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L'ALTRO MONDO POSSIBILE ESISTE GIÀ.
LA PROPOSTA DEI POPOLI INDIGENI

Che un altro mondo sia possibile, ce lo siamo detto e ridetto. Ma non sarebbe ora di cominciare a costruirlo? A Porto Alegre, dove si è svolto a fine gennaio uno degli eventi centrali del Forum Sociale Mondiale (che quest’anno, il decimo dalla sua nascita, si svolge attraverso una molteplicità di iniziative distribuite lungo tutto il 2010), si è evidenziata ancora una volta la mancanza di incisività politica del processo del Fsm, ma senza un consenso sul cammino da seguire. Così, di fronte alla divisione esistente tra chi difende il formato originale del Forum, quello di uno spazio di dialogo e di elaborazione di proposte, e chi vorrebbe trasformarlo in uno strumento di azione, uno dei membri del Consiglio Internazionale, Éric Toussaint, ha individuato nella proposta di Hugo Chávez di una Quinta Internazionale, chiamata a riunire movimenti sociali e partiti di sinistra, la possibilità di dar vita ad un nuovo strumento, distinto dal Fsm ma non contrapposto ad esso, in grado di garantire uno spazio di convergenza per l’azione e per l’elaborazione di un modello alternativo. E subito un gruppo di prestigiosi intellettuali, da Noam Chomsky a Vandana Shiva, da Susan George a Francois Houtart, ha lanciato una “Proposta per una Quinta Internazionale Socialista e Partecipativa”, ispirata, tra l’altro, ai concetti di democrazia partecipativa, di autogestione, di rispetto della pluralità di punti di vista e al principio della sostenibilità ecologica per garantire “la sopravvivenza umana e la connessione della nostra specie con la biodiversità planetaria”.

È qui che viene in aiuto il concetto di buen vivir (sumak kawsay in kichwa o suma qamaña in aymara), inteso come una buona qualità della vita per tutti i viventi in un rapporto di profonda armonia con la Pachamama, la Madre Terra (“noi stessi siamo Pachamama, e tutto è vivo, tutto è interconnesso e interdipendente”) e secondo un modello di vita comunitaria (“se uno vince o perde, tutti vinciamo o perdiamo”) e di lavoro collettivo, vissuto come una festa e non come una punizione. È un’opzione di vita per tutti, di vita in pienezza, chiaramente contrapposta tanto alla vita buona di matrice aristotelica - slegata dal mondo naturale, centrata sulla polis, vincolata allo sviluppo dell’intelletto e separata dal lavoro (destinato alle maggioranze di esseri umani non civilizzati) - quanto al benessere dell’attuale modello occidentale, basato sulla libertà dell’individuo e sulla competizione, fino al culmine dell’American way of life. Un nuovo paradigma di civiltà, dunque, sempre più necessario di fronte al catastrofico impatto sul pianeta del modello del “vivere meglio”, di un’accumulazione crescente ai danni degli altri esseri umani e della natura, della delirante visione di uno sviluppo infinito in un mondo finito.

Se la possibilità di sopravvivenza per la specie umana passa necessariamente per alternative anticapitaliste – un capitalismo della crescita zero o addirittura della decrescita è evidentemente una contraddizione in termini – neppure l’anticapitalismo, di per sé, è sufficiente: come ben sottolinea il sociologo venezuelano Edgardo Lander, “il socialismo del XX secolo ci ha dimostrato che era possibile, con altre relazioni di proprietà, un regime produttivo predatorio e devastante tanto quanto il capitalismo. Solo una profonda trasformazione di civiltà può rendere possibile la continuità della vita”. Ed è per questo che i popoli indigeni hanno tanto da insegnarci.

Impostosi all’attenzione del movimento altermondialista grazie alla sua incorporazione nella Costituzione boliviana e in quella ecuadoriana, il buen vivir non segna solo un enorme passo avanti nel cammino che settori tradizionalmente subalterni, quando non condannati all’invisibilità, hanno percorso in direzione di una vera decolonizzazione del pensiero, ma diventa anche punto centrale di riferimento per ogni riflessione su un nuovo modello di civiltà, da quella relativa alla definizione del socialismo del XXI secolo - a cui si richiamano, tra non poche contraddizioni, alcuni governi latinoamericani - a quella che riguarda la proposta di una dichiarazione universale del Bene Comune della Terra e dell’Umanità, nell’ambito di una re-invenzione delle Nazioni Unite, su cui stanno lavorando personalità del calibro di Miguel D’Escoto, Leonardo Boff e François Houtart. 

Al concetto di buen vivir può essere non a caso ricondotta anche la convocazione da parte del presidente boliviano Evo Morales di una “Conferenza mondiale dei popoli sul cambiamento climatico e i diritti della Madre Terra” (in programma a Cochabamba dal 19 al 22 aprile 2010), allo scopo di consentire a governi, istituzioni internazionali, scienziati, ong e movimenti sociali, dopo il tragico fallimento di Copenhagen, di analizzare le cause strutturali dei cambiamenti climatici e stabilire le strategie di mobilitazione in difesa della vita e dei diritti della Madre Terra.

Claudia Fanti

 

Claudia Fanti fa parte della redazione di ADISTA


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