TEMPI DI SORORITA’

a cura di Catti Cifatte

Lo spazio per l’ombra

 

Si è svolto dal 6 all’8 dicembre scorsi a Castel San Pietro Terme (Bologna) il XVII Incontro Nazionale dei Gruppi donne delle comunità cristiane di base, incontro organizzato in collaborazione con i gruppi Il cerchio della luna piena di Padova, Le donne in cerchio di Roma, Thea – teologia al femminile di Trento e Il Graal di Milano, sul tema, più volte richiamato in questa rubrica, “L’ombra del divino. Generare il limite: percorsi di vita delle donne”.

La partecipazione è stata numerosa (più di 100 presenze e circa 15 gruppi-donne) e coinvolgente sia per le tematiche sia perché sono stati sviluppati 5 laboratori articolati e partecipati da tutte le donne: questa è una delle principali caratteristiche dei nostri incontri nei quali viene offerta la possibilità di espressione a tutte le donne presenti.

Da parte di tutte poi vi è stato anche un riconoscimento della indubbia capacità di organizzarsi anche nel territorio bolognese che è attualmente privo di un gruppo-donne sul quale appoggiarsi, ma dove si contano presenze singole molto significative e contributi personali qualificanti come quelli di Giancarla Codrignani e Rosetta Mazzone, bolognesi, che quest’anno hanno voluto un coinvolgimento delle istituzioni locali, Comune di Castel San Pietro e Regione Emilia Romagna, anche per avere una presenza, un saluto ed sostegno all’iniziativa.

Di primo acchito il tema oggetto del confronto, e di cui ho parlato nelle precedenti puntate di tds di ottobre, novembre e dicembre, destava qualche perplessità fin tanto che non veniva sviscerato e approfondito. Anche la carissima Antonia Tronti chiamata come esperta a seguirci durante le due giornate ed a trarre considerazioni e riflessioni finali sui lavori dell’incontro, ha scelto di ripercorrere le motivazioni ed i perché della scelta del tema, prima di fornirci una sua interpretazione e una prospettiva nuova di confronto, molto interessante. Una lettura critica del tema ci stimola a leggere l’ombra del divino in senso ambivalente, ha detto Antonia, in particolare, per capire come ci rapportiamo al divino; da un parte si può evocare l’immagine di un divino la cui ampia ombra ha funzione protettiva ma spesso anche oppressivain contrapposizione ad un divino in ombra in quanto non sufficientemente conosciuto o volutamente nascosto.

Inoltre pur valutando importante un processo odierno di decostruzione del divino oppressivo attraverso un meccanismo di smantellamento di un Dio che è stato imposto da parte del potere in due millenni di storia del cristianesimo, una lettura critica non può che mettere in risalto come il primo e vero processo di decostruzione fu avviato proprio da Gesù, il quale si collocò dalla parte del “non potere”. Del resto, nella storia del cristianesimo, più volte singoli o comunità di fede hanno messo in crisi o “frantumato” la visione del Dio onnipotente e la sua “ombra” opprimente, e più volte c’è stato chi, attraverso un processo di ricomposizione, ne ha ristabilito la dimensione teologica consona alle esigenze di potere per confermare un divino inattaccabile, un divino senza ombre e senza limiti!

Ma il limite è oggettivamente e prima di tutto quello del nostro corpo, e Gesù ha “assunto” il corpo umano e i suoi limiti, fino alla morte anch’essa derivata dalla stessa scelta, proprio per stabilire una relazione con noi. Dunque se Dio, attraverso Gesù, assume il limite per incontrare l’umanità, in ciò non può che essere spinto da un gesto d’amore, come da parte di colui che considera necessario il legame con l’altro o l’altra, e vede quindi la propria corporeità in una forma limitata per confronto con il diverso da sé: il limite diventa quindi l’unico modo per incontrare l’altro o altra. Ciò è fatto positivo che accomuna, a questo punto, sia l’umano che il divino.

Anche nella pratica di relazione con il proprio corpo, nello yoga delle religioni orientali, il riconoscimento del limite del proprio corpo, consente un migliore approccio alle diverse immagini ideali, ai modelli da assumere: se ci si esercita ad un lento e progressivo avvicinamento alle forme, nell’accettazione del proprio limite, si raggiunge una maggiore libertà d’espressione spirituale e l’avvicinamento alla ‘figura’ di riferimento senza pretendere forzature dal proprio corpo. Accostarsi serenamente al proprio corpo significa dunque accettarsi, riconoscere limiti capire lo spazio che c’è intorno a noi, tra il proprio e l’altrui corpo, uno spazio vuoto che, tra le membra definite, può contenere le ombre dei corpi. Uno spazio ove possano trovare sviluppo “le ombre degli uomini e delle donne”, uno spazio di relazione da riscoprire e rivalutare come necessità essenziale della convivenza umana.

Se ci pensiamo bene, ed anche Antonia Tronti lo ha messo in evidenza, specialmente nelle città densamente abitate come le nostre, abbiamo ben poco spazio: gli autobus o i metrò affollati, spesso siamo rinchiusi nelle macchine, affiancate l’una all’altra sulle strade soffocando ogni minimo spazio, affolliamo le spiagge d’estate, affolliamo i ritrovi o raduni, viviamo in casermoni o quartieri ad altissima densità edilizia ed abitativa, con il risultato che difficilmente, nella quotidianità della stressante vita cittadina, possiamo instaurare delle relazioni autentiche. Infatti siamo sempre alla ricerca di spazi, appena possiamo evadiamo e abbiamo bisogno di movimento, di passeggiate, di verde, anche e soprattutto nei contesti urbani: ma non abbiamo bisogno di spazi qualunque, bensì di “luoghi” ove vi possa essere comprensione e rispetto, distanza tra soggetti per un miglior coinvolgimento, libertà di espressione dei corpi ed accoglienza, spazi ove poter riconoscere la propria ombra e quella degli altri.

L’ombra è una proiezione piatta della nostra persona che in realtà si sviluppa tridimensionalmente, quindi è superficie che può echeggiare la sagoma di un corpo, ma non ne può rappresentare la complessità e l’articolazione. Inoltre l’ombra è dinamica e si sposta con lo spostamento della fonte di luce, diventa quindi una rappresentazione uniforme di un soggetto che si deforma con il passare del tempo, ma contiene anche molte possibilità interpretative! E’ interessante legare i soggetti e le figure alla propria ombra, tuttavia l’ombra spesso non corrisponde al soggetto ma ne è una rappresentazione. Nelle ombre cinesi per esempio l’immagine dell’ombra fatta con le composizioni delle mani, può rappresentare soggetti diversie tuttavia, anche se non corrispondenti alla realtà, usando le ombre cinesipossiamo trasmettere messaggi, interpretare ruoli e scandire relazioni interessanti perché comunque i soggetti sono governati dall’intelligenza degli uomini e delle donne che usano le ombre come in un teatro si usano le maschere.

Ora per richiamareancora una volta il nostro percorso indagatore sul divino potremmo considerare che il divino che ci è stato rappresentato nella tradizione religiosa effettivamente può essere considerato solo l’immagine di un divino che non conosciamo e che presumibilmente ha connotati ben diversi da quelli rappresentati nel nostro limite interpretativo. Io sono colui che sono, dice il dio che preferisce non essere nominato; perché allora ci siamo costruiti tante figure a sua immagine e somiglianza? Non è forse meglio conoscere la possibilità di un divino che difficilmente rappresentabile in astratto, s’incarna nei nostri corpi maschili e femminili, come fece Gesù, e rende giustizia nella definizione dei limiti, un divino che richiede un suo spazio nelle nostre menti, che ci scatena forti emozioni, che è presente nel creato e che si lascia indagare e scoprire anche attraverso l’interpretazione della sua ombra?

 

Genova, 11 dicembre 2008