TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

 

Proseguendo nella riflessione sul tema “L’ombra del divino. Generare il limite: percorsi di vita della donne” in preparazione del XVII Incontro Nazionale dei gruppi donne che si terrà a Castel San Pietro (Bologna) dal 6 all’8 dicembre prossimi, mi vorrei soffermare sul concetto del limitee sui percorsi delle donne nella comunità ecclesiale.

Esigenza di comunità: riconoscere il proprio limite

Nella quotidianità uomini e donne generano il limite della vita. Eppure il limite vien concepito come concetto o caratteristica negativa.

La vita è accolta e cresce nella donna, figlio e figlia della madre vivono in uno spazio vitale definito, in stretta relazione con lei nel periodo della gravidanza che è un tempo limitato. La madre è anche un contesto naturale ma limitato e a sua volta genera un “limite” e ciò non è da considerarsi fattore negativo: il limite consente la visione e la comprensione di sé e del proprio ruolo e della differenza da altra/o. Generalmente la donna è anche più vicina a chi supera la vita con la morte e la sua funzione di cura dei malati terminali le consente di conoscere più da vicino la situazione del limite della vita.

Sappiamo anche che il mondo che ci circonda, gli animali, le piante hanno un limite, nel senso che sono compresi nei limiti della nascita e della morte; così come ogni frazione di processo vitale, quello molecolare e/o atomico, piuttosto che il formarsi dell’universo, hanno un limite, ma gli scienziati vogliono continuare ad indagare per scoprire l’origine del nostro mondo ed anche, dico io, concepire le modalità della sua possibile fine. Forse hanno paura? E’ di questi ultimi tempi l’organizzazione tecnologica avanzata di un contesto spaziale ove gli scienziati stanno tentando di ricreare le condizioni per la riproposizione del processo di formazione del nostro mondo; ma anche quelle tecnologie o ‘prove’ hanno evidentemente dei limiti. A chi giova questa corsa della scienza? Chi stabilisce il tempo, la velocità, il fine della ricerca?

Tutta la nostra società occidentale punta al superamento del limite, alla concorrenza oltre ciò che ci accomuna, all’individualismo sfrenato nell’affermazione di un sé ‘superiore’; il sistema, a cui purtroppo anche molte donne si adeguano, vorrebbe inculcarci il raggiungimento dell’onnipotenza, ma proprio qui sta il suo limite, nel non voler valorizzare i limiti, le diversità ed il loro significato.Del resto è evidente che lo sviluppo di certe ricerche scientifiche, come nel campo della biologia possono essere la spia della volontà della società patriarcale di spingersi fino ad occultare la potenza generatrice delle donne.

Orapur riconoscendo l’importanza della ricerca scientifica che dovrebbe poter essere al servizio e rendere accessibile le conoscenze al maggior numero di uomini e donne, permane in noi il dubbio esistenziale e contestualmente una forte e sincera esigenza di divino condiviso comunitariamente. Si tratta di un anelito verso “qualcosa che vada al di là di noi”, una spinta di sentimenti “religiosi”, di coinvolgimento di mente, corpo ed emozioni verso “qualcuna o qualcuno” che concretizzi il nostro desiderio del superamento del limite, che costituisca meta di libertà e certezza del trionfo della giustizia e della pace. Constatiamo che tutte le parole che usiamo e tutte le definizioni scientifiche che man mano si acquisiscono, non cancellano ancora dal nostro linguaggio ciò che chiamiamo “il creato”, presupponendo che ci sia un soggetto che ne ha determinato i limiti, l’origine e la fine e che questo soggetto sia amorevole, in questo senso il soggetto potrebbe proprio avere connotati materni e generatori.

Ma la dimensione divina rimane ancora da “dimostrare” e ciò che la donna e l’uomo concepiscono del divino ha i limiti imposti dalla visione di genere, dai sentimenti, dal contesto storico, dall’ambiente culturale, dall’immaginario collettivo, dagli insegnamenti ricevuti e dalla propria capacità di elaborazione.

Ciò non significa che il divino sia irraggiungibile, illimitato ed asessuato; anche se le religioni monoteiste e patriarcali ci hanno insegnato che il divino non avrebbe limite, s’identificherebbe ‘preferibilmente’ con un solo sesso, quello paterno, sarebbe sovraordinato ad ogni cosa che avrebbe generato come soggetto onnipotente ed onnisciente e benché anche noi donne possiamo pensare che ci sia ben oltre la nostra concezione del divino e che sia molto difficile tentare di definirlo, pur tuttavia dovendoci dare delle ragioni cerchiamo di individuare ciò che ci “conviene” (e non solo in senso utilitaristico), che ci possa dare delle certezze.

Per noi donne, in particolare nei nostri gruppi ce lo siamo dette più volte, il divino deve poter essere tangibile, concretamente dalla parte dei più deboli, e dispensatore di bene, di cure e di sollievo dalle sofferenze e dal dolore, fonte di amore e piacere; per noi il divino che abbiamo indagato deve poter liberarsi da connotati teologici tradizionali e deve poter sconfinare, determinare vuoto, mancanza per lasciarci la riscopertadell’autenticità di ciò che sta dietro le “incastellature metalliche” di un costruito maschile. In questo senso la scelta dell’appartenenzaal cristianesimo e la conferma del nostro situarci in questo filone della tradizione è certamente legata alla reale e concreta collocazione di parte fatta da Maria e Gesù di Nazareth, alla constatazione che dalla loro storia di vita si possono trarre modelli e vantaggi per un movimento di liberazione di tutte e tutti, anche se ovviamente non possiamo escludere che altri contesti di tradizione religiosaconducano allo stesso scopo.

Scopriamo così che tanti nostri singoli aneliti, tanti desideri anche espressi nel nostro intimo, tanti piccoli processi vitali collegati insieme tra loro, pur espressione dei nostri limiti, possono ben rappresentare il contesto del divino che andiamo cercando: ecco anche come si spiega il nostro desiderio di relazione. Quindi, nel nostro limite, concepiamo la dimensione divina proprio là dove si determina la differenza e l’articolazione delle diversità portate da ciascuna e da ciascuno. Il limite della differenza, tante differenze insieme, la conoscenza dei confini ed il riconoscimento del proprio essere distinto dall’altro/a, danno una certa fisionomia alla dimensione della comunità e alla relazione con il divino.

Emerge anche l’esigenza di vivere e di valorizzare le differenze nelle comunità, esaltando gli aspetti legati ai singoli e mirando alla condivisione del sentire, dando spazio a tutte e tutti in una dimensionemeno astratta del sacro. Le fiammelle dello spirito che si posano sul capo di donne euomini raccolti nel nome di Gesù nella Pentecoste, e la possibilità loro offerta di parlare le mille lingue necessarie per andare incontro alle altre e agli altri, sono la simbolica rappresentazione della loro individualità ed insiemeil segno tangibile della presenza del divino tra loro. Una presenza del divino che accoglie e che non discrimina le diversità, che spinge e stimola donne e uomini al superamento dei confini e dei conflitti, dove si consolidino le relazioni ed anche dove si riconoscono reciprocamente i limiti dei soggetti e dei componenti della comunità stessa.

In particolare poi, se le relazioni comunitarie sono “sessuate” nel senso che sono ancheespressione delle differenze connotate al maschile ed al femminile, essecostituiscono l’elemento che caratterizza la pienezza della comunità; ora purtroppo per troppo tempo la comunità, come le chiese, sono state condizionate dalla prevaricazione di una visione maschile e hanno cancellato la presenza della visione femminile, sono state cioè comunità mancanti di una parte. La comunità diventa anche luogo ove esercitare le libertà nel rispetto degli altri e delle altre. Non un astratto sviluppo che distrugga il creato al solo destino dello sfruttamento da parte dell’uomo , ma una convivenza pacifica , un uso della terra e del mondo naturale che ci circonda per la sua piena valorizzazione, per il riconoscimento della sua esistenza e della sua necessità.

Il discorso si fa etico, quindi non solo esperienziale, ma di responsabilità, dove la relazione non può però essere fine a sé stessa, la relazione porta necessariamente alla condivisione o al salutare confronto delle diverse esigenze di vita delle donne e degli uomini.

Ho accolto con molto interesse sulla rete di Noi Siamo Chiesa la comunicazione di Sara sul movimento “Future Church” che si è fatto strada negli Stati Uniti d’America: “(…) questo movimento ha circa 5000 aderenti, tutte persone attive nelle rispettive parrocchie, e lotta (tra le altre cose) contro l'ineguaglianza delle donne nella chiesa cattolica. La campagna, nel corso di meno di due anni, ha ottenuto l'invio di circa 20.000 cartoline, tra elettroniche e cartacee, ai vescovi statunitensi,al Papa e ai funzionari vaticani: le cartoline chiedevano che al sinodofosse presa in considerazione la leadership
femminile e le esperienzedi predicazione e proclamazione della Scrittura di cui si parla nella
Bibbia. Hanno contattato i e le leader dei vari ordini religiosi, chehanno scritto ai propri vescovi a sostegno della campagna, inparticolare chiedendo la partecipazione di studiose bibliche al sinodo.
Anche un buon numero di vescovi e cardinali ha scritto agli organizzatori del sinodo a sostegno della campagna o ha comunque manifestato interesse. La campagna non si limitava ad una richiestagenerica, ma inviava alle persone contattate del materiale informativosulle donne e la loro partecipazione ed esclusione nella storia della Chiesa e proponeva un elenco concreto di 23 studiose bibliche di tutto il mondo disponibili a partecipare al sinodo.Inoltre, sono 11 anni che Future Church organizza delle celebrazioni in onore di Maria di Magdala come leader della Chiesa negli Stati Uniti, in Canada, in
Australia e in altri sei paesi (600 solo nell'ultimo anno e mezzo).Anche qui, Future Church lavora nel presente, inserendo in queste celebrazioni omelie e proclamazioni della scrittura da parte delle donne, che prestano servizio in ruoli liturgici visibili. Tre persone del consiglio direttivo di Future Church (Suor Christine Schenk, Fra'Gerry Bechard e la signorina Rita Houlihan) sono a Roma per seguire i lavori del sinodo.”

Per informativa il sito di Future Church è tutto in inglese ma anche chi non conosce questa lingua può apprezzare l’impostazione delle immagini dove prevale il messaggio della maternità e della donna, Maria di Magdala, apostola tra gli apostoli: per me è uno dei tanti ed importanti “segni dei tempi”.

Genova, 12 ottobre 2008