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IL DILEMMA DEL PAPA SU DON PUGLISI

In occasione della visita a Palermo (3 ottobre) di Benedetto XVI, un nutrito numero di associazioni cattoliche ha inviato una lettera-appello affinché don Pino Puglisi sia proclamato martire e santo. Per  i firmatari, con un atto simile, la Chiesa uscirebbe da una cultura dell’equidistanza fra Stato democratico e mafia; proporrebbe a tutti i suoi ministri un modello di prete che include, tra i propri compiti di evangelizzazione, la difesa gelosa e la diffusione dei princìpi etici che la mafia calpesta quotidianamente.

Ma in Vaticano si obietta: perché definire martire uno che è stato ucciso non “in odio alla fede cristiana” bensì a causa del suo impegno sociale? E’ in gioco una questione teologica  più radicale: come dev’essere il prete secondo lo spirito del Vangelo? Ha ragione chi pensa che il prete ‘vero’ è un funzionario del sacro, impegnato a difendere l’istituzione ecclesiastica da urti e tensioni e a moltiplicare adepti soprattutto fra le nuove generazioni, o non è piuttosto un apostolo della parola e dell’azione che deve dare voce alle esigenze di giustizia, di libertà, di fratellanza, di solidarietà della gente tra cui è inviato?

Si scontrano due opposte visioni di chiesa: da una parte la chiesa autoreferenziale, corazzata inaffondabile nelle tempeste della storia, guidata da nocchieri che si autodefiniscono infallibili; dall’altra la chiesa come comunità di credenti, barchetta esposta ai quattro venti, costituita da persone che condividono  i dolori e le gioie, la fatica e la ricerca  degli altri uomini e delle altre donne. Senza atteggiamenti di superiorità.

             Augusto Cavadi - Palermo

 


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