TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

 

PADRI

 Intervista a Marco Deriu

 

Marco Deriu dopo una laurea in Scienze politiche all'Università di Bologna, ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Sociologia presso l'Università di Parma. Attualmente è Ricercatore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Studi Politici e Sociali dell’Università di Parma. È stato direttore della rivista Alfazeta dal 1996 al 1999 e consulente culturale per diversi enti pubblici e privati. È docente a contratto di Sociologia presso l’Istituto Teologico S. Antonio di Bologna e di Geografia presso l’Università della Calabria. Fa parte della redazione del quadrimestrale “La società degli individui”, e collabora con numerose riviste. È membro della Associazione per la Decrescita.

Ha curato i volumi "Gregory Bateson", Bruno Mondadori, Milano, 2000 e "L'illusione umanitaria. La trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale", EMI, Bologna, 2001. Assieme a Pietro Montanari e Claudio Bazzocchi ha curato il volume Guerre private, Il ponte, Bologna, 2004. È autore dei volumi “La fragilità dei padri. Il disordine simbolico paterno e il confronto con i figli adolescenti”, Unicopli, Milano, 2004 e “Dizionario critico delle nuove guerre”, Emi, Bologna, 2005 .

 

 


 

Nella famiglia tradizionale, al ruolo del padre in genere si riferisce ciò che attiene dell'andamento delle risorse finanziarie di una casa, che è considerato di fondamentale e vitale importanza: il padre rappresenta cioè l'esclusiva, se non la principale fonte economica. Si sa del resto che molte donne non sono economicamente indipendenti, i numeri e le statistiche parlano chiaro; quale condizionamento psicologico può derivare dunque dall'essere padre portatore delle risorse? E secondo te sta cambiando qualcosa?

 

Certamente in passato il padre coincideva in gran parte con la figura del bread-winner, l’uomo lavoratore che assicura il pane e tutto il necessario materiale alla famiglia per poter vivere. Questa figura e la sua corrispondente, quella della madre “casalinga” che si occupa di tutte le necessità domestiche, erano complementari, nel senso che rimandavano l’una all’altra. Questa complementarità determinava forme di dipendenza reciproca di tipo produttivo e riproduttivo. È ovvio che il potere economico assicurava al padre un certo controllo sul resto della famiglia e sulle decisioni fondamentali. Ma anche al di là degli espliciti o implici ricatti economici di uno schema di questo genere ciò che è interessante è riflettere sui fondamenti dei processi identitari relativi alle figure del padre e della madre. Il padre costruiva la sua identità socialmente attraverso il lavoro, la professione, lo status sociale. Questa identità si esprimeva in un ruolo sociale, in un riconoscimento economico e un sistema di diritti e doveri famigliari. La madre invece traeva la propria identità in termini innanzitutto relazionali, attraverso la cura delle persone, del marito, della prole, dello spazio famigliare in generale. L’identità sociale ed economica del padre si appoggiava sul lavoro di cura, affettivo e relazionale della madre e viceversa.

Questo tipo di organizzazione tradizionale che abbiamo piuttosto schematicamente richiamato e che affondava le radici nella famiglia patriarcale è andato sempre più in crisi negli ultimi decenni. Da questo punto di vista è in corso una radicale trasformazione. Da una parte i modelli emancipatori e la trasformazione del mercato e della società hanno portato le donne ad entrare sempre più nel mondo del lavoro e ad assumere una crescente indipendenza economica. Dall’altra le trasformazioni del mondo del lavoro e i cambiamenti culturali hanno messo in crisi le certezze della relazione costitutiva tra lavoro, professione e identità maschile. Il lavoro si è andato trasformando e precarizzando, le professioni oggi sono qualcosa di più fluido e incerto che nel passato. Allo stesso tempo l’ideologia del sacrificio e della centralità del lavoro che ha attraversato i secoli precedenti ha perso oggi gran parte del suo fascino e della sua attrattiva. Insomma l’identificazione maschile con il lavoro non è più così netta e forte.

Tutto questo è insieme conseguenza e causa della trasformazione delle relazioni tra i sessi. Ne scaturiscono cambiamenti enormi in termini di psicologie, di dinamiche relazionali, di mutamenti sociali. Posso fare solo qualche esempio anche se ognuno meriterebbe di essere approfondito. Dal punto di vista maschile, gli uomini cominciano a non essere così sicuri e a fare così conto sul lavoro per definire se stessi. C’è l’esperienza della precarietà che sta trasformando radicalmente l’esperienza sociale di intere generazioni. C’è la crescente consapevolezza che l’identità professionale non è più semplicemente ereditabile dal proprio padre o acquistabile sul mercato delle conoscenze, si costruisce attraverso un percorso di esplorazione, sperimentazione, sedimentazione e strutturazione, in cui l’elemento personale e biografico per la prima volta ha un grande peso. Allo stesso tempo molti padri cominciano a vedere anche l’universo delle relazioni interpersonali con la compagna o con i figli come una dimensione di gratificazione importante e anche di riequilibrio personale, assai più che in passato. Poi cambiano le premesse delle relazioni: l’autonomia delle donne come ideale e come esperienza psicologica, economica e sociale produce nuove condizioni nella costruzione delle relazioni di coppia. La libertà della donna, dei suoi desideri, dei suoi progetti oggi è un elemento sempre più imprescindibile in una relazione di coppia affinchè questa possa funzionare. Senza contare le trasformazioni che la femminilizzazione del lavoro sta producendo a livello sociale.

 

Per il fatto di avere e rappresentare una forza fisica quasi sempre superiore, gli uomini, anche padri, spesso non ammettono la loro parzialità: nel rapporto con le donne o mogli, nel rapporto con i figli e le figlie tendono ad imporre un potere che spesso sfocia nella violenza psicologica o fisica. Cosa occorre per fare superare questa "camicia di forza" che costringe anche gli uomini in un ruolo negativo per sé e per gli e le altri/e? hai conosciuto uomini che hanno vissuto la loro mascolinità valorizzando il senso del limite nello scoprire fragilità e tenerezza?

 

L’elemento della forza fisica non va ipostatizzato ma va visto in relazione alla struttura sociale che ha accompagnato l’identità maschile e i ruoli sociali di genere. Lo stesso dicasi per la questione della parzialità. Il senso di onnipotenza maschile è stato fondamentalmente una costruzione culturale. È importante sottolineare questo aspetto per capire anche come tale idea di onnipotenza non sia destinata a durare, anzi si può dire che l’epoca dell’onnipotenza stia ormai tramontando. Per molti anni attraverseremo probabilmente un periodo di crisi anche drammatico, dove la violenza potrà perfino aumentare, ma una certa epoca – in cui l’autorità e le gerarchie maschili dominanavano indiscusse - è oramai finita. Certo oggi la violenza maschile si mostra sempre più radicale e assoluta. Assume la forma dell’omicidio e non più quelle sistematiche e strutturanti cui siamo stati abituati in passato. Ma questi crimini definitivi corrispondono ad una dichiarazione di impotenza quando non di fragilità. Di fronte alla libertà delle donne che assai più che in passato manifestano l’autonomia nelle loro scelte – di lavorare e guadagnare, di aprire e chiudere relazioni di coppia, di portare avanti o di interrompere gravidanze senza chiedere autorizzazioni a compagni o ex compagni, di rifiutare progetti famigliari eterodiretti o di ricostruire un proprio progetto personale e famigliare – di fronte a tutto questo lo spiazzamento maschile è molto forte. La violenza non è più sufficiente per imporre un ordine tradizionale che è già stato in gran parte distrutto. Per questo assume le forme assolute e definitive dell’omicidio, dell’eliminazione radicale dell’alterità. I dati ci parlano ad esempio di un crescente fenomeno di delitti in ambito domestico o di coppia: l’uccisione della propria compagna, della propria ex compagna, della persona che sta per lasciare un uomo o che lo ha già lasciato. Le pagine di cronaca di questi ultimi anni ci hanno abituati a questo tipo di plot. Ora resta il fatto che indipendentemente dalle motivazioni individuali o dalle ragioni dell’uno o dell’altra, l’atto dell’omicidio in sé manifesta l’incapacità maschile di accettare una situazione di fatto, quale che essa sia. Chi fa fuori l’alterità da un altro punto di vista segnala al contempo la propria impotenza e debolezza. E il fatto che spesso questi assassini finiscano per uccidere anche se stessi dimostra che essi non riescono più a immaginare un futuro possibile nemmeno per sé. Non riescono a intravvedere la possibilità di un cambiamento positivo, anche se doloroso. Non riescono a vedersi in trasformazione. E allo stesso tempo sentono che non si può tornare indietro. L’autonomia femminile è ormai un evento irreversibile.

Il bivio che abbiamo di fronte dipende dunque in gran parte dalla capacità degli uomini di ricostruire le proprie relazioni e i propri progetti affettivi e famigliari integrando e accettando la libertà femminile e le sfide e anche le frustrazioni che questa porta con sè. Per me diventa fondamentale che gli uomini capiscano che la libertà delle donne, del loro desiderio non è una minaccia o una perdita, ma al contrario l’occasione per un salto di qualità del rapporto e dello scambio anche con se stessi. Il rapporto d’amore più profondo e più vero presuppone sempre la libertà del desiderio altrui, ovvero l’incontro tra due desideri liberi. Senza questa libertà non possiamo essere desiderati e scelti. Ovvero non c’è vero amore. Dunque la libertà ci espone sempre e contemporaneamente al desiderio altrui: possiamo incontrarlo o meno. Ma è necessario accettare questa possibilità come la condizione da cui occorre sempre ripartire e non come la conclusione della possibilità dell’amore.

 

La figura di "Dio padre" è il riferimento di tutte le religioni monoteiste e patriarcali nate e nel cuore del mediooriente e sviluppate nel mediterraneo: ma oggi cosa è per te questa paternità, così esclusiva e così potente, di fronte alla rilettura del maschile e femminile? C'è sempre la necessità secondo te di riferirsi esclusivamente ad un padre per rappresentare il divino? Cosa ne pensi?

 

Personalmente credo che quella del Dio padre sia una metafora che ha una storia antica e delle implicazioni di vario genere, alcune positive e altre negative. La metafora del Dio padre implica per un verso un’immagine personale del divino e nel rapporto con il sacro. Da questo punto di vista ci ha familiarizzato e umanizzato l’esperienza del sacro. Contemporaneamente implica l’idea che tutti siamo figli di questa divinità e dunque fratelli tra di noi, cioè ha trasmesso potenzialmente un messaggio di uguaglianza e di solidarietà. D’altra parte questa stessa metafora si trascina con sè tutti gli aspetti della simbologia patriarcale: il senso di amore e protezione ma anche l’ira e la vendicatività. Più in generale un ordine maschile di potere e gerarchia che suggerisce una minorità del principio femminile e concretamente delle donne, che non a caso in tutte le religioni monoteistiche sono in gran parte escluse dall’autorità religiosa o inserite in una posizione subordinata. È impressionante che a distanza di millenni resista ancora nell’universo religioso contemporaneo una separazione sessuale, una serie di divieti e di preclusioni verso le donne e implicitamente un senso di minaccia proiettato sul sesso femminile.

Personalmente dunque auspico un superamento radicale di questa rappresentazione. Ma una nuova espressione del divino e del sacro non è una faccenda che si inventa a tavolino. A coloro che non si credono arrivati ma si sentono ancora in un sentiero di ricerca, compete solamente la dimensione dell’esplorazione di esperienze e universi che possano produrre altre simbologie e altre metafore. Allo stesso tempo altre simbologie e metafore produrranno nuove esperienze e sensibilità religiose. Questo è un cammino che ho cominciato da giovane. Ho smesso di credere a un Dio padre molto tempo fa quand’ero ancora adolescente e non sento nostalgia di quel tipo di rappresentazioni.

Ad ogni modo la sfida oggi non è solamente quella di mettere in discussione l’immagine “patriarcale” e anche “paterna”. Si tratta probabilmente di uscire dagli schemi famigliari e anche personalistici del divino che abbiamo ereditato da tradizioni plurimillenarie, in una direzione che rimetta in discussione tutta una serie di griglie identitarie e opposizioni tradizionali: non solo quella tra uomo e donna, tra padre e madre, ma anche quelle tra esteriorità e interiorità, tra corpo e spirito, tra sacro e profano, tra fede e laicità, tra la specie umana e le altre specie, tra dio e creato, tra mente e natura ecc... È chiaro che questo percorso non si compie in qualche anno. Volenti o nolenti siamo ancora in gran parte immersi in schemi tradizionali. Possiamo liberarcene soltanto riconoscendoceli addosso e imbastendo con essi un confronto critico.

 

Le femministe spesso hanno escluso a priori dal confronto gli uomini, ma dopo un passaggio di esclusione, oggi si va alla riscoperta di un più proficuo confronto tra uomini e donne, nell'esigenza di scelte di reciproco sostegno alle politiche di genere: partendo dalla tua esperienza personale e di impegno sociale e politico come vedi l'evolversi delle dinamiche dei gruppi misti? Vedi possibile il superamento di divisioni e convergenze su obiettivi comuni senza che una parte o l'altra debba soccombere?

 

Credo che l’aspetto interessante della situazione attuale sia la molteplicità di esperienze. Ci sono gruppi di donne, gruppi di uomini, gruppi misti, ma anche reti di persone che hanno scambi interpersonali al di fuori di appartenenze specifiche. E poi ci sono tutte le interazioni della vita quotidiana, meno consapevoli magari, ma altrettanto se non più importanti. Non credo che si debba andare da un modello ad un altro. Questa molteplicità di esperienze mi sembra feconda di per sè e credo che rappresenti l’espressione di una moteplicità di esigenze e di esperienze di dialogo, confronto e anche di conflitto. Personamente ho esperienza da molti anni di scambi all’interno di reti e gruppi di uomini anche se non faccio stabilmente parte di un gruppo di uomini. Mi sento molto vicino agli amici di “Maschile plurale di Roma” con i quali ho un dialogo continuo, ma vivendo in città diverse lo scambio non è sempre facile. Allo stesso tempo faccio parte di un gruppo misto a Parma, la città in cui vivo, che si chiama “Il circolo della differenza”. È nato alcuni anni fa ma sulla scorta di uno scambio quasi decennale con alcune donne che vengono da esperienze di femminismo. Il gruppo si è concretizzato spontaneamente quando ho scoperto altri amici uomini disposti ad impegnarsi in un percorso di riflessione su di sè e sul rapporto tra i sessi e alcuni fili si sono di nuovo intrecciati. In questo momento per me il desiderio più forte è quello di riattraversare spazi ed esperienze miste, ma con una sensibilità nuova, che proviene dalla consapevolezza della propria parzialità e dalla curiosità o dal desiderio dell’incontro con l’altra. Le cose sono legate. Anche la recente esperienza di un appello di uomini contro la violenza sessuale che abbiamo lanciato in settembre con Alberto Leiss, Stefano Ciccone, Jones Mannino, Claudio Vedovati, Sandro Bellassai ed altri, nasce comunque anche da scambi insieme in contesti misti, con donne e uomini di diversa provenienza.

Un’altra novità interessante è che oltre alle associazioni e ai gruppi strutturati si stanno sperimentando altre forme di incontro come appuntamenti fissi o gruppi informali di persone di diverse città che si danno convegno in questo o quel posto, da Asolo, ad Anghiari, a Palermo, a Roma o a Milano. C’è una voglia di confronto e di scambio che intreccia uomini e donne ma anche diverse generazioni e diverse provenienze. Conosco esperienze di scambio tra gruppi etero e omosessuali, tra laici e religiosi, tra uomini e donne di diverse culture e provenienze. Io stesso attraverso gran parte di queste esperienze e trovo che siano molto arricchenti e stimolanti. Non so se emergeranno degli obiettivi comuni di lavoro. Ma credo che il modo attraverso cui ci si incontra e ci si confronta sia determinante per vedere qual è la direzione verso cui è possibile muoversi insieme.

 

Dall'esperienza delle nuove famiglie allargate, da nuove relazioni tra i generi, o nuove modalità di convivenza, dalla messa in comune della vita e della maternità e paternità, quale spazio, quale considerazione chiedono oggi gli uomini? Cosa in particolare stanno costruendo i nuovi padri? Quale relazione con i figli e le figlie?

 

Credo effettivamente che un cambiamento nell’universo maschile e paterno e nelle esperienze famigliari sia in corso. Soprattutto se guardiamo alle ultime generazioni di padri. Naturalmente dobbiamo tener conto che non stiamo parlando di una rivoluzione che si è realizzata, ma piuttosto dell’inizio di un percorso di trasformazione ancora in gran parte incerto e indefinito che può risolversi in direzioni completamente differenti. Penso alla maggiore attenzione dei nuovi padri verso il momento della nascita e una richiesta o una disponibilità crescente di condivisione dell’evento della nascita. Altri padri cominciano a condividere maggiormente la cura dei figli in casa. In molti ruoli i giovani padri di oggi si mostrano capaci di affiancarsi e all'occorrenza di sostituirsi alle madri per curare i figli in tutti gli aspetti: farli mangiare, pulirli, cambiarli e accudirli, farli addormentare, alzarsi di notte quando piangono, accompagnarli al Nido e in qualche caso addirittura affiancarli nell’ambientamento. Non possiamo non comprendere l’importanza del cambiamento in corso. Emerge chiaramente, per esempio, una maggior confidenza e condivisione della corporeità tra padri e figli, che comporta una vicinanza ed un contatto fisico significativamente diversi sia in termini quantitativi che qualitativi rispetto al passato. I padri si occupano della cura del corpo dei figli, cambiano il pannolone, fanno il “bagnetto”, li portano dal pediatra e più in generale li coccolano con più scioltezza e naturalezza. Manifestazioni d’affetto e di attenzione come baci, abbracci, l’andare a letto assieme o il prendere in braccio possono sembrare oggi cose del tutto naturali, ma fino a pochi decenni fa le esternazioni affettive e le cure corporee non costituivano affatto una modalità comune e diffusa nei rapporti padri-figli. Da questo punto di vista esse rappresentano un segnale rilevante del forte avvento della corporeità nell’esperienza paterna in particolare nei primi anni di vita dei bambini. Questo rapporto con la corporeità è particolarmente significativo innanzitutto perché attenua la preminenza della dimensione verbale e razionale e accentua la comunicazione fisica, non verbale, letteralmente di pelle. In secondo luogo il contatto corporeo è senza dubbio un potente mezzo di comunicazione affettiva, che pur essendo presente anche in passato tuttavia non veniva facilmente esplicitato o reso pubblico. Evidentemente poi la diminuzione della distanza fisica porta con sé anche una diminuzione della distanza psicologica. Molti dei nuovi papà non a caso investono inoltre molto tempo ed energie nelle dimensioni ludiche, nel gioco, nel divertimento con i figli e anche questo in termini sociologici rappresenta certamente una novità. Questa disponibilità di tempo e di condivisione ludica non era frequente nei rapporti padre-figli in passato.

Tali aspetti di condivisioni ludico-corporee segnalano anche una disponibilità dei padri a far emergere il bambino che è in loro, e questo entro certi limiti può essere considerato un aspetto positivo. Certo, siamo ancora ben lungi da registrare una divisione equilibrata dei lavori di casa e di cura. I padri sembrano più disponibili per il gioco e per le dimensioni educative ma rimangono molto immaturi sul piano dei lavori routinari e domestici più faticosi e meno gratificanti. Resta ancora molta strada da fare ma è importante illuminare il cambiamento e sostenerlo, perché di questo passaggio di civiltà nel rapporto tra i sessi siamo tutti corresponsabili.