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PENSARE E RIPENSARE IL NOSTRO CAMMINO

3 e 4 Ottobre, dunque….non so se abbiamo voglia di pensare e ri-pensare al lungo cammino fatto!

Nel senso letterale: non ho capito se nelle Cdb c’è questa voglia e/o se lo si ritiene utile, necessario o, al contrario, inutile, affatto necessario, persino una perdita di tempo.

Insomma, non mi scandalizzerei  di una posizione che dicesse: basta guardare al passato, non guardiamoci l’ombelico; guardiamo avanti, soprattutto guardiamo fuori di noi stessi.

Ma, nello stesso tempo e con franchezza fraterna, dico che mi dispiacerebbe.

Innanzitutto perché non considero quello che chiamo: “pensare e ripensare il nostro cammino”, un ripiegamento su se stessi.

…Voi cercate il regno di Dio e fate la sua volontà,  tutto il resto vi sarà dato in più.”

“Per cercarlo, le Cdb si sono messe in cammino senza neppure il progetto di farsi ‘movimento’ e con la volontà di restare radicate, le singole comunità, nel loro territorio e calate nella storia e nella vicenda umana alle quali appartenevano. Costrette a cercare forme, mai definitive e comunque leggere di collegamento, il farsi ‘movimento’ è sempre ancorato – come il chicco di grano dei vangeli – alla dinamica del morire e rinascere nel duplice contesto della chiesa e della società”.

Così ricordiamo (nel senso del ‘fare memoria’) l’inizio del percorso, Marcello Vigli ed io nel lavoro recente:  Coltivare speranza. Una chiesa altra per un altro mondo possibile”.

Da Vienna per riprendere il cammino”: titola Confronti, un breve reportage dell’VIII Incontro delle Comunità cristiane europee (1-3 maggio 2009).“Non ci resta, dunque,  che  proseguire il cammino”, conclude Pierre Collet, coordinatore del collettivo europeo delle Cdb, il suo articolo (www.cdbitalia.it) , dopo avere sottolineato come momento forte dell’Incontro di due giornate, la celebrazione eucaristica della domenica mattina perfettamente preparata dai membri della comunità locale di Akkomplatz: una piccola orchestra, canti nelle diverse lingue, riferimenti ai diversi temi dell’Incontro e ai resoconti del Gruppi di lavoro. E anche la sorpresa...nessun presidente: noi abbiamo avuto veramente la consapevolezza di essere una comunità che celebra la sua fede, la sua speranza,  i suoi impegni”.

Un pensiero incoraggiante: non dobbiamo per forza essere numerosi ,l’ampiezza della comunità non è determinante”, sottolinea dall’Austria, Gabriele della cdb Micha (www.basisgemeinde-micha.at), ricordando: Vienna, una splendida esperienza! E aggiunge: “anche i contributi degli altri gruppi mi hanno colpito: La presa di posizione dei Baschi, la comunicazione delle loro esperienze, a volte impressionanti, nel loro impegno per l’indipendenza; L’opposizione ad un’ Europa-fortezza e la decisa rivendicazione di una relazione civile con coloro che sono costretti a migrare per motivi di povertà, di guerra, di fame e per condizioni di vita incivili;  La celebrazione dell’eucarestia nella e con la comunità, senza dipendere dalla presenza di un sacerdote; Il coraggio di vivere l’ecumenismo – non solo con le chiese cristiane, ma anche con le/i rappresentanti di altre religioni e di sentirsene arricchiti” (www.cdbitalia.it).

Come si può constatare dalla ampiezza dei temi che il nostro amico e fratello della Comunità austriaca elenca, la nostra riflessione non rischia di trasformarsi in  una auto-celebrazione; al contrario consente di vivere la memoria di essere comunità cristiana di base ora.

Il che è  un modo, molto impegnativo, di essere presenti nella vita degli uomini e delle donne di oggi, del nostro paese. A questo nostro paese dobbiamo, ora, il servizio della testimonianza ed un grande e generoso atto di amore. Nonostante tutto. “Nel cuore del paese si sta aprendo un enorme spazio vuoto – non soltanto di politica, ma di pensiero e di auto identificazione  civile. Bisogna tuffarcisi dentro e nuotare. Nuotare molto” ( così Aldo Schiavone, nel suo: “L’Italia contesa, sfide culturali ed egemonia culturale”).

Ci interessa questa “battaglia”? Come ci staremo dentro? Con “Il vangelo che abbiamo ricevuto”, insieme a tanti e tante  che vivono questo impegno, evocato a Firenze.  E’ un lavoro immane, anche di ri-costruzione. Penso che dovremo esserci: con le specificità generazionali e di genere; ma senza separatezze. Come chiese locali, non chiese parallele. Comunità di base per una chiesa altra. Avverrà che, mentre saremo al lavoro con questo spirito, approfondiremo se e come di questa esperienza lunga quarant’anni, si può parlare solo al passato da rispettare certo ma da archiviare, oppure come di una eredità da trasmettere e da mettere a frutto.

 

Mario Campli – comunità di base S. Paolo, Roma.


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