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Il credente può fare a meno della filosofia?

E’ almeno da Erasmo e Lutero che la filosofia non gode di buona fama negli ambienti cristiani progressisti. E il fatto che il magistero cattolico, al contrario, ne sottolinei con forza l’ineliminabilità  non fa che renderla ancora più sospetta. L’ellenizzazione del messaggio evangelico ha procurato disastri difficilmente riparabili: una proposta di vita, quale era la buona notizia originaria, è diventata un arzigogolato sistema dottrinario. Gesù, testimone di un atteggiamento esistenziale di apertura all’Altro e agli altri, lo si è metamorfizzato in maestro di misteri soprannaturali che la massa deve accettare ciecamente e che solo alcuni intellettuali raffinati possono sondare con puntigliosa precisione. Ma se restituita alla sua autonomia; se intesa come sinonimo di ricerca libera e razionale; se praticata come esercizio di critica argomentata; se - insomma – liberata dalla strumentalizzazione ideologica dei teologi e delle gerarchie ecclesiastiche, siamo proprio sicuri che della riflessione filosofica il credente possa fare a meno? Una risposta - che per mancanza di spazio posso, poco filosoficamente, affermare senza dimostrare - suona: no. Anzi, non solo è possibile ospitare l’inquietudine filosofica nella propria esperienza religiosa, ma addirittura ciò è indispensabile per salvaguardarne l’autenticità. Senza bussola filosofica, come orientarsi fra le varie proposte teologico-religiose del palcoscenico planetario? E come – se ci si riconosce nell’alveo di una di esse – aiutarla a spogliarsi delle superfetazioni integralistiche e delle tentazioni fondamentalistiche? E come favorire, senza una lingua più basilare e più elementare e più condivisa – rispetto alla varietà dei simboli religiosi -  il dialogo sincero fra le diverse tradizioni?  Insomma: su questo punto i papi, da Leone XIII a Benedetto XVI, hanno più ragione di quanto sospettino: ma, se ne prendessero coscienza, dovrebbero restituire alla filosofia la sua intrinseca, e irrinunciabile, laicità. Senza la quale essa diventa ‘ancella’ non della fede (che, se autentica, non ha bisogno di cameriere né di guardiani), ma di quelle istituzioni mondane che – signoreggiando sulla filosofia – s’impadroniscono del potere di sindacare anche sulla fede degli altri.

Augusto Cavadi - Palermo

 


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NOTA:

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