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Ricordando Pellegrino

       Dopo l’ottimo servizio di Adista (n.46 del 2006) in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Padre Michele Pellegrino, cardinale arcivescovo di Torino, sono spinto ad affidare alla memoria dei giovani alcuni ricordi personali che possono essere di testimonianza per Pellegrino e di esortazione per l’attuale stanca stagione ecclesiale.

       Il primo e forse unico intervento di Pellegrino in Concilio fu proprio negli ultimi giorni, quando si discuteva della Gaudium et spes, alcuni tentavano di derubricarla da Costituzione a Lettera e Guano, anche lui ai suoi ultimi giorni, tempestava da Livorno: “Costituzione ha da essere”.

Pellegrino intervenne, con singolare forza, per chiedere maggiori garanzie di libertà di ricerca per i teologi.

       Pellegrino era profondamente convinto che la Chiesa non potesse essere neutrale nel conflitto fra oppressori e pauperizzati e fu questa convinzione che lo indusse a rifiutare il dono di una macchina lussuosa da parte della FIAT e la pesante busta di 10 milioni quando celebrò la messa in fabbrica. Coerentemente, in uno sciopero dei lavoratori della FIAT, Pellegrino andò ai cancelli a solidarizzare con gli operai.

       Questa sua passione per una Chiesa libera dai vincoli di rispetto con i signori del potere lo fece rispondere alla mia ultima lettera pastorale “La terra è di Dio” con una sua lettera pubblicata sul settimanale diocesano e fu allora che ebbe a dire con forza “Se Roma piange, Torino non ride”.

       La Chiesa romana si affrettò a convocare un convegno che fu soprannominato “Sui mali di Roma” nel quale fu possibile denunciare la speculazione edilizia nella città nel colpevole silenzio della Chiesa romana.

       Quando ormai dovetti accettare le dimissioni dall’Abbazia di San Paolo e l’emarginazione totale mi venne a trovare nella casa di via Ostiense 102. Dopo una affettuosa conversazione recitammo il vespro insieme e quindi gli domandai: “Devo accompagnarti da qualche parte; hai degli appuntamenti a Roma ?” lui mi rispose “Non ho nulla da fare a Roma sono venuto solo per te, per chiederti scusa su come ti abbiamo trattato”. L’uso della prima persona plurale nell’individuare il soggetto delle scuse mi è rimasto dentro come grande lezione di spirito ecclesiale.

         Questa sua umiltà episcopale la riconobbi ancora quando, visitandolo nella stanzuccia del Cottolengo dove attendeva sorella morte, ebbe a dirmi - sembrava che si confessasse - “Ho usato la censura verso un prete una volta sola e me ne sono pentito”.  

        Penso che la Chiesa cattolica romana, proprio per uscire dall’attuale fase di vuoto trionfalismo,   debba tornare alla memoria del vescovo Pellegrino.

       

               Giovanni Franzoni

       della CdB di San Paolo di Roma


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NOTA:

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