“IL DIVINO: ABITARE IL VUOTO” 

Resoconto dall’ incontro nazionale dei gruppi donne

 

Il contesto ambientale

 

Dalle alture del Righi, sopra il quartiere di Oregina che ospitò il movimento della omonima Comunità di base fin dagli inizi degli anni ’70 e dalla terrazza dell’Ostello della Gioventùdi Genova si gode un panorama mozzafiato sull’intero anfiteatro del centro storico e del porto antico, dalla Lanterna alla collina di Carignano. L’orizzonte è alto ed i monti e la costa ligure, da Capo Mele al Monte di Portofino, si stagliano nell’infinito: non si può non rimanere colpite da questo spettacolo.

L’ostello è una struttura edificata recentemente, di architettura razionalista, progettata secondo logiche di massimo sfruttamento di un lotto residuo dall’insediamento del quartiere popolare, di proprietà pubblica, individuato al terminale delle strade che corrono su, verso il monte, tortuose ed in forte pendenza. La struttura è articolata in più corpi, la parte alta è l’Ostello, confortevole e funzionale, la parte bassa contiene spazi per il quartiere, gestiti dal Consiglio di Circoscrizione che li ha messi a disposizione, gli spazi sono tra loro collegati da una lunga scala che termina in un piccolo anfiteatro ad uso pubblico: la scenografia complessiva va vissuta per essere capita, come gli esigui spazi della nostra città “in salita” , stretta tra i monti e il mare, e perciò più difficile ma per certi versi più appagante.

I vari momenti del nostro incontro si sono svolti occupando più spazi e cercando di sfruttare la loro duttilità, abbiamo anche avuto la possibilità di fare quattro passi nel vicino parco che costituisce il più grande parco urbano della città e che i genovesi si “conquistano” letteralmente, nei giorni di feste, quando non esiste l’alternativa dell’andare al mare o perchè il clima è freddo o perchè la spiaggia è troppo affollata.

Purtroppo nel parco ci sono alcuni ripetitori tele e radio fonici ed alcune antenne d’ impianti elettrici che si evidenziano altrettanto puntualmente. Certo quando le antenne e gli impianti d’energia si confondono tra le case non ce ne accorgiamo e conviviamo con essi, ma quando sono in mezzo agli alberi ed in un paesaggio naturale il contrasto stride e le influenze energetiche negative si possono avvertire direttamente.

Se ne sono accorte, insieme al panorama s’intende, anche alcune amiche che hanno maggiore sensibilità alle esposizioni energetiche; ma forse l’energia positiva diffusa e caricata che si avvertiva tra noi ha fatto da buon antidoto, penso io, perché alla fine hanno prevalso tutti gli aspetti positivi e il grande valore del nostro incontro e della relazione tra noi.

 

Il percorso di ricerca

Ci siamo date appuntamento in questa ampia e caratteristica cornice ambientale, dal 2 al 4 giugno 2006, per il XV Incontro Nazionale dei “Gruppi-donne delle comunità cristiane di base” organizzato in collaborazione con i gruppi “Il cerchio della luna piena”, “Donne in cerchio” e “Thea – teologia al femminile”, sul tema “IL DIVINO: ABITARE IL VUOTO – segni, gesti e parole della vita quotidiana”.

Hanno partecipato 120 donne, provenienti da diverse Regioni d’Italia (Lazio, Liguria, Toscana, Piemonte, Veneto, Trentino, Lombardia, Emilia Romagna, Basilicata, Puglia), che si sono confrontate sul tema "Il divino: come liberarlo, come dirlo, come condividerlo", facendo seguito alleimportanti tappe di Monteortone (2001), Frascati (2002), Barcellona (Sinodo Europeo – 2003) e Trento (2004).

E’ un percorso di ricerca importante: coinvolge il nostro essere nella sua interezza perché non richiede solo una azione di trasformazione culturale, di elaborazione teologica e del pensiero, ma si sostanzia di fecondi scambi , di confronto, di relazione tra diversità e coinvolge la nostra persona. Mente e corpo sono coinvolti nel nostro lavoro e volutamente “in azione” per vivere pienamente la nostra storia di donne in ricerca e nel quotidiano.

Abbiamo superato le discriminazioni del nostro corpo femminile e viviamo il momento del “sacro”, proprio nella valorizzazione del nostro essere donne, sentendo di essere sulla scia delle più autentiche tradizioni didonne a partire dalle donne dei Vangeli per giungere alle teologhe contemporanee che non sisottraggono, nonostante tutto, al loro ruolo profetico e sacerdotale ma che nei secoli hanno cercato di marcare la loro presenza, con grande fatica ma anche con grande convinzione, nelle chiese e nella comunità. Abbiamo sperimentato, anche attraverso confronti coinvolgenti, le diversità di vedute, le divisioni e le appartenenze per provare a vivere in un tutt’uno ed in relazione tra donne il nostro nuovo sentire, per contaminarci e porgere all’esterno un messaggio innovativo, nuove opportunità,nuove visioni….anche dello spazio divino che, riteniamo, alberganella relazione umana e nel rapporto con la natura, con il creato che ci circonda e con il quale facciamo i conti ogni giorno come patrimonio di tutti e tutte che non dobbiamo sfruttare a nostro uso e consumo ma proteggere e valorizzare.

Il percorso teologico che ha preceduto questo ultimo incontro si è caratterizzato per una opera di decostruzione del divino patriarcale, oggi ci si confronta con un “vuoto” che ha molteplici significati. Da un lato è un “vuoto derivato” (effetto)dal nostro aver scardinato le certezze della religione imposta, un vuoto quindi checorre il rischio, in qualche modo, di essere nuovamente riempito in modo improprio. D’altro lato il vuoto inteso proprio come momento di liberazione (motore positivo) da stereotipi, da ruoli , da indrottinamenti, da norme codificate ecc…., che porta quindi alla valorizzazione di uno stato liberatorio e più consapevole: un momento di silenzio, di distacco e di riflessione utile ed opportuno; un voler praticare la mancanza, così com’è, che significa poter osare e mantenere l’assenza di certezze e pienezze, considerarsi ancora in ricerca.Ma non si vuole nemmeno scegliere una strada di comodità, di abbandono e di irresponsabilità: tutt’altro! Si vuole assaporare uno spazio non definito aprioristicamente e vivere maggiore libertà d’espressione e di pensiero, pur sapendo, essendo coscienti della necessità di fare i conti giornalmente con una realtà “piena” di problemi di impegno e socialità.Vivere il "vuoto" che libera significa dunque anche cambiare il nostro vivere quotidiano, il linguaggio, sapere gestire le relazioni interpersonali, specie quelle fra donne, cercando di rendere comprensibile per tutte le nostre scelte anche di natura politica.

 

Lo svolgimento dei lavori

 

L’Incontro è stato introdotto da un momento esperienziale preparato dal gruppo “Thea – teologia al femminile” di Trento per riflettere sul sacrificio: il sacrifico umano come deviazione forzata, voluta dalle religioni patriarcali, concepito in contesti rituali di violenza assimilabile alla guerra. Il sacrificio come una prova richiesta da un Dio padrone, prova di durezza e di forza fisica, che noi donne vogliamo smascherare, e che ha solo una alternativa nel gesto della condivisione, della partecipazione del nostro corpo in relazione con le altre.

Ecco, fin dall’inizio dell’incontro, siamo state introdotte nella riflessione teologica, alla scoperta di un divino che, prescindendo dal simbolismo doloroso, valorizza invece un concetto di pienezza vissuta, di contaminazione ed accettazione delle diversità.

 

L’Incontro si è articolato in alcuni momenti assembleari ed in cinque laboratori:

  • “Il mistero della creta”coordinato da Luisella Veroli:
  • “Lo spazio della biodanza”coordinato da Elizabeth Green:
  • “ Vassilissa la bella: dalla mancanza all’agio dello stare al mondo”coordinato da Francesca Lisi
  • “Il nudo…l’abisso….il vuoto….il nulla”coordinato da Karola Stobaus
  • “Corpidi donna/corpi divini. Vivere Dio fisicamente” proposto dal gruppo delleDonne in cerchiodi Roma

In ogni laboratorio le donne hanno avuto modo di confrontarsi, di sperimentare sia con la manualità che con la parola o con il corpo; il laboratorio consente infatti di restringere il campo della relazione e di approfondire molti aspetti del nostro approccio personale al tema proposto, inoltre è possibile sperimentare praticamente il raggiungimento di un obiettivo, anche concreto e pratico, per ogni donna, vivendo quindi singolarmente ed in gruppo momenti di scambio e di esperienza.

 

Nei momenti assembleari le donne che chiamiamo “esperte”, partecipano e sperimentano con noi il cammino di ricerca e ci forniscono e propongono sempre nuovi elementi di riflessione e di discussione, esse consentonoanche disviluppare una maggiore conoscenza e di andare in profondità sul tema con visuali differenti a seconda del loro punto di vista professionale; in genere le relatrici (nome che può essere riscoperto nel suo significato) vivono con noi anche i diversi momenticollettivi e di gruppo e si crea con loro una intesa, una condivisione dei tempi e dello spazio dell’incontro cheaiuta la relazione di gruppo e di intergruppi.

Purtroppo la Psicoterapeuta Anna Maria Panepucci non ha potuto essere con noi per motivi di salute, ma ha inviato la sua relazione intitolata “a favore dell’insaturo” nella quale, partendo dall’esperienza clinica, ha definito la condizione di “vuoto” connessa a quella di “pieno” e quindi percepibile solo a seguito di separazione dalla pienezza, con esplicito richiamo alla condizione intrauterina definita come status ideale, che si infrange con la nascita ma verso il quale si tende a tornare. Negli studi di psicologia analitica i miti religiosi, la metafisica sono definiti come grandi racconti e costituirebbero una sorta di contenitori intrauterini collettivi, paradigmi che fornirebbero un senso di continuità e di stabilità all’essere umano, ristabilendo un legame con l’evento originario. Il vuoto appare come condizione necessaria quindi per percepire la pienezza, come passaggio da uno stato fusionale ad uno di separazione drammatica. Ricorda che nello sforzo di conoscersi l’uomo tende a personificare a dare caratteristica antropomorfa alla rappresentazione all’immagine, stesso fenomeno che accade con i sogni lì dove l’uomo tende a dare forma proiettiva di persona ai suoi complessi stati psichici.

In parallelo con queste letture Anna Maria legge la contemporaneità come nata da una frattura traumatica e di separazione dal passato: neo-sessualità, neo-perversioni, nuove psicopatologie, nuovi stili di vita e di comunicazioni promossi e permessi dalle nuove tecnologie; anche il senso di “vuoto” del divino come segnale delle profonde mutazioni in atto. Siamo, forse, ad un bivio tra decadenza, smarrimento e nuovi simboli, ri-pensamenti dell’attuale momento come necessità della storia. In un caso, l’uomo eludendo il dramma storico, si rassicura nella condizione di protezione fornita dai grandi miti ed anche dalla figurazione di un divino paterno o materno cioè dal grande contenitore intrauterino della religione. Nell’altro caso, l’uomo, fa il passo verso il “vuoto”, sceglie di diventare adulto fuori dalle sicurezze dell’utero materno, e prende coscienza della perdita, interiorizza il vuoto e trasforma la sua condizione e la sua coscienza in senso evolutivo. Ciò significa anche il passaggio verso la pienezza della vita reale in cui siamo chiamati a prendere parte, in modo umile, etico e responsabile. In altre parole mentre il senso di vuoto del divino potrebbe spingerci ad una fuga dal senso della vita, viceversa potremmo arrivare ad integrare capacità d’amore, consapevolezza,responsabilità individuale e collettiva e non continuare a personificare il divino a nostra modesta immagine e somiglianza.

 

Era presente con noi Chiara Zamboni che nel tentativo di lavorare sul tema del vuoto, ha scelto di stare nello spazio della semantica. Ha intitolato la sua relazione “il desiderio d’assoluto”valorizzando il desiderio interiore di silenzio che ciascuna può percepire quando commenta un passo di scrittura sacra dentro di sé, un ritornare presso di sé che permette: di non esporre un giudizio, di fare un passo indietro rispetto agli altri, di non passare subito all’atto, per riprendere con ponderatezza un contatto dopo il silenzio.

Il silenzio e il “vuoto” è considerata condizione dipendente da una dimensione dinamica di trasformazione; citando Simone Weil, Chiara richiama il Motore immobile che attira e mette in moto per desiderio. Qualche cosa che ci attrae che non sappiamo cosa sia, di cui non abbiamo rappresentazione ma che ci attira: il desiderio di un di più che ci attrae. Sappiamo che esiste fuori di noi una dimensione reale che non è illusoria, né psicologica, ma che guida le nostre scelte e la nostra esistenza; come l’ha individuata Santa Teresa D’Avila che ha riconosciuto il disegno della sua esistenza. Usiamo tanti nomi: libertà, verità, divino …e tanti altri ne potremmo usare per identificare questa dimensione, l’importante è sapere che sono parole che ci servono per l’orientamento e che usiamo con prudenza.Riferendosi ai Vangeli , appare la dimensione in cui sono i discepoli di Giovanni,essi sono nell’attesa, nella forma dell’ascesi; invece i discepoli di Gesù sono nella forma della condivisione e partecipano della vita. I due gruppirappresentano la presenza su due piani, quello verso il futuro e quello nel presente del “regno dei cieli”,ma non vi è contraddizione tra i due piani, l’uno permette l’esistere dell’altro.

Richiamandosi ancora a Simone Weil in “Riflessione sull’utilità degli studi scolastici per l’amore di Dio” , Chiara ci evidenzia che gli studi sono una modalità di preghiera rivolta a Dio, là dove il desiderio della luce produce la luce, la preghiera è esercizio d’attenzione al “vuoto” che apre inevitabilmente al divino. Ed ancora che la grazia e il desiderio sono come due polarità in circolaritàche occorre sperimentare per addivenire a dei risultati, uscendo da sé, superando le frustrazioni di tempo e di luoghi di lavoro defatiganti per raggiungere uno stato di liberazione che non esclude l’attenzione.

 

Nei dibattiti assembleari molte amiche hanno avuto l’opportunità di prendere la parola e si sono confrontate sui temi dell’angoscia, del vuoto psicologico ma anche fisico, del contrasto tra assenza e presenza delle persone, sul senso della vita e della morte, sulla metafora del viaggio, sul coraggio di superare o attraversare il vuoto simbolico e sulle prospettive future dei nostri incontri sul ruolo importante della politica.

La mattina della domenica, Elizabeth Green teologa, ha svolto la sua relazione dal provocatorio titolo “vuote a perdere?” Nell’intento di raccogliere spunti dalle diverse elaborazioni ci ha condottelungo una profonda riflessione sul significato del nostro cammino di ricerca teologica.

Partendo da alcune condizioni di ambivalenza del “vuoto” Elizabeth ha evidenziato la ricchezza e la pienezza dello stare insieme e quindi tutti gli aspetti positivi del convegno, in una riflessione che emerge anche dal contesto dei gruppi.

Si è chiesta però:il vuoto, come esperienza negativa, fino a che punto ha a che fare con il genere? Le donne hanno difficoltà a fare il vuoto attorno a sé: sono piene di cose da fare, vivono una vita stressante anche per le mille faccende a cui devono fare fronte…..eppure fare un vuoto, come necessità di fare silenzio, di meditazione,serve alla migliore comprensione di sé: in questo senso il vuoto acquista una valenza positiva.

Ha usato poi una metafora molto interessante: il Cristianesimo è una impalcatura dell’edificio spirituale, nel senso che è costruita intorno ad un edificio…ma l’edificio non c’è. Nell’opera di decostruzione in realtà possiamo rischiare di smontare un “ponteggio” costruito sul vuoto, mentre il nostro desiderio è quello di abitare il vuoto.A volte allontaniamo da noi sogni nei quali ci sembra di precipitare nel vuoto, in realtà, spesso non ci accorgiamo che tutto ciò che è stato costruito intorno a noi dovrebbe sorreggere un pieno che non c’è. Le chiese infatti stanno esercitando il monopolio dell’immagine, pare che a certe gerarchie non interessi abitare il divino, l’edificio spesso rimane vuoto, e stanno quindi difendendo le impalcature, questa è l’assurdità di una posizione tutta rivolta verso l’esteriorità, l’immagine ma incurante dello spazio vuoto che lascia. Una rilettura della seconda lettera ai Filippesi di Paolo ci consente di vedere invece un Dio che si spogliò, che si svuotò dalle caratteristiche patriarcali (Rosemary Reuther) e che rinunciò alla pienezza divina: Gesù in questa visione rappresenta la kenosis (la spogliazione, lo svuotamento) del patriarcato. Il divino sgretolandosi, svuotandosi costituisce il richiamo ad una nuova disposizione interiore che esprime il vuoto come stile di vita da abitare.

Gesù offre anche gli strumenti per traghettare il vuoto, insegna ciò che manca per la sequela: ma il “ricco”, che gli si rivolge per avere da lui l’indicazione su ciò che gli resterebbe da fare, troppo pieno delle sue osservanze religiose, non riesce ad apprezzare la spogliazione dei suoi beni e se ne va rattristato! Fare il vuoto rappresenta quindi la premessa indispensabile per iniziare qualsiasi percorso spirituale: “chi perde la sua vita la ritroverà”….questa è la condizione di svuotamento indispensabile, il rischio è il primo passo. Abitare il vuotovuol quindi dire andare libere e fiduciose per abitare il mondo e ricercare anche il tempo del riposo che è contemplato nei tempi divini, infatti la condizione della passività è generatrice di fecondità, come il tempo del vuoto è imprescindibile per l’armonia cosmica. Chiediamoci allora se anche noi non abbiamo fatto, talvolta, delle impalcature anziché esercitare l’ascolto, ricerchiamo dunque la mente “vuota” dalle cose imposte o che vi abbiamo introdotto…domandiamoci se il nostro percorso non è un po’ troppo vicino a quello che abbiamo cercato di decostruire. Oggi non siamo più allo stesso tempo di ieri, paradossalmente oggi ci incontriamo in un vuoto da abitare, senza andare indietro, ma abbracciando il vuoto come inizio della nostra scelta di vita.

Elizabeth individua dunque tre nodi:

  • il primo riguarda l’ambivalenza del vuoto; la proposta del traghettamento del vuoto attraverso il riposo ed il silenzio può essere declinato al femminile?
  • il secondo riguarda l’impalcatura: quale immagine usare per dire ciò che è stato costruito intorno al divino? Più che un bivio , preferisce la spirale che è un segno di movimento, in un andare e tornaree che più s’avvicina all’immagine femminile di Dio;
  • il terzo nodo riguarda la politica: fare silenzio, il riposo non deve significare astrarsi dalla politica,ma invocare il potere rivoluzionario del silenzio e muoversisecondo la sensibilità personale di ciascuna.

Elizabeth ha concluso richiamando noi donne all’esigenza di tenere insieme una molteplicità di strategie, senza scomunicarci a vicenda: ma abitando il vuoto come occasione che ci viene offerta nel senso di poter conoscere uno spazio non costruito e poterlo valorizzare.

 

La condivisione e la chiamata per nome

 

Il nostro Incontro si è concluso poi con un momento di condivisione organizzato dal Gruppo-donne della Comunità di San Paolo di Roma intitolato:“Là dove la profondità è maggiore”. Non è stato un momento rituale, ma è stato dato spazio ad “un tempo di sacralità” nel quale abbiamo sperimentato ancora una volta l’importanza della riflessione comune, del confronto e dello scambio, dell’andare al passato e dell’essere proiettate verso il futuro: il vivere un contesto dinamico! Compiendo alcuni gesti simbolici e rituali come la condivisione dei cibi e delle parole ognuna di noi ha poi “chiamato per nome una amica presente leggendo il suo nome su di un fiore di carta che sboccianel contatto con l’acqua” : una bellissima idea!

Su tutto mi riecheggiano le parole e le riflessioni sulle donne che sono state affianco a Gesù, anche durante i giorni della sua morte e passione, e che hanno provato la sua mancanza, simboleggiata dalla tomba vuota dalla quale hanno poi tratto la forza per un nuovo annuncio: un vuoto che si tramuta dunque in un messaggio di speranza. Un messaggio che, col gruppo donne della Comunità di Oregina abbiamo scelto anche nella nostra breve recitazione del sabato sera intitolata “il tesoro della mente: la visione di Maria di Magdala”ed abbiamo riascoltato nel momento di condivisione finale.

Come nella relazione tra di noi, la metafora della impalcatura si presta ad avere anche il significato positivo di supporto e di servizio, infatti un ponteggio non può prescindere dal mutuo e reciproco sostegno dei tubolari, tra loro solidali intorno alle case…i ponteggi che cercano gli occhielli per ancorarsi ai muri, senza i quali peraltro non possono stare in piedi.

 

Catti Cifatte (Gruppo-donne Comunità di Oregina - Genova,23 giugno 2006)