TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

“….noi avevamo tutti soprannomi femminili: io ero ….”

Intervista a GIOVANNI BENZONI

(per contatti: gbenzoni@tin.it)

 

Giovanni Benzoni, nasce il 4 aprile del  1945 a Belluno e con la famiglia si trasferisce a Venezia nel 1955. Iscrittoprima all'Azione Cattolica e poi nel 1964 alla FUCI. Partecipa, come presidente della FUCI (1967-1970) alla riforma dello Statuto dell'Azione Cattolica voluta dal Presidente dell'Aci Vittorio Bachelet. Dal 1970 al 1973 fonda e dirige, a Modena, il Centro studi religiosi della Fondazione collegio san Carlo; vi promuove cicli di incontri cui prendono parte esponenti della cultura italiana da Balducci a Fortini.Dal 1970, rientrato a Venezia, partecipa attivamente alla vita politica e sindacale cittadina ne "il manifesto" e nella Cgil, Nel 1980 eletto consigliere comunale come indipendente nelle liste del PCI e' assessore al decentramento e alla protezione civile. All'inizio degli anni '80: fa parte del gruppo promotore del manifesto degli intellettuali veneti per una cultura di pace, partecipa con don Germano Pattaro alle fasi iniziali del movimento dei "beati i costruttori di pace”, fa parte  del direttivo dell'Istituto Gramscied e' tra i componenti più attivi della sinistra indipendente. Dal '91 al '94 e' garante regionale della Rete e successivamente continua ad essere "indipendente". Fa parte dei cento promotori della libera informazione e partecipa alla fondazione del settimanale "Avvenimenti". Tra il '93-'97 in collaborazione con il Cidi organizza corsi di aggiornamento autorizzati dal ministero della Pubblica Istruzione per insegnanti sul rapporto giornalismo-scuola, in particolare a Palermo, Napoli, Venezia. Nel '93 assieme a Gianfranco Bettin, Paolo Cacciari e Salvatore Scaglione pubblica Venezia derubata. Idee e fatti di un ventennio 1973-1993 (Avvenimenti, Roma). E' responsabile della sezione veneziana dell'Associazione Pace e Diritti costituita nel 1994 da Raniero La Valle.Nella Fondazione Venezia, come responsabile del progetto Iride ha realizzato i primi cinque saloni dell'editoria di pace cui dal 2003 si e' affiancato il salone dell'editoria buddista ed orientale in collaborazione con la Fondazione Maitreya e con la direzione di Federico Allegri, Attualmente e' redattore delle riviste "Il tetto" e "Servitium"; dirige i "Quaderni di sant' Erasmo"; collabora con "Adista","Esodo","Vita monastica" e "Gente veneta".

 

  • Se il linguaggio ha un potere simbolico e culturale rilevante, cosa pensi del fatto che Chiesa Cattolica di Venezia oggi si chiama ancora Patriarcato? Non si potrebbe proporre di eliminare una dizione cosìanacronistica che richiama una storia segnata solo al maschile?

 Nonmi ritrovo nell’ottica sottesa alla domanda, forse perché non provo disagio alcuno ad essere cresciuto nella fede cristiana in questa chiesa in Venezia che gode del titolo di Patriarcato, titolo antico e venerandoe le cui vicende sono oltremodo avvincenti nel passaggio del titolo dal vescovo di Aquileia a quello che sino a Lorenzo Giustiniani era il vescovo di Castello. C’è a questo proposito un libro breve e scritto con intenti apologetici aggiornati all’assunzione del ‘fare storia’ che può rendere meno ovvie queste mie perplessità: Bruno Bertoli La chiesa di Venezia dalle origini al duemila. Tappe di un itinerario nella storia, Venezia, Edizioni Studium cattolico veneziano, 2001 pp.102. Direi di più per sottolineare il fascino delle vicende storiche che certi titoli racchiudono consigliando la lettura di un romanzo di Elio Bartolini, Pontificale in San Marco, riedito nel 1998 dall’editore di Treviso Santi Quaranta: siamo nel pieno del secolo dei lumi e del riformismo teresiano, immersi - come si legge nel risvolto di copertina - in “ una Venezia stupenda e doviziosa, intricata e dolcissima, essa stessa urbs liturgica. Venezia e Aquileia s’incontrano in uno spartito in cui l’eco del gregoriano si sposa alla vivacità del contro-canto patriarchino”. Spero quindi, con questi miei richiami storico-estetizzanti, di avertiproposto il perché del mio rifiuto dell’idea che questa parola sia “anacronistica” come tu affermi. Tanto più sino a quando- e mi auguro che ciò avvenga quanto prima - sulla cattedra del patriarca non siederà una matriarca: allora sarà naturale - senza alcunadannatio memoriae - che il glorioso patriarcato diventi un altrettanto glorioso matriarcato. Questa è una speranza che cerco di coltivare.

 

  • Qual è il senso oggi, per te, dell’appartenenza alla Chiesa Cattolica? In quali elementi costitutivi ed essenziali della tua fede ti riconosci?

Siccomein questa chiesa cattolica sono stato battezzato, ogni giorno mi auguro di riuscire a rispondere pienamente e positivamente al dono della fede: spero di essere cattolico vivendo ogni giornocon gioia e leggerezza informato dalle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Tutto ciò che mi da la possibilità di essere sorpreso di questa realtà donataci da Gesù di Nazaret nella confessione della sua morte, resurrezione e nell’attesa del suo ritorno è essenziale: parola, preghiera e carità. Soffro e mi irrito quando colgo la dissipazione di questa ricchezza che avviene con un impegno degno di miglior causa da parte di ciascuno di noi. Naturalmente mi irrito di più quando sono certo che ciò dipende dagli altri: papa, vescovi, preti e bigotti e chi ne ha, più ne metta, donne comprese. Ma questo è un pessimo vizio cattolico.

 

  • Hai mai riflettuto sul fatto che la formazione religiosa che abbiamo ricevuto e che noi stessi abbiamo contribuito a diffondere è caratterizzata da una cultura dominante discriminante nei confronti delle donne: uso di linguaggio maschile o neutro, simboli, figure, miti, divino maschili, clericalizzazione dei ruoli di direzione,preclusione del “sacro” alle donne, impedimento alla libera espressione femminile, repressione della femminilità e denigrazione della sessualità…. Cosa ne pensi?

Col passare degli anni mi accorgo di quanti atteggiamenti inconsci ed inconsapevoli sono stato espressione provocando involontarie e gratuite mortificazioni. E ne sento il peso tanto più se penso alle volte (poche in verità) in cui nel corso della mia vita mi sono sentito ‘vittima’.Sono persuaso che su questo versante non si fa mai abbastanza e non ci si aiuti come pure potremmo in unaeffettiva ‘ricreazione’ cristiana. Da tempo ho iniziato una personale campagna a che ciascuno di noi sappia assumere, fare proprio lo sguardo delle vittime, perché questa a mio parere è la strada per concorrere a salvaguardare un pezzetto di bene. In questo contesto capisco quanto tu affermi in relazione alla cultura dominante anche se,da maschietto, credo di essere più reattivo per altri aspetti rispetto a quelli che tu evochi a livello di linguaggio e di genere, tanto più che sono persuaso che il linguaggio è bene registri i mutamenti piuttosto che anticiparli. Per restare in ambito cattolico non mi pare che l’aver rinominato le parrocchie, comunità ciabbia, in questi annipost-conciliari, regalato molti più esempi significativi di comunità cristiane. Se posso infine aggiungo un pensiero che, in questi giorni, ho sentito da Ivo Lizzola. Lui, nel partecipare a Bergamo alla presentazione di un numero di Servitium che ho curato dedicato all’Invecchiare, ha osservato che oggi deve diventare pubblico un fatto che è nelle relazioni reali e che restituisce dignità ad ogni persona, quello dell’unire le debolezze, di avere rispetto e cura dei limiti di ogni singolo essere umano, a fronte dell’andazzo alla competizione, al primeggiare uniformante. E questo in tutte le stagioni della nostra vita. Un modo serio per dire e praticare la difesa della vita.

 

  • Nella pratica delle donne è molto importante “il partire da sé”per riflettere sulla propria condizione, sulla visione della vita e del mondo…. anche per voi uomini è importante saper valutare la propria collocazione socialee di relazione interpersonale: come vedi il tuo apporto diretto e personale alla valorizzazione delle differenze di genere? E l’importanza, il valore delle relazioni con le donne della tua vita:tua madre e tua moglie?

Rispondo solo per alcuni aspetti perché non credo di far parte di quegli uomini che tu hai scelto per queste interviste perché consapevolmente sensibili ed attenti alla valorizzazione delle differenze di genere. Anzi nel cercare di darti una risposta mi hai fatto ripensare a quello che ho vissuto nella mia famiglia di origine, dove di otto figli che ha avuto mia mamma, la mamotti, io sono l’ultimo di quelli non morti per difficoltà di parto: quattro vivi (Gino, Marco, Eugenio e Giovanni) e quattro morti (Laura, Guido, Alessandra e Alessandro). Bene in una famigliadominata dai maschi – con un padre non insensibile alla tradizione di Pio X per cui la donna basta che la piasa , la tasa e la staga in casa ( piaccia e taccia e stia a casa) - noi avevamo tutti soprannomi femminili: io ero Nuccia come i miei fratelli più gradi erano: Ginuti, Matussa e Ceciolana. Forse questa indifferenza di genere nei nomi ci ha resi meno sensibili ad alcuni aspetti che invece tu prendi in grande considerazione. Invece in casa nella differenza di approccio alla realtà che io ho colto nei miei genitori - filtrato dallo schema educativo un po’( tanto) bigotto, quello di mio papà; immediato, partecipato in cerca sempre di una coerenza non farisaica, quello della mamotti - quello che tu indichi come il partire da sé, cerco sia una mia abitudine anche nella scrittura, anche quando micapita di affrontare questioni che per consuetudine sembrano più persuasive se trattate in forma impersonale, possibilmente con tutti gliammennicoli accademici al posto giusto. Infine, almeno per darel’impressione che non ho perso per strada la tua domanda, aggiungo che non è proprio il caso che stia a indicare l’importanza delle relazioni con le donne della mia vita, proprio perché già tu le dici donne della mia vita. Paradossalmente posso solo osservare che Mirella è più importante della mia vita. Ma per spiegare questo, riferito alla Gallinaro (è sempre lei, Mirella), ci vorrebbe un canto.

 

  • Parallelamente cosa può significare il soffermarsi sulle figure femminili della nostra storia cristiana? Qualidonne, nella Bibbia o nella storia del cristianesimo,ti hanno particolarmente colpito e per quali motivi?

Indirettamente nel risponderti ho fatto qualche riferimento a tre donne: Maria per il canto del Magnificat, per il custodito nel proprio cuore; Simone Weil per il riferimento all’attenzione e Etty Hillesum per il pezzetto di bene che è l’unico frutto possibile quando la storia, il nostro tempo, viene letto e vissuto avendo di sé il desiderio di essere e saper essere un “cuore pensante”, perciò stessotestimoni credibili. Aggiungo che la lettura del romanzo di Saramago, il vangelo secondo Gesù mi ha accostato a non poche domande oltre che su Maria, sulla Maddalena. Ma soprattuttomi ha fatto riscoprire Giuseppe, il padre.