Tempi di sororità

A cura di Catti Cifatte

Con le donne della Colombia

Scelgo questa volta, di riportare un intervento molto interessante di un esperto dei problemi politici della Colombia, Guido Piccoli, che legge criticamente la situazione del sequestro di Ingrid Betancourt nel contesto complessivo della drammatica e rimossa realtà colombiana. Quando questa rubrica verrà diffusa ci si augura che Yolanda Pulecio, madre di Ingrid, sia riuscita nel suo intento di coinvolgere Hugo Chávez nel progetto di liberazione della figlia e che le sanguinarie FARC abbiano desistito dall’obiettivo di morte, ma ci si augura qualcosa di ben più grande per l’intera Colombia ed in particolare per le sue donne!

 

Riflettori su Ingrid, la Colombia muore

Ingrid sola, stanca di soffrire e di morire lentamente in una selva umida e folta, sotto una tenda e su un'amaca, avvolta da una zanzariera e sorvegliata da guerriglieri abituati a negarle tutto, anche un dizionario enciclopedico, e incapaci di un gesto di solidarietà, d'affetto e tenerezza. Non a caso tutti maschi che, anche senza volerlo, l'umiliano ogni volta è costretta ad appartarsi. Ingrid che teme un blitz che possa squarciare all'improvviso l'eterno cicaleccio della foresta: sarebbe la morte, per mano di non si sa chi, come successe per gli undici deputati del Valle massacrati nel giugno scorso. E’ così sfinita da augurarsi quel blitz: un epilogo di sangue sarebbe «un sollievo per tutti», la fine di un'agonia durata duemila giorni.

Da quando hanno saputo di lei, visto il suo volto scavato e letto la lettera alla madre Yolanda, gli umani che possono permettersi il lusso della compassione l'hanno scoperta bella nella sua dignità ed elegante nei suoi miseri indumenti. Hanno però scorto un solo dramma della Colombia, quello di una donna coraggiosa e intelligente, che ha avuto la sfortuna di essere finita tra due fuochi, tra il cinismo della ragion di stato o meglio del para-stato di Alvaro Uribe, e la miopia di una guerriglia politicamente ottusa. Ma Ingrid ha anche la fortuna di essere famosa, di buona famiglia e per metà francese. Di Clara, la sua segretaria, ad esempio, si sa poco o niente, sebbene sia prigioniera due volte, avendo fatto un figlio nella selva, poco importa se contagiata dalla sindrome di Stoccolma. E si sa poco anche degli altri sequestrati, compreso il capitano figlio del professore Gustavo Moncayo, il «camminante della pace» sbarcato anche in Europa a chiedere più impegno per l'accordo «umanitario».

Comunque dell'odiosa industria del sequestro, della quale sono imprenditori quasi esclusivi i guerriglieri, si parla abbastanza, essendo il principale delitto che colpisce innanzitutto i ricchi. Del resto non si sa niente. Ad esempio dei desaparecidos colombiani che, distribuiti da decenni col contagocce, sonopiù di quelli cileni e argentini. E nemmeno dei sindacalisti, ammazzati in numero maggiore che in tutte le altre nazioni messe insieme. Allo stesso modo s'ignorano i mille e più malcapitati (contadini ma anche commercianti o semplici sfortunati passanti) uccisi e fatti passare per ribelli, solo perchè i militari possano ottenere un premio dai loro superiori e perchè questi possano farsi belli col presidente Uribe, che ama calcolare in cadaveri l'esito della lotta alla sovversione. Non si sa nulla delle donne violentate davanti ai loro figli e ai loro uomini legati, ultimo spettacolo loro offerto prima di essere ammazzati. Non con una misericordiosa pallottola alla nuca, ma squartati in un'orgia di sangue, con la motosega tecnologica o il machete tradizionale. «Prima gli si taglia la gola e si strappa la lingua per evitare che urli, poi il resto. Quando gli si tolgono le viscere, in genere uno è ancora vivo. Il tempo minimo per morire in questo modo sono quindici minuti», spiegò qualche mese fa, pacatamente, uno delle migliaia di miliziani delle Autodefensas a Hollman Morris nel programma Contravia (adesso il giornalista è dovuto scappare dalla Colombia mentre lo squartatore professionista, come tutti i suoi compagni di macelleria, è libero e sostenuto psicologicamente e economicamente «per potersi reintegrare nella società»).
Gli umani compassionevoli adesso sanno di Ingrid. Grazie soprattutto ad una lettera che sarebbe dovuta rimanere privata e che - indignando la madre Yolanda - è stata recuperata militarmente e tenuta nascosta, pur di far fallire la mediazione di Chávez, tagliata, manipolata, trasformata in volantino e spacciata nel mondo dall'apparato propagandistico di Alvaro Uribe. Cioè dello stesso che ha boicottato finora qualunque accordo per liberarla. E soprattutto del capo spirituale, il protettore, il beneficiario e il garante di chi in Colombia - militare, paramilitare o trafficante di droga che sia - tra le altre attività ha desaparecido oppositori, eliminato sindacalisti, ammazzato nelle maniere più atroci decine di migliaia di contadini e indigeni e disseminato il paese di centinaia di fosse comuni. In sintesi, il difensore di un «terrorismo di stato» che ha fatto molte più vittime del «terrorismo» opposto ma che, evidentemente, è considerato un terrorismo fatto «a fin di bene», in nome del «progresso», dell'economia di mercato, dello sfruttamento delle risorse e per conto degli interessi dei paesi ricchi, delle loro società multinazionali e dei loro servi locali.
Che i signori della guerra facciano terminare presto il dramma dei sequestrati, quindi. E che questo incoraggi la conoscenza, e la soluzione, dei tanti drammi di un paese dai cuori induriti, come ha scritto Ingrid nella sua bella lettera alla madre Yolanda.”

Per parte mia ho avuto l’opportunità di conoscere ed approfondire un’altra situazione delle donne della Colombia tramite l’esperienza diretta di mio marito Peppino Coscione che, in qualità di Presidente del ‘Comitato Piazza Carlo Giuliani’ insieme alla Associazione ‘A Sud’, ha partecipato recentemente in quel paese ad una missione italiana di soggetti finanziatori del progetto “una casa delle donne wayu'u” che è stata inaugurata la prima settimana di settembre 2007.

Questo progetto ha inteso rafforzare le donne colombiane Wayu'u, attraverso la realizzazione di una sede per la loro organizzazione. I Wayu'u sono un'etnia di circa 300mila persone, metà delle quali vivono in Colombia e l'altra metà in Venezuela. In Colombia abitano la regione della Guajira, una della zone maggiormente minacciate da grandi megaprogetti idroelettrici, petroliferi e per il controllo dell'acqua. In questa regione negli ultimi dieci anni sono andate sempre più intensificandosi le azioni militari e paramilitari per il controllo dei territori, con i conseguenti sfollamenti forzati, scomparsa di leaders indigeni, omicidi, stupri, azioni di intimidazione e continue violazioni dei diritti umani.

Le donne wayùu, principali vittime di abusi da parte dei gruppi armati, sono anche quelle che maggiormente si sono organizzate per rafforzare l'identità della propria etnia, mantenere l'unità delle loro comunità e l'organizzazione della loro società, basata su una struttura matrilineare.

Disporre di una sede per l'organizzazione permetterà loro di avere uno spazio per l'incontro, la formazione, la raccolta e la diffusione delle denunce relative al popolo Wayu'u. Il progetto intende inoltre sostenere le azioni volte al rafforzamento della rete con gli altri movimenti indigeni del paese e con il resto del popolo Wayu'u.

Si legge nel resoconto di Peppino: “(..) mercoledì 5 settembre, ci dirigiamo verso Macao, una cittadina non molto lontana dal territorio venezuelano, per incontrare nella riserva di Mashou le comunità più colpite dalla violenza omicida del paramilitarismo, con la copertura attiva o passiva di apparati militari statali. All'ombra di un albero più che centenario, parecchie donne si alternano per raccontare le tragiche storie che le hanno colpite: storie di saccheggi, di incursioni notturne, di furti, di intimidazioni, di stupri, di accuse infondate di appoggio alla guerriglia, di limitazione alla mobilità. Sapevo che mi attendeva un'esperienza drammatica, ma mai come quella che ho vissuto ascoltando la voce e guardando il volto di madri cui hanno ammazzato figli, di mogli cui hanno ucciso i mariti, di donne cui hanno tolto ogni speranza di vivere, di ragazzi strappati alle famiglie che ancora oggi non sanno dove siano stati portati. Ben duecento crimini sono stati commessi in questa zona negli ultimi anni da parte dei paramilitari, che, nonostante la smobilitazione prevista dal governo, nei territori indigeni hanno solo cambiato nome, continuando le loro azioni di sopruso, tese a terrorizzare e a distruggere la rete organizzativa delle comunità indigene.

Le donne della comunità Mashou denunciano le violenze subite


Eppure in questo ‘deserto’, così viene definito il territorio da Karmen Ramirez Boscan nel suo libro nel quale parla appunto dei crimini perpetrati nei confronti del suo popolo, cresce la pianta della forza di tante donne decise con una lotta nonviolenta a difendere il patrimonio territoriale, sociale, culturale e religioso del loro popolo da ogni prevaricazione, sopraffazione e abuso.

Per alimentare questa pianta, è stato importante sostenere la realizzazione di un punto di incontro dell'Associazione "La fuerza de las mujeres Wayùu", costruito all'incrocio delle Cuatro Vias, incrocio sorvegliato da diversi posti di blocco militare, perché nelle vicinanze passa il treno che trasporta il carbone del Cerrejon, sta per essere costruito un gasdotto e sono in gioco altri progetti che aumenteranno lo sfollamento della popolazione soprattutto wayùu. Ma ciò non impedisce a più di duecento donne, in abiti colorati da festa, di prendere parte all'inaugurazione della casa, dedicata a Carlo Giuliani.”

Benvenuti nella terra delle donne Wayu’u: Colombia vive!

Genova 11 dicembre 2007