazza dell’Isolotto. La domenica successiva il cerchio comunitario si era dimezzato. Volevano la società del terrore, del “tutti chiusi in casa”, per tornare con la paura a restaurare il dominio autoritario, e la stavano realizzando.

In quel clima lo sport sembrerebbe fuori posto. Niente di più sbagliato. Anzi il campionato del mondo del 1970 servì ad attenuare e in qualche modo a gestire la tensione. Forse lui non lo sapeva, ma Ferruccio e i suoi giocatori hanno contribuito a loro modo ad aprire le strade nuove su cui oggi i giovani procedono magari inconsapevoli delle strani connessioni di cui i libri di storia non parlano. Tutto si tiene.

Firenze 2 novembre 2005