TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

MARIA EUCARISTICA

Intervista a Don Ferdinando Sudati

 

 

Ferdinando Sudati, sacerdote dal 1972, nella diocesi di Lodi, per diversi anni parroco attualmente è vicario parrocchiale a Paullo. Ha curato per le edizioni Marna, Queriniana, La Meridiana, saggi di aggiornamento teologico di area ispanica. È autore di un’opera sul sacramento della penitenza (Le chiavi del paradiso e dell'inferno. Materiale per una riforma della confessione, Marna, Barzago [Lecco], 2007) e di una ricerca su un caso di apparizioni mariane (Dove posarono i suoi piedi, Marna 2004). Un suo contributo è presente in AA.VV., Confessione addio? Crisi della Penitenza e celebrazione comunitaria (La Meridiana, Molfetta 2005). Partecipa a “Noi siamo Chiesa” il movimento popolare di riforma nella chiesa cattolica affiliato all’International Movement “We are Church” sorto in Austria (1995).

 

 

1) Il Natale è festa cara in famiglia e ci riporta alla nostra infanzia e a momenti felici. Tuttavia chi sente l'importanza della missione cristiana di fronte alla guerra e alle violenze quotidiane, rifugge da un Natale consolatorio e consumistico e ricerca una testimonianza attiva. Tra questi momenti di fede c'è la riscoperta della condizione umana sia di Gesù che della madre Maria la cui figura diventa importantissima per le donne d'oggi: i dogmi ce l'allontanano ma noi sappiamo che fu anche lei "vera donna". Cosa vuol dire per te la figura di Maria?

 

Sono d’accordo sul Natale: consumistico lo è per conto della società, a cui tutti partecipiamo; sul conto della religiosità (celebrazioni, omelie, catechesi, raffigurazioni “reali” o simboliche) bisogna mettere la sua infantilizzazione o aspetto consolatorio, come tu lo chiami. Il fenomeno, in ambito ecclesiale, si è sicuramente attenuato in questi ultimi decenni, ma non abbastanza. Natale è anche sentimento, poesia, dolcezza degli affetti, però se ci riferiamo al Natale della fede, allora il suo nocciolo è l’inizio della presenza di Gesù nel tempo e nello spazio. Nella durezza di quell’epoca e di quelle condizioni, per nulla romantiche.

Riguardo alla figura di Maria, ci sono state delle svolte nella mia vita, nel mio assetto mentale e di fede. C’è stato un periodo in cui ero molto interessato alle apparizioni mariane, benché senza fanatismi. Ho scritto anche un libro in argomento, che non rinnego perché a suo modo costituisce una ricerca seria. Penso che anche qui si sia trattato dell’umanissimo meccanismo consolatorio: le apparizioni sono un fenomeno bello e confortante; se fossero anche vere (non mi riferisco alla verità soggettiva, che ritengo ci sia quasi sempre), che meraviglia!A parte la difficoltà di definire cos’è un’apparizione o visione di Maria, e la reale possibilità di tale esperienza, oggi per me in primo piano non c’è la Madonna della devozione e dei dogmi ma quella del Nuovo Testamento.

Senza annullare i dogmi mariani e la peculiarità del loro inveramento in Maria, attribuisco a essi una valenza universale: segnano un cammino, che è poi quello di noi tutti. Nell’Assunzione vedo sottolineata la forza della risurrezione da parte di Dio, com’è avvenuto in Gesù, indipendentemente dalla vicenda del corpo, che segue il destino comune. Risurrezione-assunzione,penso avvengano nel momento stesso della morte. Dunque, Maria, e più ancora Gesù, naturalmente, vista come prototipo, come punto luminoso di quanto avviene in ogni credente o in ogni essere umano “di buona volontà”.Per questo le parole dell’orazione collettiva del giorno dell’Assunta: “Dio onnipotente ed eterno, che hai innalzato alla gloria del cielo in corpo e anima…”, che continuiamo a utilizzare, mi sembrano completamente fuori luogo. Solo facendo uno sforzo nella direzione della simbolicità le possiamo riscattare dal suono falso che emanano.

 

2) Si porta ad esempio il comportamento di Maria per la sua accettazione del ruolo e disponibilità al volere divino. Penso che oggi alle donne interessi soprattutto capire storicamente come si collocava questa figura che può diventare esemplare anche se vive dietro, quasi nascosta dalla figura del Figlio. Potremmo definirla per le sue scelte controccorrente ed in relazione alla sua epoca, segnata dal patriarcato, una "femminista" ?

 

Senza costringere Maria in schemi che non le appartengono, penso sia legittimo per come è maturata la nostra riflessione su di lei, attribuirle un certo ruolo “femminista”. L’analogo del “femminismo” di Gesù (magari imparato da sua madre!), che è un fatto, anche se in esso non possiamo ovviamente far rientrare idee o conquiste sociali tipiche del sec. XX. Si pensi alla rilettura, molto originale, che è stata fatta del Magnificat nella nostra epoca, prima dalla Teologia della liberazione, in parallelo con l’Esodo, e poi fatta propria da tutta la migliore riflessione mariologica. Direi che è diventata patrimonio comune della Chiesa cattolica, un punto di non ritorno: nel senso che ci aiuterà a non ricadere nel devozionismo melenso ed esagerato di epoche passate e sino al concilio Vaticano II.

Anche se il “cantico” di Maria fosse opera redazionale di Luca o di chi ha messo mano al Vangelo che va sotto il suo nome, ciò che conta è che sia stato attribuito a lei dalla prima comunità e che s’identifichi con la sua figura. Possiamo avere la certezza morale che il Magnificat sia il ritratto di Maria, quantomeno la personalità umana e religiosa che i primi cristiani le attribuivano, come le Beatitudini sono quello di Gesù (ma il Magnificat già le contiene e in certo senso le anticipa!).

Se l’episodio di Gesù dodicenne al Tempio ci mostra Maria di Nazareth nel suo ruolo di educatrice familiare, e l’episodio di Cana in quello di persona concreta e attenta al prossimo, il Magnificat ci restituisce (poiché si era letteralmente involato) la donna del popolo, e inserita nel sociale. Nel Magnificat, Dio è severissimo con il potere, che opprime e umilia, e misericordioso sino alla dolcezza materna con i poveri e gli ultimi della terra. Parole che, messe sulla bocca di una donna comune di duemila anni fa, offrono una base di partenza per un sano discorso femminista “ante litteram”.

Con queste parole, intendo proiettarmi verso l’effettivo riconoscimento della pari dignità e alla concreta applicazione del concetto di parità di condizioni fra uomo e donna, all’interno della Chiesa cattolica; non possono più servire da alibi i documenti vaticani nei quali ci si limita a tessere l’elogio del “genio femminile”, credendo di aver dato soluzione al problema. Senza decisioni concrete che vadano a intaccare la sua struttura celibataria-maschilista, la Chiesa non è credibile agli occhi dell’uomo d’oggi.

 

3) Al fine della piena rivalutazione di Maria non possiamo prescindere dal suo corpo; proprio dal corpo infatti partirei per riflettere sul fatto che, essendo corpo femminile, esso è stato volutamente negato dalla teologia. Ma noi invece che abbiamo un'altra considerazione del corpo vogliamo mettere in evidenza proprio che fu lei la prima ad avere in sé il corpo di Gesù e quindi la prima, a dargli vita e nutrirlo. Cosa ne pensi di questa prima "Eucarestia" di Maria che può anche essere letta nel modo inverso: Maria che dona il suo corpo e il suo sangue a Gesù? 

 

Mi piace l’idea di Maria che dona per prima il suo corpo e il suo sangue a Gesù. Cosa vera, del resto e utile a bilanciare una visione dell’eucaristia a senso unico, devozionistica e tridentina, purtroppo ritornata di attualità con i documenti vaticani degli ultimi anni. E qui entro nel problema donna-eucaristia, per quanto attiene al ministero ordinato. È chiaro che, propriamente, non esiste per nessuno un diritto a ricevere l’ordinazione, o comunque si voglia chiamare l’assunzione di una responsabilità nella comunità ecclesiale – questa dipenderà da una decisione comunitaria – ma dall’acquisizione di alcuni diritti democratici fondamentali, ne discende l’impossibilità di escluderne altri, che ne sono l’estensione concreta, come, per esempio, la partecipazione della donna al ministero e all’autorità nella Chiesa, a tutti i livelli.

Naturalmente, una casta di maschi celibatari, abituata da sempre a tenere le redini del potere, teme come la peste tale innovazione. In questo, la Chiesa cattolica si trova in “buona” compagnia delle frange tradizionali delle Chiese protestanti e di quella Ortodossa. Capisco la paura dell’oligarchia vaticana e aggiungo, anzi, che ne hanno ben donde: devono aver intuito che da questa riforma ne deriverebbe una revisione completa dell’assetto della Chiesa; l’ingresso della donna nella stanza dei bottoni (unitamente al celibato facoltativo) farebbe evolvere il concetto di ordine sacro e quello di autorità nella Chiesa, portando ad un profondo mutamento di tutto l’attuale sistema gerarchico istituzionale sacramentale.

Per la verità, c’è qualche timore anche nel campo di chi vorrebbe il conferimento dei ministeri alla donna: quello di veder aumentare il clericalismo nella Chiesa, sia pure di segno femminile. Qualcuno avanza un’obiezione più sottile: che valore avrebbe una decisione presa soltanto perché ci si trova a corto di personale, a causa del crollo verticale delle vocazioni? D’accordo, non ci sarebbe troppo da rallegrarsi se tale riforma avvenisse solo per provvedere alla penuria di sacerdoti. Non bisogna, però, stupirsi del lato opportunistico della questione ed esagerarne la portata, sino a perdere di vista il reale avanzamento che comporterebbe in linea di principio e di fatto, come apporto benefico per tutta la Chiesa, la chiamata della donna al ministero. È più facile che avvenga la declericalizzazione della Chiesa, piuttosto che il contrario, ed è questo precisamente che paventano i sostenitori dello status quo!

Ritengo, cioè, che la chiave giusta di lettura del problema sia quella che fa vedere quanto sia giusto e liberatorio giungere a questo riconoscimento paritario di diritti e di compiti entro la Chiesa. Finalmente si darebbe un contenuto meno evanescente o escatologico alle parole di Paolo: “non c’è maschio né femmina, perché tutti voi siete una cosa sola, in Cristo Gesù” (Gal 3,28).

Quanto al documento che ha bloccato, nelle intenzioni, l’accesso della donna al ministero, la Ordinatio sacerdotalis (1994), personalmente lo considero la piattaforma per un nuovo “caso Galileo”. Lo dico nella consapevolezza che qui una controprova potrebbe non arrivare mai, in quanto non si tratta di problemi scientifici, soggetti alla sperimentazione. Trovandoci però di fronte a un’esclusione di genere discriminatoria, che non ha ragion d’essere, verrà, questo sì, la “prova” indiretta, cioè un’interpretazione dei testi biblici e della stessa tradizione ecclesiastica meno letterale e più in sintonia con le conquiste del moderno umanesimo, che porterà a conclusioni diverse e di segno opposto a quelle oggi in vigore.